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«Giovane come Morred quando combatté contro le Navi Nere. Giovane come me quando…» S’interruppe e guardò fuori della finestra, i rami senza foglie e i campi grigi e gelidi. «O come te, Tenar, in quel luogo buio. Che cosa significano la gioventù o la vecchiaia? Non lo so. A volte mi sembra di avere mille anni, altre volte che la mia vita sia una rondine in volo, vista da una fessura della parete. Sono morto e sono rinato, sia nel deserto sia qui sotto il cielo, più di una volta. E la Creazione ci dice che ritorniamo sempre alla nostra fonte, eternamente, e che essa non si prosciuga mai. ‘Solo nella morte è vita…’ Pensavo a questo, quando ero con le capre sulla montagna, e il giorno si prolungava in eterno, ma si aveva la sensazione che la sera giungesse in un attimo, e cosi il mattino dell’indomani. Ho imparato la saggezza delle capre, e così ho finito per chiedermi: per chi è questo mio dolore? Di chi piango la morte? Di Ged l’Arcimago? Perché Falco il pastore deve soffrire e vergognarsi per lui? Che cosa ho fatto, di cui debba vergognarmi?»

«Niente!» esclamò Tenar. «Mai!»

«No, invece», disse Ged. «Ogni grandezza degli uomini si basa sulla vergogna, è fatta di quella. E così Falco il pastore ha pianto per Ged l’Arcimago. E si è preso cura delle capre, anche, come poteva prendersene cura uno della sua età.»

Dopo qualche istante, Tenar sorrise. Disse, timidamente: «Muschio sosteneva che eri un quindicenne».

«Non aveva torto. Ogion mi aveva dato il nome vero in autunno, e l’estate successiva ero a Roke. Chi era quel ragazzo? Un vuoto… Una libertà.»

«Chi è Therru, Ged?»

Lui non rispose, e alla fine Tenar pensò che non le avrebbe più risposto. Poi Ged disse: «Nelle sue condizioni… che libertà può esserci per lei?»

«Ciascuno di noi è la propria libertà, quindi?»

«Credo di sì.»

«Quando avevi il Potere, tu mi sembravi l’uomo più libero che esistesse. Ma a quale costo? Che cosa ti dava quella libertà? E io… io ero stata creata, plasmata come creta, dalla volontà delle donne che servivano gli Antichi Poteri, o che servivano gli uomini che avevano creato tutti i riti, i costumi e i luoghi, non sapevo chi. Poi sono stata libera, con te, per un momento, e anche con Ogion. Ma non era la mìa libertà. Però, mi permetteva la scelta, e io ho scelto. Ho scelto di plasmarmi come creta per servire una fattoria, un marito e dei figli. Sono diventata un vaso, e conosco la forma di quel vaso. Ma non la creta di cui è fatto. La vita mi ha fatto danzare. Conosco la danza, ma non so chi sia il danzatore.»

«E lei», disse Ged, dopo un lungo silenzio, «se dovesse mai danzare…»

«Finiranno per avere paura di lei», sussurrò Tenar. Poi Therru entrò nella cucina, e la conversazione si spostò sulla pasta del pane che lievitava nella madia. Continuarono a parlare a quel modo, tranquillamente e a lungo, passando da un argomento all’altro, per poi ritornare al primo, molte volte per metà di quelle brevi giornate, filando e cucendo insieme, con le parole, le loro vite, gli anni e le azioni e i pensieri che non avevano condiviso. Poi tacevano per riflettere, per lavorare e per sognare, e con loro c’era la bambina silenziosa.

Cosi passò l’inverno, finché non giunse la stagione degli agnelli, e per qualche tempo il lavoro divenne molto pesante, mentre i giorni si allungavano e diventavano sempre più chiari. Poi le rondini fecero ritorno dalle isole illuminate dal sole, dalle Terre Meridionali, dove la stella più splendente è Gobardon della costellazione del Termine; ma i discorsi delle rondini tra loro parlavano solo di inizi.

