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«Ma piacerebbe al governo dell’Azaran,» mormorò Salim. Ora era di nuovo calmo, quasi dolce. Sorrise a Kaufmann. «È mia fondata opinione che il nostro presidente confermerebbe la sua offerta alla Intel solo a patto che funzioni come un accordo complessivo, postale, come amano dire qui; un accordo che contenga Fleming. Come leale funzionario della Intel, ha qualcos’altro da dire?»

Kaufmann tirò fuori la scatola dei sigari, rifletté un istante, quindi la rimise nella tasca. «Sarebbe difficile, costoso,» mormorò. «Se la mia teoria del sabotaggio è corretta, Herr Fleming è già stato arrestato.»

«I vostri superiori senza dubbio preferiscono i fatti alle teorie,» osservò Salim. «Forse dovrebbe tornare in Scozia, e continuare ad investigare. Mi telefoni regolarmente per riferirmi ogni progresso. Con cautela, naturalmente. Non dimentichi che sono un diplomatico.»

Kaufmann si alzò, si inchinò rigidamente, prendendo congedo.

«Può fidarsi di me, Eccellenza,» disse.

Avvicinandosi alla casa, Fleming prese a muoversi più cautamente. Per quanto fosse ansioso di mettere André al riparo, non aveva nessuna intenzione di andare a finire nelle braccia dell’avversario. Lasciò quindi lo stretto sentiero, ed incominciò ad avvicinarsi lateralmente attraverso il giardino incolto.

La casa era quella tipica dei contadini delle Western Isles — brutta ma solida. Le imposte di legno suggerivano l’idea di un interno intimo. Era stata proprio una imposta rotta, che aveva permesso alla luce della lampada di penetrare il buio.

Fleming si accostò ad un lato della finestra. La tenda di cretonne a disegni era stata tirata senza cura da un lato del vetro. Nell’interno vedeva un uomo, seduto davanti ad una tavola. Il suo volto pallido ed ascetico possedeva una specie di semplice giovinezza, in contrasto con le ciocche di capelli grigi e le fitte rughe intorno agli occhi. Fleming giudicò che fosse tra i quaranta ed i cinquant’anni. Portava un pullover a collo alto di buona qualità, ma molto vecchio. Le mani sensibili gesticolavano, tenendo tra le lunghe dita una matita, che si muoveva nell’aria in un ritmo ondeggiante, ed era evidente che stava parlando da solo.

Fleming premette la faccia sul vetro, per. riuscire a vedere il resto della stanza, stracarica di vecchi mobili e di libri posati dovunque. Ma non vi era nessun altro. La porta di legno non verniciato, sul lato opposto, era chiusa. Fleming fu soddisfatto; il rifugio sembrava abbastanza sicuro. Bussò forte alla pesante porta di quercia.

Si udì una sedia stridere sulle tavole lisce del pavimento, ed una voce piuttosto alta e belante chiedere: «Chi è?» La porta rimase chiusa.

«Ci faccia entrare, per favore,» gridò Fleming più forte che poté, «è urgente!»

Un chiavistello prese a scorrere gemendo. Con un rumore di saliscendi smosso, la porta si socchiuse di qualche centimetro.

«Chi siete? Cosa volete?» Un occhio grigio guardava attraverso la fessura.

Fleming spinse la porta con la spalla. «Prima facci entrare, nonnino,» disse, «le spiegazioni dopo.»

L’uomo lasciò la porta spalancata, e si fece da parte, mentre Fleming entrava. Sogguardava con aria sospettosa, ma anche rassegnata, la ragazza ancora incosciente nelle braccia di Fleming.

«Lei non è mio nipote,» disse incerto, «e sono quasi sicuro di non aver mai incontrato questa signorina.»

Chiuse la porta con un gesto sconsolato ed un poco fatuo, da vecchia zitella.

«No,» ammise Fleming, dirigendosi verso il caminetto dove un fuoco di sterpi bruciava stizzoso ma caldo. «Nonnino è una vecchia forma di saluto runico.» Depose delicatamente André su di un sofà che era stato trascinato accanto al caminetto.

Gli occhi dell’uomo si illuminarono per l’interesse. «Runico, ha detto? Non ho mai…» La sua voce morì.

Fleming si tolse la giacca fradicia e la gettò su una poltrona mezzo rotta. «Possiamo restare un poco?» domandò.

L’uomo gironzolava sconsolato. «Suppongo di sì,» rispose senza entusiasmo; «da dove venite?»

