Dopo un’altra pausa, e un po’ a malincuore, il mago disse: «Certamente».
Il re attese, ma il mago non disse altro.
Allora, Lebannen si girò verso l’acqua illuminata dal sole e parlò come se cominciasse a raccontare una storia: «Quando io e lui siamo arrivati a Roke dal più lontano Occidente, portati dal drago…» S’interruppe, e il nome del drago si pronunciò da solo nella mente di Tenar: Kalessin, come un suono di gong.
«Il drago mi lasciò a Roke, ma portò via lui. Il custode della porta della Grande Casa disse allora: ‘Ha finito di agire. Torna a casa’. E prima ancora, sulla spiaggia di Selidor, lui mi aveva ordinato di lasciare il suo bastone, perché ormai non era più un mago. Così, i Maestri di Roke si consultarono per eleggere un nuovo Arcimago.
«Vollero che fossi presente anch’io, perché sapessi quello che deve sapere un re sul Consiglio dei Saggi. E inoltre ero presente per sostituire uno di loro: Thorion l’Evocatore, la cui arte si era volta contro lui medesimo, a opera del grande male che Lord Sparviero ha trovato e ha fermato. Quando eravamo nel deserto, tra la parete e le montagne, io vidi Thorion. Lord Sparviero gli parlò e gli insegnò come tornare alla vita al di là della parete. Ma Thorion non prese quella strada. Non fece ritorno.»
Con le mani forti e affusolate, il giovane re strinse con violenza il legno della balaustra, continuando a fissare le onde marine. Tacque per un istante, poi riprese il racconto.
«Così, fui io a completare il numero dei nove che si raccolsero per scegliere il nuovo Arcimago.
«Sono… sono dei saggi», continuò, lanciando un’occhiata a Tenar. «Non solo conoscono la loro arte, ma sono persone fidate. Si servono delle differenze tra loro, come ho visto fare altre volte, per rendere più salda la loro decisione. Ma questa volta…»
«Il fatto è», intervenne il Maestro dei Venti, vedendo che Lebannen non voleva dare l’impressione di criticare i Maestri di Roke, «che quella volta parlarono solo delle differenze, senza prendere decisioni. Non raggiungemmo alcun accordo. Perché l’Arcimago non era morto, capite, eppure non era un mago… ma era ancora chiaramente un signore dei draghi, come avevamo visto. E perché il nostro Maestro delle Metamorfosi era ancora sconvolto dopo avere visto la sua arte rivolgersi contro di lui, ed era convinto che Evocatore sarebbe ritornato dalla morte, e ci aveva supplicato di aspettarlo. E perché il Maestro degli Schemi non volle parlare. È di Karg come voi, signora; lo sapevate? Viene da Karego-At.» Con quei suoi occhi acuti, la sorvegliava attentamente: da che parte soffiava il vento? «Così, per tutti questi fatti, ci trovammo bloccati. Quando il Guardiano chiese i nomi dei candidati, non ne venne presentato nessuno. Ciascuno guardava gli altri…»
«Io guardavo in terra», disse Lebannen.
«Così, alla fine ci rivolgemmo a una persona che conosceva certamente i nomi: il Maestro dei Nomi. Questi stava osservando attentamente il Maestro degli Schemi che sedeva in mezzo alle sue piante come un ceppo di legno. Dovete sapere che ci incontriamo nel Boschetto, tra quegli alberi le cui radici sono più profonde delle stesse isole. Ormai era già sceso il crepuscolo. A volte tra quegli alberi c’è una luce, ma non quella notte. Era buio, non c’erano le stelle, al disopra degli alberi il cielo era nuvoloso. E il Maestro degli Schemi si alzò e prese la parola… ma nella sua lingua, non nell’Antica Lingua, non in hardico ma in kardico. Pochi di noi la conoscevano: in gran parte non sapevamo neppure di che lingua si trattasse, e non sapevamo che cosa pensare. Ma il Maestro dei Nomi ci disse quel che aveva detto il Maestro degli Schemi: una donna di Gont.»
S’interruppe. Non guardava più Tenar. Dopo qualche istante, lei chiese: «E niente di più?»
«Non una parola. Quando lo interrogammo, ci fissò e non seppe che cosa rispondere, perché aveva parlato in una visione, capite… Aveva visto lo schema delle cose, il modello, e non è materia che si possa facilmente trasformare in parole, e ancor meno in idee. Neanche lui sapeva che cosa pensare: sapeva quel poco che sapevamo noi.»