IL PADRONE

Dopo le rondini, anche le navi ricominciarono a volare da un’isola all’altra con il ritorno della primavera. Nei villaggi si diceva, ripetendo voci giunte da Valmouth, che le navi del re davano la caccia ai predatori, spingendo alla rovina pirati bene affermati, confiscando le loro navi e le loro fortune. Lord Heno in persona aveva fatto salpare le sue tre navi più belle e più veloci, capitanate dal pirata-stregone Tally, temuto da ogni mercantile da Soléa alle Andrades; la sua flotta contava di tendere un’imboscata alle navi reali al largo di Oranéa e di distruggerle. Ma fu uno dei vascelli del re a entrare nella baia di Valmouth con Tally in catene, e con l’ordine di scortare Lord Heno a Porto Gont, dove lo attendeva un processo per pirateria e omicidio. Heno si barricò nel suo castello, sulle colline dietro Valmouth, ma si dimenticò di accendere un fuoco, dato che si era in primavera e faceva già caldo. Così, cinque o sei dei giovani soldati del re gli piombarono addosso passando per il camino, e l’intera squadra lo scortò in catene lungo le vie di Valmouth per poi consegnarlo alla giustizia.

Quando ne venne a conoscenza, Ged disse con affetto e orgoglio: «Tutte le cose che un re può fare, lui le farà bene».

Faina e Lince erano stati immediatamente trasferiti a Porto Gont, per la strada del nord, e Tinca, non appena le ferite gli si erano rimarginate, vi era stato portato per nave, per essere processato da una corte di giustizia del re. Nella Valle di Mezzo, la notizia della loro condanna alle galee fu motivo di soddisfazione e di molte autocongratulazioni, cui Tenar, e Therru vicino a lei, assistette in silenzio.

Giunsero altre navi con altri uomini mandati dal re, e non tutti furono accolti con la stessa simpatia dalla popolazione della scontrosa Gont: sceriffi del regno, inviati per controllare il comportamento delle guardie e dei giudici di pace, e per ascoltare le lamentele e le denunce della gente comune; ispettori delle tasse ed esattori; nobili che andavano a fare visita ai signorotti di Gont e che si informavano educatamente della loro fedeltà alla corona di Havnor; e maghi che andavano qua e là e che davano l’impressione di fare poco e di parlare ancor meno.

«Penso che alla fine si siano decisi a cercare un nuovo Arcimago», disse Tenar.

«O che cerchino gli abusi della professione», rifletté Ged. «La magia usata a scopi malvagi.»

Tenar era sul punto di osservare: «Allora dovrebbero andare a dare un’occhiata nel castello di Re Albi!» ma non riuscì a pronunciare le parole. Che cosa intendevo dire? si chiese. Dovrei parlare a Ged di… me ne sono scordata. Che cosa volevo dirgli? Ah, sì, che c’è da riparare il cancello in fondo al pascolo, prima che le mucche scappino via.

Aveva sempre dieci cose per la mente, questioni della fattoria. «Non riesci mai a fare una cosa sola per volta», le aveva detto Ogion. Anche con Ged ad aiutarla, tutte le sue giornate, tutti i suoi pensieri erano dedicati alla fattoria. Ged condivideva con lei il lavoro domestico, più di quanto Selce avesse mai fatto. Ma Selce era un fattore, mentre Ged non lo era. Imparava in fretta, ma le cose da sapere erano tante. Lavoravano. C’era poco tempo per parlare, adesso. Alla fine della giornata cenavano insieme e poi andavano a dormire insieme, dormivano e si svegliavano all’alba per rimettersi al lavoro, e così giorno dopo giorno, come la ruota di un mulino, riempirsi e svuotarsi, i giorni come cascate d’acqua.

«Ciao!» gridò un giovanotto snello, dal cancello della fattoria.

Tenar pensò che fosse il figlio di Lodola e gli chiese: «Che cosa è successo, giovanotto?» Poi staccò gli occhi dai pulcini che beccavano e dalle oche che passavano in parata.

«Scintilla!» esclamò, e corse verso di lui, mentre oche e pulcini scappavano da tutte le parti.

«Su, su», disse lui. «Non ti agitare così.»

Si lasciò abbracciare e baciare. Poi entrò in casa e si sedette al tavolo, in cucina.

«Hai mangiato? Melina, l’hai vista?»

«Potrei mangiare qualcosa?»

Tenar andò a prendere del cibo nella dispensa ben fornita. «Su che nave sei? Sempre il Gabbiano

«No.» S’interruppe. «La mia nave non c’è più.»

Lei lo guardò inorridita. «È affondata?»