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«Infatti,» rispose l’ingegnere, ascoltando ancora con la massima attenzione «non ci si può sbagliare… Laggiù s’opera una reazione, di cui non possiamo valutare né l’importanza né il risultato definitivo.»

Cyrus Smith e Gedeon Spilett uscirono all’aperto e, ritrovati i compagni, fecero loro conoscere questo stato di cose.

«To’!» esclamò Pencroff «questo vulcano vorrebbe farne qualcuna delle sue? Ma ci si provi! Troverà chi lo metterà a dovere!…»

«Chi mai?» domandò Nab.

«Il nostro genio, Nab, il nostro genio, che imbavaglierà il suo cratere, se appena mostrerà l’intenzione di aprirlo!»

Come si vede, la fiducia del marinaio nella speciale divinità dell’isola era assoluta, e invero, la potenza occulta, finora manifestatasi mediante tanti atti inesplicabili, sembrava illimitata; ma essa seppe anche sfuggire alle minuziose ricerche dei coloni, poiché, malgrado tutti i loro sforzi, malgrado lo zelo e, più che lo zelo, la tenacia impiegata nella loro esplorazione, il misterioso nascondiglio non poté essere scoperto.

Dal 19 al 25 febbraio le investigazioni furono estese a tutta la regione settentrionale dell’isola di Lincoln, che venne frugata in tutti i più segreti angoli. I coloni giunsero sino a sondare ogni parete rocciosa, come fanno gli agenti sui muri di una casa sospetta.

L’ingegnere fece anche un esattissimo rilievo topografico della montagna e spinse le sue ricerche fino all’ultimo strato di roccia che la sosteneva. Essa fu esplorata così fino all’altezza del cono tronco, che terminava il primo ordine di rocce, e poi fino alla cresta superiore di quell’enorme cappello, in fondo al quale s’apriva il cratere.

Ma i coloni fecero di più: visitarono la voragine del vulcano, ancora spento, ma nelle cui profondità si sentivano distintamente dei brontolii. Ciò nonostante, non tracce di fumo, né di vapore, né riscaldamento delle pareti indicavano un’eruzione prossima. Ma né in quella, né in altra parte del monte Franklin, i coloni trovarono le tracce di colui che cercavano.

Le esplorazioni furono allora spinte nella regione delle dune. Vennero visitate con cura le alte muraglie laviche del golfo del Pescecane, dalla base alla cresta, quantunque fosse estremamente difficile scendere al livello delle acque. Nessuno! Nulla!

In queste due parole si riassunsero tante fatiche spese inutilmente, tanta ostinazione senza risultato. Nella delusione di Cyrus Smith e dei suoi compagni c’era una specie di collera.

Bisognò, dunque, pensare al ritorno, giacché le ricerche non potevano protrarsi all’infinito. I coloni erano ormai veramente in diritto di credere che l’essere misterioso non risiedesse alla superficie dell’isola, e la loro immaginazione eccitatissima diede la stura alle più folli ipotesi. Pencroff e Nab particolarmente non s’accontentavano più dello strano e si lasciavano trasportare nel mondo del soprannaturale.

Il 25 febbraio, i coloni rientrarono a GraniteHouse e per mezzo della doppia corda, che una freccia portò sul pianerottolo, dinanzi alla porta, ristabilirono la comunicazione fra il loro dominio e il suolo.

Un mese dopo, nel venticinquesimo giorno di marzo, essi salutavano il terzo anniversario del loro arrivo sull’isola di Lincoln!

CAPITOLO XIV

SONO PASSATI TRE ANNI «IL PROBLEMA DELLA NUOVA NAVE» LA DECISIONE «PROSPERITÀ DELLA COLONIA» IL CANTIERE DI COSTRUZIONE «I FREDDI DELL’EMISFERO AUSTRALE» PENCROFF SI RASSEGNA «IL BUCATO» IL MONTE FRANKLIN

TRE ANNI erano passati da che i prigionieri di Richmond erano fuggiti, e quante volte, durante quei tre anni, avevano parlato della patria, sempre presente al loro pensiero!

Erano convinti che la guerra civile fosse ormai finita e sembrava loro impossibile che la giusta causa del Nord non avesse trionfato. Ma quali erano state le vicende di quella guerra terribile? Quanto sangue era costata? Quali dei loro amici erano caduti nella lotta? Ecco gli argomenti di cui spesso parlavano, pur senza immaginare ancora il giorno in cui avrebbero potuto rivedere il loro Paese. Ritornarvi, magari solo per pochi giorni, riannodare il vincolo sociale con il mondo abitato, stabilire una comunicazione fra la loro patria e la loro isola, poi passare la maggior parte, la migliore forse anche, della loro esistenza in quella colonia, che avevano fondata e che sarebbe dipesa allora dalla metropoli, era questo, dunque un sogno inattuabile?

