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— Sarà un piacere, senhor. Qui ci si annoia. Vogliamo un po’ d’azione.

"Anch’io", pensò Falco. "Mi piacerebbe spaccare i denti a questo giovanotto condiscendente. Ma mi sarà utile: e quindi mi servirò di lui, sorridendo."

— È la risposta che volevo! Ascolta, don Herman. Tu hai influenza sui giovani: un dono naturale. Ora dimmi cosa pensi di quest’idea. Le nostre guardie sono abbastanza fedeli: ma sono plebee e stupide, e spesso si lasciano confondere dai trucchi di quelli di Shantih. Per guidarle abbiamo bisogno di un esercito selezionato, di giovani aristocratici coraggiosi, intelligenti e comandati a dovere. Uomini che amino battersi, come i nostri valorosi antenati terrestri. Ritieni possibile creare e addestrare un simile esercito? Come consiglieresti di fare?

— Basta un capo — disse Herman Macmilan, senza esitare. — Io potrei addestrare un piccolo esercito in un paio di settimane.

Dopo quella sera, il giovane Macmilan cominciò a frequentare spesso casa Falco. Veniva una volta al giorno per parlare col consigliere. Quando Luz si trovava nella parte anteriore della casa, spuntava anche Macmilan; e lei prese l’abitudine di restare sempre più a lungo nella propria camera, o in soffitta, o nel salotto affacciato sul giardino. Aveva sempre evitato Herman Macmilan: non perché lo detestasse — era impossibile detestare un giovane così bello — ma perché era umiliante sapere che tutti, vedendo lei e Herman scambiarsi una parola, pensavano: "Ah, presto si sposeranno". Lo volesse o no, Herman portava con sé l’idea del matrimonio, e costringeva anche lei a pensarci; e poiché lei non voleva pensarci, l’aveva sempre sfuggito. Adesso le cose non erano cambiate: ma vedendolo in casa tutti i giorni aveva concluso che — sebbene fosse un vero peccato — era possibile detestare anche un uomo bellissimo.

Herman entrò nel salotto senza bussare e si fermò sulla soglia, elegante e possente nella tunica stretta in vita dalla cintura. Girò gli occhi sulla stanza, affacciata sul grande giardino centrale. Le porte erano aperte, e il suono della pioggerella che cadeva sui vialetti e gli arbusti riempiva il salotto di una strana quiete. — Dunque è qui che ti nascondi — disse.

Luz si era alzata, vedendolo entrare. Indossava una gonna scura tessuta a mano e una camicetta bianca che luccicava nel fioco chiarore. Dietro di lei, nell’ombra, c’era un’altra donna, intenta a filare.

— Ti nascondi sempre qui, eh? — ripeté Herman. Non avanzò, forse attendendo di essere invitato, forse conscio della propria presenza teatrale, incorniciato com’era nel vano della porta.

— Buon pomeriggio, Don Herman. Stai cercando mio padre?

— Ho appena parlato con lui.

Luz annuì. Sebbene fosse curiosa di sapere di cos’avessero parlato tanto Herman e suo padre, in quegli ultimi tempi, non intendeva domandarlo. Il giovane entrò e si fermò davanti a lei, guardandola con quel suo sorriso gioviale. Le prese la mano, se la portò alle labbra e la baciò. Luz si ritrasse, irritata. — È un’usanza stupida — disse, scostandosi.

— Tutte le usanze sono stupide. Ma i vecchi non possono farne a meno, eh? Credono che altrimenti il mondo andrebbe a rotoli. Baciamani, inchini, senhor qui e senhora là, come si faceva nel Vecchio Mondo: storia, libri, sciocchezze!

Luz rise, controvoglia. Era piacevole sentire che Herman considerava sciocchezze le cose che le rendevano opprimente la vita.

— Le Guardie Nere stanno imparando benissimo — disse lui. — Dovresti venire a vedere l’addestramento. Vieni domattina.

— Quali Guardie Nere? — chiese sdegnosamente Luz. Si sedette e riprese il lavoro, un ricamo per il quarto figlio atteso da Eva. Era quello il guaio con Herman. Se per una volta gli si sorrideva o gli si diceva qualcosa di naturale o gli si manifestava ammirazione, lui insisteva sfruttando il proprio vantaggio, e si doveva subito tenerlo a freno.