I Maestri di Roke erano degli insegnanti, dopotutto, e il Maestro dei Venti era un buon insegnante: non poté fare a meno di darle dei chiarimenti. Più di quanto non volesse in partenza, forse. Guardò per un istante Tenar e poi distolse gli occhi.
«Sembrava dunque che dovessimo proprio venire a Gont. Ma perché? Per cercare chi? ‘Una donna’… Non molto, come indicazione! Evidentemente, questa donna ci dovrà guidare al nostro Arcimago, chissà come. E allora, come avrete immaginato, venne fatto il vostro nome: infatti, di che altra donna di Gont avevamo sentito parlare? Quella non è una grande isola, ma la vostra fama è immensa. Uno di noi disse: ‘Ci porterà da Ogion’. Ma sapevamo che Ogion aveva rifiutato molti anni fa il posto di Arcimago, e certo non l’avrebbe accettato adesso che era vecchio e malato. E mi pare, infatti, che Ogion sia morto proprio in quei giorni. Poi un altro disse: ‘Ci può portare anche da Sparviero’. A quel punto brancolavamo davvero nel buio.»
«Certo», confermò Lebannen. «E cominciò anche a piovere, in mezzo a quegli alberi.» Sorrise. «Avevo temuto di non vedere mai più la pioggia. Fu una grande gioia per me.»
«Nove membri del Consiglio bagnati e uno solo felice», commentò il Maestro dei Venti.
Tenar rise. Non poteva fare a meno di provare simpatia per quell’uomo. Se era così guardingo verso di lei, anche a lei conveniva essere cauta nei suoi confronti; ma con Lebannen, e soprattutto in sua presenza, era ammissibile solo la sincerità.
«La donna di Gont non posso essere io», disse, «perché io non posso condurvi da Sparviero.»
«Anch’io ero dell’idea», disse il mago, con un’aria di sincerità che forse era vera, «che non poteste essere voi, signora. Per prima cosa, il Maestro degli Schemi avrebbe certo detto il vostro nome durante la visione. Sono così pochi coloro che portano apertamente il loro nome vero! Tuttavia, il Consiglio di Roke mi ha incaricato di chiedervi se conoscete qualche donna della vostra isola che possa essere la persona che cerchiamo: la madre o la sorella di un uomo di Potere, o anche la sua insegnante, perché sappiamo che ci sono streghe molto sagge a modo loro. Che Ogion conoscesse una donna di questo genere? Dicono che conoscesse ogni persona dell’isola, anche se abitava da solo e vagava nei boschi. Peccato che non sia più vivo per aiutarci!»
Tenar aveva già pensato alla pescatrice della storia di Ogion. Ma quella donna era già vecchia quando Ogion l’aveva incontrata, molti anni prima, e ormai doveva essere morta. Anche se i draghi, pensò, erano molto longevi.
Per qualche tempo rimase in silenzio, e poi disse soltanto: «Purtroppo non conosco persone del genere».
Sentiva perfettamente l’irritazione del mago, e la fatica che questi faceva per controllarsi. Che cosa mi nasconde? si stava di certo chiedendo il mago. Che cosa vuole, esattamente? E Tenar si chiese perché non potesse parlargli. Ma la sordità del mago la costringeva a tacere. Non poteva nemmeno dirgli che era sordo.
«Allora», disse Tenar, dopo qualche minuto, «non c’è un Arcimago di Earthsea. Ma c’è un re.»
«In cui giustamente riponiamo la nostra fiducia e le nostre speranze», disse il mago, in tono sincero e con calore. Lebannen, che li guardava e li ascoltava, sorrise.
«Negli scorsi anni», disse Tenar, esitante, «ci sono stati tanti dolori. La mia… la bambina… Cose del genere sono state fin troppo comuni. E ho sentito uomini e donne di Potere lamentarsi della perdita, o della trasformazione, dei loro Poteri.»
«L’uomo che è stato sconfitto dall’Arcimago e dal nostro sovrano nelle terre deserte, quel Pannocchia, aveva causato infiniti danni. Noi stiamo cercando di ricostruire la nostra arte, curando i nostri maghi e la nostra magia, ma occorrerà molto tempo prima che l’opera sia terminata», disse il mago, con decisione.