Ma non c’erano che due modi per realizzare questo sogno: o che un giorno o l’altro una nave si mostrasse nelle acque dell’isola di Lincoln, o che i coloni stessi costruissero uh bastimento abbastanza robusto per tenere il mare fino alle terre più vicine.

«A meno che» diceva Pencroff «il nostro genio ci provveda egli stesso dei mezzi per rimpatriare!»

Se, veramente, qualcuno avesse detto a Pencroff e a Nab che una nave di trecento tonnellate li aspettava nel golfo del Pescecane o a Porto Pallone, essi non avrebbero fatto nemmeno un gesto di sorpresa. È chiaro che con questa disposizione di spirito, nulla pareva loro impossibile. Nel campo dell’inverosimile, del miracoloso, s’aspettavano di tutto.

Ma Cyrus Smith, meno fiducioso, consigliò loro di rientrare nella realtà, e questo appunto relativamente alla costruzione d’un bastimento, faccenda di vera e propria urgenza, perché si trattava di depositare al più presto all’isola di Tabor un documento indicante la nuova residenza di Ayrton.

Non esistendo più il Bonadventure, sei — mesi sarebbero occorsi per la costruzione di un nuovo bastimento. Ora, l’inverno era alle porte e il viaggio non si sarebbe potuto effettuare prima della successiva primavera.

«Abbiamo, quindi, il tempo di prepararci per essere pronti alla bella stagione,» disse l’ingegnere, parlando di queste cose con Pencroff. «Penso, dunque, amico mio, che dovendosi costruire la nostra imbarcazione, sarà preferibile darle delle dimensioni più considerevoli. L’arrivo dello yacht scozzese all’isola di Tabor è molto problematico. Può darsi che, giunto da vari mesi, esso ne sia già ripartito, dopo aver vanamente cercato qualche traccia di Ayrton. Non sarebbe, dunque, opportuno costruire una nave che, all’occorrenza, potesse trasportarci sia agli arcipelaghi della Polinesia, sia alla Nuova Zelanda? Che cosa ne pensate?»

«Penso, signor Cyrus,» rispose il marinaio «penso che voi siete capace di fabbricare tanto una nave grande quanto una piccola. Né il legno, né gli utensili ci mancano. Non è che questione di tempo.»

«E quanti mesi richiederebbe la costruzione di una nave di duecentocinquanta o trecento tonnellate?» domandò Cyrus Smith.

«Sette od otto mesi almeno» rispose Pencroff. «Ma non bisogna dimenticare che l’inverno è prossimo, e che, con i grandi freddi, il legno è difficile da lavorare. Calcoliamo, dunque, alcune settimane d’inattività, e se il nostro bastimento sarà pronto per il prossimo novembre, dovremo ritenerci fortunatissimi.»

«Ebbene,» osservò Cyrus Smith «sarà appunto il momento propizio a una traversata di qualche importanza, sia fino all’isola di Tabor, sia fino ad altra terra più lontana.»

«È vero, signor Cyrus» disse il marinaio. «Fate, dunque, i vostri piani; gli operai sono pronti, e immagino poi che anche Ayrton potrà darci un buon aiuto in questa circostanza.»

I coloni, consultati, approvarono il progetto dell’ingegnere. Ed era il meglio che si potesse fare. La costruzione di un bastimento da duecento a trecento tonnellate era certamente una grande impresa, ma i coloni avevano in se stessi una fiducia giustificata dai numerosi successi già ottenuti.

Cyrus Smith s’occupò di tracciare il piano della nave e di determinare i garbi. Nel frattempo, i suoi compagni s’occuparono del taglio e del trasporto degli alberi, che dovevano servire per i braccioli, l’ossatura e il fasciame. La foresta del Far West diede le piante più adatte di quercia e d’olmo. I coloni approfittarono del piccolo sentiero già tracciato al tempo dell’ultima escursione per aprire una carrareccia, che prese il nome di strada del Far West, e gli alberi furono trasportati ai Camini, dove fu stabilito il cantiere. Quanto alla strada, era capricciosamente delineata, e fu un poco la scelta del legname che ne determinò il tracciato, rendendo anche più facile l’accesso a una notevole parte della penisola Serpentine.