Ged e Tenar ne avevano parlato, e lei gli aveva raccontato di aver insegnato a Therru una sola parola, tolk, e poi di essersi fermata, perché non le sembrava giusto continuare, anche se lei stessa non avrebbe saputo dirne il motivo.
«Ho pensato che dipendesse dal fatto che non avevo mai usato veramente quel linguaggio, non l’avevo mai usato per fare magia. Pensavo che forse avrebbe dovuto impararlo da una persona che lo parla.»
«Nessun uomo lo parla.»
«E tantomeno le donne.»
«Voglio dire che solo i draghi lo parlano come propria lingua.»
«E lo imparano da qualcuno?»
Colpito dalla domanda, Ged non rispose subito, ma passò in rassegna tutto quel che sapeva dei draghi. «Non saprei», disse infine. «Non sappiamo se se lo insegnano come facciamo noi, la madre al figlio, il vecchio al giovane. O se sono come gli animali, che hanno bisogno di imparare alcune cose, ma che possiedono già alla nascita gran parte delle loro conoscenze. Non lo sappiamo. Ma io penso che il drago e la sua lingua siano una cosa sola. Un solo essere.»
«E non parlano altre lingue.»
Ged annui. «I draghi non hanno bisogno di imparare», disse. «I draghi sono.»
Therru, infagottata in una vecchia giacca di agnello, entrò nella cucina. Uno dei suoi incarichi consisteva nel portare la legna per il focolare, e in quel momento stava andando a prenderne nella legnaia. Posò la legna nella cesta vicino al focolare e uscì di nuovo.
«Che cosa canta?» chiese Ged.
«Chi, Therru?»
«Sì, quando è sola.»
«Ma non canta mai. Non può farlo.»
«Canta a modo suo. ‘Più a ponente del tramonto del sole…’»
«Ah!» disse Tenar. «Quella storia. Ogion non ti ha mai parlato della donna di Kemay?»
«No», rispose Ged. «Raccontamela.»
Tenar gli raccontò la storia mentre filava, accompagnando le parole con il suono dell’arcolaio. Alla fine della storia, aggiunse: «Quando il Maestro dei Venti mi ha detto di essere venuto a cercare ‘una donna di Gont’, pensai subito a lei. Ma ormai sarà morta, senza dubbio. Inoltre, una donna che era un drago potrebbe essere Arcimago?»
«Be’, il Maestro degli Schemi non ha detto che la donna di Gont dovesse essere Arcimago», rispose Ged. Si stava riparando un brutto strappo sui calzoni, e sedeva sul davanzale della finestra per approfittare di tutta la luce possibile, in quel giorno scuro. Erano passati quindici giorni dal Ritorno del Sole, e si era nel periodo più freddo dell’anno.
«Allora, che cosa ha detto?» chiese Tenar.
«’Una donna di Gont.’ Esattamente come hai detto a me.»
«Ma volevano sapere chi dovesse essere il prossimo Arcimago.»
«E non hanno avuto una risposta a quella domanda.»
«Infinita è la sottigliezza dei maghi», citò Tenar, in tono un po’ asciutto.
Ged tagliò con i denti il filo e si avvolse sul dito il pezzo avanzato.
«Ho imparato a cavillare, a Roke», dovette ammettere. «Ma questi non sono cavilli. ‘Una donna di Gont’ non può diventare Arcimago, perché nessuna donna può diventarlo. Per diventarlo, dovrebbe distruggere quello che è. I maghi di Roke sono uomini; il loro Potere è quello degli uomini, la loro conoscenza è quella degli uomini. Magia e mascolinità sono costruiti sulla stessa pietra, ossia il Potere appartiene agli uomini. Se le donne avessero il Potere, gli uomini sarebbero solo delle donne che non possono mettere al mondo i figli. E le donne sarebbero solo uomini con questa facoltà.»
«Ah!» esclamò Tenar e, con astuzia, osservò: «Non sono esistite anche delle regine? Anch’esse avevano il Potere».
«Una regina è solo un re in gonnella», disse Ged.
Lei sbuffò.
«Voglio dire che il Potere glielo danno gli uomini. Le permettono di usare il loro Potere. Ma esso non è della regina. È potente non perché è una donna, ma nonostante il fatto che lo sia.»
