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Cyrus Smith non poté fare a meno di sorridere, e la proposta del marinaio venne approvata. Poi l’ingegnere ringraziò i suoi compagni, e aggiunse che egli contava sulla loro energia e sull’aiuto del Cielo.

«E ora, torniamo ai Camini» esclamò Pencroff.

«Un momento, amici» rispose l’ingegnere. «Mi sembrerebbe conveniente dare un nome a quest’isola, e così pure ai capi, ai promontori, ai corsi d’acqua che abbiamo sott’occhio.»

«Benissimo» disse il giornalista. «Ciò semplificherà in avvenire le istruzioni che dovremo dare o seguire.»

«Infatti,» riprese il marinaio «è già qualche cosa poter dire dove si va e donde si viene. Almeno, si ha l’aria di essere in qualche luogo.»

«I Camini, per esempio» disse Harbert.

«Giusto!» rispose Pencroff. «Quel nome era già abbastanza comodo, e mi è venuto spontaneo. Conserveremo al nostro primo accampamento il nome di Camini, signor Cyrus?»

«Sì, Pencroff, poiché così l’avete battezzato.»

«Bene! Quanto agli altri, sarà facile» replicò il marinaio, ch’era in vena. «Diamo loro dei nomi come quelli dei Robinson, di cui Harbert mi ha letto la storia più d’uria volta: la «Baia Provvidenza», la «Punta dei capodogli», il «Capo della speranza delusa»!…»

«O piuttosto i nomi del signor Smith,» aggiunse Harbert «del signor Spilett, di Nab!…»

«Il mio nome!» esclamò Nab, mostrando i suoi denti splendenti di candore.

«Perché no?» replicò Pencroff. «Il «porto Nab», starebbe molto bene! E il «Capo Gedeon»…»

«Io preferirei dei nomi presi al nostro paese,» disse il cronista «e che ci ricorderebbero così l’America.»

«Sì, per i principali,» disse allora Cyrus Smith «per le baie o i mari, l’ammetto volentieri. Che noi diamo a quella vasta baia dell’est il nome di baia dell’Unione, per esempio, a quella larga insenatura del sud, quello di baia Washington, al monte sul quale siamo in questo momento, quello di monte Franklin, al lago che si stende sotto i nostri occhi, quello di lago Grant, niente di meglio, amici miei. Questi nomi ci ricorderanno il nostro paese e i grandi cittadini che l’hanno onorato; ma per i fiumi, i golfi, i capi, i promontori che scorgiamo dall’alto di questa montagna, scegliamo denominazioni che rammentino piuttosto la loro particolare configurazione. Esse si imprimeranno meglio nella nostra mente e, in pari tempo, saranno più pratiche. La forma dell’isola è abbastanza strana perché non ci si trovi imbarazzati a immaginare dei nomi che facciano bella figura. Quanto ai corsi d’acqua che non conosciamo, alle diverse parti della foresta che esploreremo in seguito, alle cale che saranno scoperte in avvenire, li battezzeremo a mano a mano che ci si presenteranno. Che ne pensate, amici?»

La proposta dell’ingegnere fu unanimemente approvata dai suoi compagni. L’isola era là, sotto i loro occhi, come una carta spiegata, e non c’era che da mettere un nome a tutti i suoi angoli rientranti o sporgenti, così come a tutte le sue parti rilevate. Gedeon Spilett avrebbe segnato i nomi via via che venivano stabiliti, e la nomenclatura geografica dell’isola sarebbe stata così definitivamente fissata.

Prima di tutto furono chiamati baia dell’Unione, baia Washington e monte Franklin le due baie e la montagna, così come aveva proposto l’ingegnere.

«Adesso,» disse il giornalista «a quella penisola che si protende a sudovest dell’isola, io proporrei di dare il nome di penisola Serpentine, e quello di promontorio del Rettile (Reptile End) alla coda incurvata in cui termina la penisola stessa, giacché pare veramente una coda di rettile.»

«Approvato» disse l’ingegnere.

«Adesso,» disse Harbert «all’altra estremità dell’isola, quel golfo che assomiglia così singolarmente a delle fauci aperte chiamiamolo golfo del Pescecane (Sharkgulf).»

«Ben trovato!» esclamò Pencroff «e completeremo l’immagine indicando con il nome di capo Mandibola (Mandiblecape) le due rispettive mascelle.»

