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Ora avrebbe avuto il tempo di pensare un piano. Non molto tempo, però. Il mare stava diventando visibilmente più agitato. Sarebbero andati incontro ad una tempesta. La schiuma schizzava dovunque, dai due frangenti d’acqua aperti dalla prua. Fleming decise.

Spostò il timone a babordo, e puntò la prua nel senso della corrente. La situazione d’emergenza rendeva la sua memoria chiara come cristallo. Riusciva a rivedere quella grigia, rabbiosa distesa d’acqua coperta di nebbia, come era nelle rare bonacce dei giorni d’estate. Ricordava la forma accidentata degli scogli, delle rocce e degli isolotti che avevano reso la zona impraticabile per le imbarcazioni — ad eccezione di quelle di qualche pescatore di granchi — persino prima che l’Ammiragliato la proibisse al traffico a causa delle rampe dei missili.

Fleming non temeva eccessivamente di sfasciare la barca; essa non poteva fare più di dieci nodi all’ora ed era manovrabile come un sandolino. Sebbene la luce fievole del giorno invernale stesse già calando, era sicuro che il rifrangersi delle onde e gli schizzi di schiuma lo avrebbero avvertito in tempo del pericolo.

Ciò che cercava era un luogo più praticabile di uno schieramento di rocce, dove forse avrebbe trovato una casa di contadini abbandonata o un posto d’osservazione per ornitologi. Questi ricoveri, di solito, sono fatti in modo da resistere alle intemperie: solidi come la roccia sulla quale sono costruiti. Avrebbero costituito un riparo dove prendere fiato e meditare la prossima mossa. Non era la prima volta, in vita sua, che doveva in parte pentirsi di aver agito precipitosamente.

Una folata di nevischio lo investì in pieno viso. Il vento che lo portava scosse la barca, ed un ventaglio d’acqua entrò nell’imbarcazione, bagnando il volto di André. La ragazza gettò un grido ed alzò la mano per allontanare i capelli dalla faccia. Il tocco della mano sulla fronte la fece gemere di nuovo.

Fleming accelerò ancora l’andatura. Non c’era bisogno di risparmiare benzina. Doveva portarla fuori da quella barca prima che il tempo peggiorasse, o la notte cadesse. Non sapeva quale delle due cose sarebbe successa prima.

Per un’ora intera, egli si diresse verso il nord, aguzzando gli occhi e le orecchie, in cerca di un segno che rivelasse la costa. Non c’era altro rumore al di fuori dell’urlo crescente del vento, né altra vista, se non la distesa del mare, frustato dalla schiuma. Poi, senza possibilità d’errore, udì il rombo regolare delle onde che si rifrangevano sugli scogli e sui moli. Il mare cominciò ad essere meno agitato, e divenne una distesa gonfia, verdastra e minacciosa. Attraverso i brandelli di nebbia, apparve una massa grigio scura, molto più scura del cielo plumbeo del crepuscolo.

Fleming rallentò, e virò a tribordo. A causa della corrente e delle disordinate spinte del vento, non aveva più idea del punto in cui si trovava. Non aveva intenzione, nemmeno ora, di finire sulla costa, direttamente nelle braccia di qualche funzionario o di qualche cittadino timoroso e ligio alle leggi.

Diresse quindi l’imbarcazione tenendosi una decina di metri distante dalle onde che si rompevano. Cercò di dire a se stesso che riconosceva la costa per quella di una delle isole che aveva visitato per svago durante l’estate, ma sapeva che era solo un modo per cercare di tranquillizzarsi. In queste condizioni, tutte le isole sembravano somigliarsi. L’unica cosa della quale si sentiva sicuro, era che si trattasse di un’isola, e piccola anche. Molti gabbiani, disturbati dal rumore del motore mentre si preparavano a dormire, avevano preso a volteggiare, gridando lamentosamente. I gabbiani stanno di preferenza sulle isole.

La parete di roccia scendeva a picco nel punto in cui la barca cominciò a girare intorno all’isola, arrivando ad est di essa. In basso, dove la roccia incontrava l’acqua, c’era una piccola spiaggia, o, piuttosto, una stretta striscia coperta di sassi rotondi, profonda non più di cinque metri.

