Lui la fissò per un momento e disse: «Quello è un lavoro da donne», e s’infilò il cappello.
«È un lavoro di tutti quelli che mangiano in questa cucina.»
«Non mio», disse lui, seccamente, e uscì.
Lei lo seguì. Si fermò sulla soglia. «È lavoro di Falco, ma non tuo?» chiese.
Lui si limitò a fare un cenno d’assenso, e si allontanò.
«Troppo tardi», disse Tenar, ritornando in cucina. «Ho fallito, ho fallito!» Si accorse di avere serrato le labbra e corrugato la fronte. «Puoi bagnare un sasso finché vuoi», commentò. «Ma non crescerà mai.»
«Bisogna cominciare quando sono giovani e teneri», disse Ged. «Come me.»
Questa volta, Tenar non riuscì a ridere.
Quando fecero ritorno a casa dai lavori della giornata, videro che Scintilla era accanto al cancello, e parlava con un uomo.
«Non è quell’uomo di Re Albi?» chiese Ged, che aveva la vista acuta.
«Vieni, Therru», disse Tenar, perché la bambina si era bloccata. «Che uomo?» Aveva la vista un po’ corta, e strinse le palpebre per guardare. «Ah, è lui, il sensale di pecore. Townsend. Che cosa sarà tornato a fare, quell’avvoltoio?»
Per tutto il giorno, Tenar aveva avuto un diavolo per capello, e Ged e Therru, saggiamente, rimasero zitti.
Tenar raggiunse i due uomini fermi accanto al cancello.
«Venite per quegli agnelli, Townsend? Siete in ritardo di un anno; ma nel recinto ce n’è ancora qualcuno di quest’anno.»
«Così mi diceva il padrone», rispose Townsend.
«Se lo dice lui», fece Tenar.
Nel sentire il tono di Tenar, la faccia di Scintilla si fece più scura che mai.
«Allora non voglio interrompere voi e il padrone», concluse lei, e stava per andarsene, quando Townsend disse:
«Ho un messaggio per voi, Goha».
«La terza volta è quella buona.»
«La vecchia strega, la conoscete, la vecchia Muschio, sta male. Quando ha saputo che venivo alla Valle di Mezzo mi ha detto: ‘Di’ alla signora Goha che vorrei vederla prima di morire, se può passare di qui’.»
Proprio un avvoltoio, pensò Tenar, guardando con odio quel portatore di brutte notizie.
«Sta male?»
«È moribonda», disse Townsend, con una specie di smorfia che voleva passare per cordoglio. «Si è ammalata questo inverno e continua a peggiorare, e così vorrebbe vedervi, prima di morire.»
«Grazie del messaggio», disse Tenar seccamente, e si avviò verso casa. Townsend e Scintilla andarono a vedere le pecore.
Mentre preparavano la cena, Tenar disse a Ged e a Therru: «Devo andare».
«Certo», disse Ged. «Tutt’e tre, se vuoi.»
«Verresti?» Per la prima volta nella giornata, il suo volto si rischiarò, le nubi temporalesche sparirono. «Oh», esclamò, «sono contenta. Non osavo chiederlo, pensavo che forse… Therru, hai voglia di rivedere la casetta di Ogion, per qualche giorno?»
Therru rifletté per qualche istante, immobile. «Potrei vedere il mio albero di pesco», disse.
«Sì, e ci sono Erica… e Sippy… e Muschio… povera Muschio! Oh, desideravo ritornare lassù, ma non mi sembrava giusto. C’era la fattoria, e tutto il resto…»
Le pareva che ci fosse anche un’altra ragione che le impediva di ritornare o anche soltanto di pensare a Re Albi; fino a quel momento non si era mai accorta che il suo desiderio di tornare in quel luogo fosse così forte; ma adesso quel vago timore che la bloccava scivolò via come un’ombra, come una parola dimenticata. «Mi chiedo se qualcuno si sia preso cura di Muschio, se abbia mandato a chiamare un guaritore. È l’unica guaritrice della zona sopra il Precipizio, ma a Porto Gont c’è gente in grado di aiutarla. Povera Muschio! Voglio andare da lei… oggi è troppo tardi per mettersi in viaggio, ma domattina, domattina presto. E il padrone di casa può prepararsi la colazione da solo!»
«Imparerà», commentò Ged.