«Ma i capi sono due» fece osservare il cronista.

«Ebbene!» rispose Pencroff «avremo il capo MandibolaNord e il capo MandibolaSud.»

«Eccoli segnati» disse Gedeon Spilett.

«Resta da denominare la punta all’estremità sudest dell’isola» disse Pencroff.

«Cioè l’estremità della baia dell’Unione?» domandò Harbert.

«Capo dell’Artiglio (Clawcape)» gridò subito Nab, che voleva egli pure essere padrino di un pezzo qualunque del suo regno.

E, veramente, Nab aveva trovato una denominazione eccellente, poiché quel capo rappresentava proprio il possente artiglio dell’animale fantastico, raffigurato da quell’isola di così bizzarra struttura.

Pencroff era soddisfattissimo della piega che prendevano le cose, e la fantasia di tutti essendo un po’ sovreccitata, in breve fu dato:

Il nome di Mercy al fiume che provvedeva l’acqua potabile ai coloni e presso il quale il pallone li aveva gettati; il nome era un vero e proprio ringraziamento alla Provvidenza.

All’isolotto sul quale i naufraghi avevano posto piede la prima volta atterrando, il nome di isolotto della Salvezza (Safetyisland).

All’altipiano che coronava l’alta muraglia di granito, al di sopra dei Camini e donde lo sguardo poteva abbracciare tutta la vasta baia, il nome di altipiano Bellavista.

Infine, a tutto quel folto d’impenetrabili boschi che coprivano la penisola Serpentine, il nome di Foresta del Far West.

La nomenclatura delle parti visibili e conosciute dell’isola era così terminata: in seguito essa sarebbe stata completata a mano a mano che si fossero fatte nuove scoperte.

Quanto alla posizione dell’isola, l’ingegnere l’aveva determinata approssimativamente considerando l’altezza e il punto in cui si trovava il sole nel cielo: ne risultava che la baia dell’Unione e tutto l’altipiano di Bellavista si trovavano a est. Ma all’indomani, prendendo l’ora esatta al sorgere e al tramontare del sole e osservando la sua posizione a metà del tempo corrente tra l’alba e il tramonto, egli si riprometteva di stabilire esattamente il nord dell’isola, giacché, in conseguenza della sua ubicazione nell’emisfero australe, il sole, nel momento esatto in cui toccava il culmine della sua ascensione, passava al nord, e non a mezzogiorno, come, nel suo apparente movimento, sembra fare per i luoghi situati nell’emisfero boreale.

Tutto era dunque finito, e i coloni non avevano che da ridiscendere il monte Franklin per ritornare ai Camini, quando Pencroff esclamò improvvisamente:

«Oh, ma siamo proprio ben sbadati!»

«E perché?» domandò Gedeon Spilett, che aveva chiuso il suo taccuino e si alzava per ritornare.

«E la nostra isola? Come! Ci dimentichiamo di battezzarla? Harbert stava per proporre di dare all’isola il nome dell’ingegnere, e tutti i suoi compagni avrebbero certo applaudito la proposta, quando, invece, Cyrus Smith disse semplicemente:»

«Chiamiamola con il nome d’un grande cittadino, amici, di chi lotta ora per difendere l’unità della Repubblica Americana! Chiamiamola Lincoln!»

Un triplice evviva rispose alle parole dell’ingegnere.

Quella sera, prima di addormentarsi, i nuovi coloni parlarono del loro Paese lontano; parlarono della terribile guerra che lo insanguinava; essi non dubitavano affatto che il Sud sarebbe stato vinto al più presto, e che la causa del Nord, la causa della giustizia, avrebbe trionfato, grazie a Grant e a Lincoln!

Questo accadeva il 30 marzo 1865, ed essi non sapevano che, sedici giorni dopo, un orribile delitto sarebbe stato commesso a Washington e che il venerdì santo Abraham Lincoln sarebbe caduto sotto il colpo di un fanatico.

CAPITOLO XII

LA REGOLAZIONE DEGLI OROLOGI «PENCROFF È SODDISFATTO» UN FUMO SOSPETTO «IL CORSO DEL CREEK ROSSO» LA FLORA DELL’ISOLA DI LINCOLN «LA FÀUNA» I FAGIANI DI MONTAGNA «L’INSEGUIMENTO DEI CANGURI» L’AGUTI «IL LAGO GRANT» RITORNO AI CAMINI