Senza esitare, Fleming si diresse decisamente verso di essa, salendo con metà dell’imbarcazione sui ciottoli. Si udì un pericoloso stridore ed il rumore del legno che si sfascia. La parte inferiore della barca si era spaccata.

Fleming saltò fuori, cercando un punto d’appoggio. Poi afferrò André e la sollevò. La depose delicatamente sui sassi, fuori di portata delle onde, e tornò verso la barca. La manovrò in maniera da volgere la prua verso il mare aperto. L’acqua stava già entrando rapidamente. Mantenendo il timone diritto, avviò il motore e lo mise al massimo. L’imbarcazione schizzò via follemente, con la prua quasi dentro l’acqua, e le pale del fuoribordo che giravano fuori. Non aspettò di veder affondare la barca; sollevò di nuovo André, e si arrampicò più velocemente che poté verso un terrapieno, che sovrastava la parete di roccia.

Vide un sentiero ben tracciato di poca terra battuta, dove dell’erba stenta e dell’erica malaticcia lottavano per sopravvivere.

Fleming non ne fu affatto sorpreso; se lo era aspettato. Infatti, proprio nel momento in cui la barca era stata lanciata sulla spiaggia, aveva potuto intravedere una pallida luce gialla a circa cento metri di distanza, al di sopra delle rocce.

Vista dal sentiero, la luce aveva una forma; era una stretta fenditura tra due tendine.

Non gli importava chi vivesse in quel luogo. Guardia costiera, operatore di radar, osservatore della traiettoria dei missili, o recluso. La cosa principale era ora trovare calore e soccorso per la ragazza. Essa, infatti, era di nuovo senza vita, come quando l’aveva scorta nel recesso della caverna.

2

Il fronte del freddo

L’ambasciata dell’Azaran era facilmente identificabile in mezzo alla lunga fila di case edoardiane, i cui occupanti ed affittuari amavano dichiarare di vivere nel quartiere Belgravia, mentre il loro indirizzo postale era, in realtà, quello di Pimlico. Era una costruzione che si notava, con i suoi stucchi cadenti e crepati, riparati e pitturati di un lucido color crema. Sulla facciata, inoltre, facevano bella mostra una sfarzosa bandiera, ed una lucidissima targa di ottone.

L’interno era lussuoso. Lo studio dell’ambasciatore era ammobiliato con quella perfezione di gusto e quegli oggetti sfarzosi, che sono possibili soltanto quando il denaro non costituisce un problema. E l’Azaran, durante gli ultimi, pochi anni, aveva navigato verso una prosperità superficiale e temporanea sul piccolo lago di petrolio che i geologi inglesi avevano scavato nel deserto.

Il colonnello Salim, suo rappresentante accreditato alla corte di San Giacomo, era stato l’uomo forte dei militari nella rivoluzione del suo paese. Aveva dovuto lavorare duramente per rendersi indispensabile a quell’idealista, che il fato e l’intrigo avevano fatto diventare presidente, e il presidente, per ricompensa, gli aveva offerto un posto in diplomazia: nella migliore sede a disposizione. Per essere esatti, l’Azaran non si preoccupava molto per lo stato delle sue ambasciate in tutti gli altri paesi d’Europa, ma non dimenticava che la Gran Bretagna, per il momento, era la padrona della sua economia nazionale.

A Salim piaceva vivere in Occidente; ma questo cambiamento dalla forza alla diplomazia, non gli andava giù. Era un uomo duro e, in un certo senso, un idealista genuino; ma aveva dimenticato i precetti della propria religione abbastanza da amare i liquori e temperato le fiere credenze della sua razza tanto da prendere gusto alle donne occidentali. Ma, più di ogni altra cosa, era stato impressionato dal modo in cui gli europei usano le loro ricchezze. Nel suo paese, la ricchezza veniva sfarzosamente ostentata. Ma in Occidente, essa era sfruttata per ottenere qualcosa di infinitamente più desiderabile: il potere.