Tenar annuì. Raddrizzò la schiena, dopo essere stata curva sull’arcolaio. «Allora», chiese, «qual è il Potere delle donne?»
«Non credo di conoscerlo.»
«Quand’è che una donna ha Potere per il fatto di essere una donna? Con i figli, forse. Per un certo periodo.»
«Nella propria casa, forse.»
Lei si guardò attorno, osservò le pareti di pietra della cucina. «Ma le porte sono chiuse a chiave», osservò.
«Perché siete importanti.»
«Oh, sì. Siamo preziose. Purché si resti prive di Potere… Ricordo ancora il giorno in cui l’ho capito per la prima volta! Kossil mi aveva minacciato… minacciato me, la Sacerdotessa delle Tombe. E capii di non poter fare niente. Io avevo gli onori, ma lei aveva il potere, che le veniva dal Diore, l’uomo. Oh, come me la sono presa! E come mi sono spaventata… Io e Lodola abbiamo parlato di queste cose, una volta, e lei ha chiesto: ‘Perché gli uomini hanno paura delle donne?’»
«Se la propria forza consiste solo nella debolezza altrui, si vive nella paura», le fece notare Ged.
«Sì, ma le donne danno l’impressione di avere paura della propria forza, di temere se stesse.»
«Vi hanno mai insegnato a fidarvi delle vostre forze?» chiese Ged, e mentre parlava giunse Therru, con la legna. Incrociò lo sguardo con quello di Tenar.
«No», disse la donna. «La fiducia non è una materia che ci hanno insegnato.» Guardò la bambina che metteva la legna nella cesta. «Se il Potere fosse fiducia…» riprese. «Mi piace quella parola. Se non ci fossero tutte quelle gerarchie… uno sopra l’altro… re e maestri e maghi e possidenti. Sembra tutto inutile. Il vero Potere, la vera libertà, dovrebbe basarsi sulla fiducia, non sulla forza.»
«Come i bambini si fidano dei genitori», commentò Ged.
Tutt’e due rimasero in silenzio.
«In realtà», riprese poi Ged, «anche la fiducia corrompe. I maghi di Roke si fidano di se stessi e dei compagni. Il loro Potere è puro, niente lo macchia, e perciò credono che quella purezza sia anche saggezza. Non riescono a concepire la possibilità di commettere qualcosa di sbagliato.»
Tenar lo fissò con stupore. Ged non aveva mai parlato di Roke in quel modo, come se ne fosse del tutto all’esterno, come se ne fosse libero del tutto.
«Forse avrebbero bisogno di qualche donna che gliene ricordi la possibilità», commentò lei, e Ged rise.
Tenar rimise in movimento l’arcolaio. «Ancora non mi è chiaro: che cosa impedisce a una donna di diventare Arcimago, visto che può essere regina?»
Therru li stava ascoltando.
«Sì, come la neve bollente e l’aria asciutta», disse Ged, ricordando un proverbio di Gont. «I re ricevono il Potere da altri uomini. Il Potere di un mago è solamente suo.»
«Ed è un Potere maschile. Perché non conosciamo quale sia il Potere delle donne. Capisco. Però, perché non riescono a trovare un Arcimago… di sesso maschile?»
Ged studiò per qualche istante l’orlo sbrindellato dei calzoni. «Be’», disse infine, «se il Maestro degli Schemi non ha risposto alla loro domanda, è perché rispondeva a una domanda che non gli era stata fatta. Forse dovrebbero chiedergli che domanda era.»
«È un indovinello?» chiese Therru.
«Sì», disse Tenar, «ma non conosciamo la domanda. Conosciamo solo la risposta, ed è: ‘Una donna di Gont’.»
«Ce ne sono tante», concluse Therru, dopo averci pensato per qualche momento. Poi, evidentemente soddisfatta, uscì per andare a prendere un altro carico di legna.
Ged la guardò allontanarsi. «’Tutto è cambiato’», disse. «A volte mi chiedo, Tenar, se il regno di Lebannen non sia solo l’inizio. Una porta. E lui il guardiano, che non potrà mai oltrepassarla.»
«È così giovane», disse Tenar, con tenerezza.