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SCARICATO il traino di legna, prima cura di Pencroff fu quella di rendere i Camini abitabili, chiudendo i corridoi attraverso i quali passava la corrente d’aria. Sabbia, sassi, rami intrecciati, terra umida e sterpaglia tapparono ermeticamente le gallerie a forma di &, aperte ai venti del sud e ne isolarono la parte superiore. Un solo cunicolo, stretto e sinuoso, che s’apriva sulla parete laterale, fu messo in condizione di portar fuori il fumo e di provocare il tiraggio del focolare. I Camini si trovarono così divisi in tre o quattro camere, se si può dare questo nome ad altrettante tane oscure, di cui appena un animale selvaggio si sarebbe accontentato. Ma vi si stava all’asciutto e vi si poteva rimanere in piedi, almeno nella principale di quelle camere, che occupava il centro. Una sabbia fine copriva il suolo, e tutto considerato, ci si poteva accontentare, in attesa di meglio.

Lavorando, Harbert e Pencroff conversavano.

«Che i nostri compagni abbiano trovato una dimora migliore della nostra?» diceva Harbert.

«Può darsi,» rispondeva il marinaio «ma, nel dubbio, non ti esimere dal lavoro! Meglio avere una corda di più al proprio arco che esserne privi completamente!»

«Ah!» ripeteva Harbert «se essi ritroveranno e ci ricondurranno il signor Smith noi non potremo che ringraziare il Cielo!»

«Sì!» mormorava Pencroff. «Quello era un uomo, un vero uomo!»

«Era…» disse Harbert. «Disperi, dunque, di rivederlo?»

«Dio me ne guardi!» rispose il marinaio.

Il lavoro di adattamento fu rapidamente compiuto e Pencroff se ne dichiarò soddisfattissimo.

«Ora» disse «i nostri amici possono ritornare: troveranno un ricovero sufficiente.»

Rimaneva da sistemare il focolare, da preparare il pasto. Mestiere facile e semplice, in verità. Larghe pietre piatte furono disposte in fondo al primo corridoio di sinistra, al foro dello stretto condotto che era stato all’uopo riservato. Il calore, che il fumo non avrebbe trascinato fuori con sé, sarebbe bastato evidentemente a mantenere una temperatura discreta nell’interno. La provvista di legna fu immagazzinata in uno dei vani e il marinaio mise sulle pietre alcuni ceppi, insieme con legna minuta.

Il marinaio era intento a questo lavoro, quando Harbert gli chiese se avesse fiammiferi.

«Certo,» rispose Pencroff «e dirò: fortunatamente, giacché, senza fiammiferi o senza esca, ci troveremmo davvero a mal partito!»

«Potremmo sempre avere il fuoco come i selvaggi,» rispose Harbert «sfregando due pezzi di legno secco l’uno contro l’altro.»

«Ebbene! prova, ragazzo mio, e vedremo se ti riuscirà di non romperti le braccia inutilmente!»

«Eppure è un procedimento semplicissimo, e molto usato nelle isole del Pacifico.»

«Non dico di no,» rispose Pencroff «ma bisogna supporre che i selvaggi conoscano bene questo procedimento, o che lo facciano con un legno speciale, poiché già più d’una volta ho voluto procurarmi del fuoco in tal modo, ma non vi sono mai riuscito! Confesso dunque che preferisco i fiammiferi. Dove sono i miei fiammiferi?»

Pencroff cercò nella sua giacca la scatola che non lo abbandonava mai, poiché egli era un fumatore accanito. Non la trovò. Frugò le tasche dei pantaloni, e, con sua grande meraviglia, la scatola non c’era più.

«Ah, questo è curioso e più che curioso!» disse guardando Harbert.

«La scatola mi sarà caduta di tasca e l’avrò perduta! Ma tu, non hai proprio nulla? Un acciarino, un oggetto qualunque che possa servire a far fuoco?»

«No, Pencroff!»

Il marinaio uscì all’aperto, seguito dal ragazzo e si grattò vivacemente la fronte.

Sulla sabbia, fra le rocce, vicino alla riva del fiume, entrambi cercarono con la massima cura, ma inutilmente. La scatola era di rame e non sarebbe sfuggita ai loro occhi.

«Pencroff,» domandò Harbert, «non l’avrai per caso gettata dalla navicella?»