Fleming era occupato a sfilare il giaccone che copriva André, tirando delicatamente le maniche, in modo che non toccassero le mani.»

«Dal mare,» disse brevemente, «in barca. Adesso se ne è andata; a pezzi, spero.»

L’uomo smosse il fuoco, sollevando una cascata di scintille.

«Devo confessare che non riesco a capirla,» osservò.

Fleming si rialzò con un ghigno. «Mi dispiace, siamo un po’ mal ridotti. Tempo schifoso, per una gita in mare.»

L’uomo stava fissando André. Ebbe una specie di brivido nel vedere la carne informe e rossastra intorno alle dita.

«Cosa è accaduto alle mani della sua amica?» domandò diffidente, come vergognandosi di questa indelicata curiosità.

«Se le è bruciate; ha toccato dei fili ad alto voltaggio. Non avrebbe qualcosa di caldo, per caso? Della minestra?»

«Solo di quella in scatola.» L’uomo sospirò profondamente, vergognoso del proprio atteggiamento. «Ora la vado a prendere. Mi deve scusare,» continuò, sorridendo quasi infantilmente, «è solo che siete arrivati così all’improvviso. Il mio nome è Preen, Adrian Preen. Io — ehm — scrivo.» Guardò con nostalgia il tavolo sommerso di fogli coperti da una scrittura grande e disordinata. «Vado a prendere la minestra.» Uscì dalla porta interna, richiudendola accuratamente dietro di sé.

André ebbe un brivido, gemette, ed aperse gli occhi. Fleming si inginocchiò accanto a lei. «Come ti senti?» le sussurrò.

Gli occhi della ragazza erano vuoti, ma ella riuscì a volgere la testa ed a guardarlo. Gli sorrise perfino. «Sto meglio, ora. Le mani mi danno delle fitte. Cosa è successo?»

«Stiamo scappando,» disse lui, carezzandole i capelli. «Abbiamo cominciato a fuggire due notti fa, quando abbiamo bruciato il calcolatore. Te ne ricordi?»

Ella aggrottò la fronte e scosse il capo. «Calcolatore? Quale calcolatore? Non riesco a ricordare nulla.»

«Ci riuscirai presto,» la rassicurò, «non ti sforzare per questo.» Si rialzò ed andò verso il tavolo, gettando un’occhiata al manoscritto. «Ser Lionello ed il Cavaliere Verde,» lesse ad alta voce. «Che roba antiquata! Speravo di trovare un guardiano, ma abbiamo incontrato una pecora. Riesci a capire come possa mantenersi con roba simile?»

Fu interrotto dal rumore della porta che si apriva, e si allontanò dalla tavola. Preen era rientrato con due ciotole fumanti su di un vassoio. Prese uno sgabello, e vi pose sopra il vassoio, al lato di André. «Crema di pomodoro, mi dispiace,» si scusò.

«Andrà benissimo,» disse Fleming. Prese un cucchiaio, e cominciò ad imboccare André, che inghiottì avidamente il liquido rosso e denso.

«Come si chiama quest’isola?» continuò Fleming. «Si chiama Soay?»

«È proprio vicina a Soay, ma è molto più piccola.»

«Così lei è il solo padrone, qui?»

Preen annuì. «E alla vostra mercé.» Si scusò di nuovo in fretta. «Sono stato scortese. Ma è una tale sorpresa, per me. Comunque, ora vi lascerò mangiare in pace. Potrei sapere il vostro nome?»

«Fleming, John Fleming.» Non aggiunse di sua volontà quello di André.

«Ve l’ho chiesto solo per cortesia,» disse Preen educatamente, «dato che sono il vostro ospite. Dovrete stare qui, naturalmente. Non ci sono altri posti dove andare. È per questo che ho scelto quest’isola.»

«Ma il perché non me l’ha ancora detto, no?» suggerì Fleming.

Preen esitò, con aria imbarazzata. «Sono venuto perché è sicura. O, almeno, relativamente. Partecipavo a delle proteste contro la bomba, e ad altre cose del genere, ma mi sono stancato di espormi a queste follie, ed ho deciso che era più ragionevole andarsene.»

Fleming inghiottì l’ultimo cucchiaio di minestra. «E così siamo in tre,» ghignò. «Ma quando cadrà la bomba, e lei sarà rimasto nell’unica oasi di vita e di conoscenza, mi sa dire come farà a difendersi dai pirati, da tutti quelli che saranno terrorizzati, privi di aiuto, e coperti di radiazioni pericolose?»