«Oh, no. Troverà qualche stupida donna che lo farà per lui. Ah!» Si guardò attorno, nella cucina, con aria feroce. «Mi dispiace lasciarle i vent’anni passati a lucidare questo tavolo. Spero almeno che abbia un po’ di riconoscenza!»
Scintilla portò a cena Townsend, ma il sensale non si volle fermare per la notte, anche se, naturalmente, gli venne offerto un letto come si faceva di solito con gli ospiti. Si sarebbe trattato di uno dei loro letti, però, e a Tenar non garbava l’idea: così fu lieta di vederlo andare via, in quella serata di primavera ancora chiara, per recarsi a dormire da certi suoi conoscenti che abitavano nel villaggio.
«Figliolo, domattina all’alba partiremo per Re Albi», disse a Scintilla. «Io, Falco e Therru.»
Scintilla aveva un’espressione allarmata.
«Ve ne andate così, su due piedi?»
«Be’, tu te ne sei sempre andato e venuto così», gli ricordò la madre. «Ora, ascolta, Scintilla; questo è il salvadanaio di tuo padre. Ci sono sette pezzi d’avorio, e le cambiali del vecchio Bridgeman, che non le pagherà mai perché non ha niente con cui pagarle. Questi quattro pezzi delle Andrades vengono dalle pelli di montone che Selce ha venduto per quattro anni al sarto delle navi di Valmouth, quando tu eri ancora ragazzo. I tre pezzi di Havnor ci sono stati pagati da Tholy per la fattoria del Torrente Alto. Avevo detto io a tuo padre di comprare quella fattoria, e l’ho aiutato a rimetterla in ordine e a venderla. Tengo io quei tre pezzi, perché me li sono guadagnati. Gli altri e la fattoria sono tuoi. Tu sei il padrone.»
Il giovane alto e magro rimase immobile e continuò a fissare le monete contenute nella scatola.
«Prendili tutti», disse a bassa voce. «Non li voglio.»
«Non mi occorrono. Ma ti ringrazio, figlio mio. Tieni i quattro pezzi delle Andrades, però. Quando ti sposerai, saranno il mio regalo per la sposa.»
Rimise la scatola al suo posto: dietro il vassoio, nello scaffale più alto dell’armadio, dove l’aveva sempre tenuta Selce. «Therru, prepara tutte le tue cose, perché domattina partiremo presto.»
«Quando ritornerete?» chiese Scintilla, e il tono della sua voce ricordò a Tenar che era sempre stato un bambino fragile e irrequieto. Ma rispose: «Non lo so, caro. Se avrai bisogno di me, verrò».
Andò a prendere le scarpe da viaggio e gli zaini. «Scintilla», lo chiamò. «Puoi farmi un favore?»
Il giovane era andato a sedere vicino al fuoco. Aveva un’aria spaesata e immusonita. «Quale?»
«Scendi a Valmouth, presto, e va’ da tua sorella. Dille che sono ritornata a Re Albi. Dille anche che, se ha bisogno di me, me lo faccia sapere.»
Scintilla annuì. Guardò Ged, che aveva già messo nello zaino le sue poche cose, con la rapidità e la precisione di una persona abituata a viaggiare, e che ora metteva i piatti nella credenza per lasciare in ordine la cucina. Fatto questo, si sedette davanti a Scintilla e infilò una corda nuova negli occhielli della sua sacca, per chiuderla in alto.
«C’è un nodo, che si usa per chiudere», disse Scintilla. «Un nodo da marinaio.»
Ged gli porse la sacca, in silenzio, e guardò Scintilla che, senza parlare, gli insegnava il nodo.
«Tirando va su, vedi?» disse il giovane, e Ged annuì.
Quando lasciarono la fattoria, l’indomani mattina, era ancora buio e faceva freddo. Il sole si alzava tardi, sul versante occidentale del Monte di Gont, e finché non superò la grande massa del massiccio meridionale e non raggiunse le loro schiene, dovettero riscaldarsi camminando.
Therru camminava assai più in fretta dell’estate precedente, ma si trattava pur sempre di un viaggio di due giorni. Nel pomeriggio, Tenar chiese: «Ce la facciamo ad arrivare a Fontana delle Querce prima di sera? C’è una specie di locanda. Ricordi, Therru, ci siamo fermate a bere una tazza di latte».