«Me ne sono guardato bene!» rispose il marinaio. «Ma, quando si è stati scrollati come lo siamo stati noi, un oggetto così minuscolo può facilmente essere andato smarrito. Anche la mia pipa è sparita! Scatola indiavolata! Dove può essere?»

«Presto, il mare si ritira,» disse Harbert «corriamo al luogo ove abbiamo atterrato.»

Era poco probabile ritrovar la scatola, che le onde avevano certo rotolato fra i sassi della spiaggia, durante l’alta marea, ma era bene, a ogni modo, tener presente questa circostanza. Harbert e Pencroff si diressero rapidamente verso il punto dove erano atterrati il giorno prima, a duecento passi dai Camini. Là, in mezzo ai ciottoli, nella cavità delle rocce, furono fatte minuziose ricerche: risultato negativo. Se la scatola era caduta in quel punto, doveva essere stata travolta dai flutti. Appena il mare si ritraeva, il marinaio frugava tutti gli interstizi delle rocce, ma senza trovar nulla. La perdita era grave in quella circostanza e, almeno per il momento, irreparabile.

Pencroff non nascose la sua vivissima costernazione. La fronte gli si era corrugata. Egli non pronunciava parola. Harbert volle consolarlo facendogli osservare che, molto probabilmente, i fiammiferi sarebbero stati bagnati dall’acqua marina e che sarebbe stato impossibile servirsene.

«Ma no, caro mio» disse il marinaio. «Erano in una scatola di rame che chiudeva bene! E adesso, come faremo?»

«Troveremo certamente modo di procurarci del fuoco» disse Harbert. «Il signor Smith o il signor Spilett non saranno sprovvisti di fiammiferi come noi!»

«Sì,» rispose Pencroff «ma intanto, per ora, siamo senza fuoco e i nostri compagni troveranno un ben triste desinare al loro ritorno!»

«Ma,» esclamò Harbert «non è possibile che essi non abbiano né esca, né fiammiferi!»

«Ne dubito» rispose il marinaio scrollando il capo. «Prima di tutto, Nab e il signor Smith non fumano; quanto al signor Spilett, credo che egli abbia conservato piuttosto il taccuino che la scatola dei fiammiferi!»

Harbert non rispose. La perdita della scatola era evidentemente assai sgradevole. Tuttavia, il giovane era convinto che, in un modo o nell’altro, sarebbero riusciti a procurarsi del fuoco. Pencroff, dotato di maggiore esperienza, benché non fosse certo uomo da rimanere imbarazzato di fronte alle piccole, né alle grandi avversità, non la pensava così. A ogni modo, non c’era che una decisione da prendere: aspettare il ritorno di Nab e del giornalista. Ma bisognava rinunciare al pasto di uova sode ch’egli avrebbe voluto preparare; e una cenetta a base di soli molluschi crudi non gli pareva, né per sé, né per loro, una prospettiva gradevole.

Prima di tornare ai Camini, il marinaio e Harbert fecero una nuova raccolta di litodomi, per il caso che il fuoco mancasse loro definitivamente, e ripresero in silenzio la via verso il loro rifugio.

Pencroff, con gli occhi a terra, cercava sempre la sua introvabile scatola. Risalì anche la riva sinistra del fiume, dalla foce sino all’angolo dove il traino di legna era stato ormeggiato. Fece ritorno sull’altipiano, lo percorse in ogni senso, cercò fra le alte erbe sul margine della foresta: invano.

Erano le cinque di sera, quando Harbert e lui rientrarono ai Camini. È inutile dire che i lunghi corridoi furono frugati fino negli angoli più oscuri, e che bisognò rinunciare a ogni altra ricerca.

Verso le sei, mentre il sole scompariva dietro le alte terre dell’ovest, Harbert, che andava e veniva sull’arenile, segnalò il ritorno di Nab e di Gedeon Spilett.

Ritornavano soli!… Il giovane provò una inesprimibile stretta al cuore. Il marinaio non si era proprio ingannato nei suoi presentimenti. L’ingegnere Cyrus Smith non era stato ritrovato!

Appena arrivato, il giornalista si sedette su di una roccia, senza far parola. Sfinito dalla fatica e per la fame, egli non aveva la forza di parlare.

Quanto a Nab, i suoi occhi arrossati provavano quanto avesse pianto, e nuove lacrime, che il bravo giovane non poté trattenere, dissero fin troppo chiaramente che aveva perduto ogni speranza!