— Il mio piccolo esercito — rispose Herman. — Cos’è quello? — Si sedette accanto a lei, sul divano di giunchi. Non c’era spazio a sufficienza per tutt’e due. Luz tirò la gonna, sulla quale Herman si era seduto. — Una cuffietta — disse, cercando di dominarsi. — Per il bimbo di Eva.

— Oh Dio, sì, quella non fa che metterne al mondo! Aldo ha la faretra piena. Non accettiamo uomini sposati, nelle Guardie. Sono straordinarie. Devi venire a vederle.

Luz eseguì un microscopico punto annodato e non replicò.

— Sono stato a vedere la mia tenuta. Per questo non sono venuto, ieri.

— Non l’avevo notato — disse Luz.

— Ho scelto la mia proprietà. Una valle lungo il Fiume del Mulino. Sarà un’ottima campagna, una volta disboscata. La mia casa sorgerà su una collina. Ho adocchiato subito il posto adatto. Una casa grande, come questa, ma a due piani, circondata da portici. E granai, e una fucina, e tutto il resto. Poi, giù nella valle in riva al fiume, le capanne dei contadini, così potrò guardarle dall’alto. Riso palustre negli acquitrini, dove il fiume dilaga nel fondovalle. Frutteti sulle colline… e alberi della seta. Abbatterò una parte delle foreste, e una parte la terrò per la caccia ai conigli. Sarà bellissimo, un regno. Vieni con me a vederlo, quando ci tornerò. Ti manderò la carrozza a pedali di casa Macmilan. È troppo lontano perché una ragazza ci arrivi a piedi. Devi vederlo.

— Perché?

— Ti piacerà — disse Herman, con assoluta sicurezza. — Non ti piacerebbe avere una tenuta così? Essere padrona di tutto quello che vedi intorno. Una grande casa, tanti servitori. Il tuo regno.

— Le donne non sono re — disse Luz. Chinò la testa per eseguire un punto. Ormai la luce era troppo debole per cucire, ma le dava un pretesto per non guardare Herman. Lui continuava a fissarla, intento e inespressivo: i suoi occhi erano più scuri del solito, e non sorrideva più. Ma all’improvviso aprì la bocca in una risata.

— Ah, ah! — Una piccola risata, per un uomo grande e grosso. — No. Comunque, le donne sanno come ottenere quello che vogliono: vero mia piccola Luz?

Lei continuò a ricamare e non rispose. Herman si chinò su di lei e bisbigliò: — Sbarazzati della vecchia.

— Cos’hai detto? — chiese Luz, in tono normale.

— Sbarazzati di lei — ripeté Herman, con un cenno.

Luz ripose meticolosamente l’ago nell’astuccio, piegò il lavoro e si alzò. — Scusami, don Herman. Devo andare a parlare con la cuoca — disse, e uscì. L’altra donna continuò a filare. Herman restò seduto per un po’, succhiandosi le labbra; sorrise, si alzò e uscì a passo baldanzoso, con i pollici nella cintura.

Dopo un quarto d’ora, Luz si affacciò sulla porta: vide che Herman Macmilan non c’era, e rientrò. — Che zotico — disse, e sputò sul pavimento.

— È molto bello — commentò Vera, avvolgendo l’ultimo filo di seta arborea sul fuso pieno e posandoselo in grembo.

— Molto — ripeté Luz. Riprese la cuffietta che aveva ricamato, la guardò, l’appallottolò e la gettò attraverso la stanza. — Cazzo! — esclamò.

— Ti sei infuriata per il modo in cui ti ha parlato — disse Vera, in tono quasi interrogativo.

— Il modo in cui parla, il modo in cui si comporta, il modo in cui si siede, il suo modo di essere… Beh! Il mio piccolo esercito, la mia grande casa, i miei servitori, i miei contadini, mia piccola Luz. Se fossi un uomo gli spaccherei la testa contro il muro.

Vera rise. Non rideva spesso: di solito, soltanto quando era sorpresa. — No, non lo faresti!

— Lo farei. Lo ucciderei.

— Oh, no. Non lo faresti. Perché se fossi un uomo saresti forte come lui, o più forte, e non dovresti dimostrare di esserlo. Il guaio è che essendo una donna qui, dove ripetono sempre che siamo deboli, si finisce col crederlo. Quando ha detto che le valli del sud sono troppo lontane perché una ragazza possa arrivarci a piedi! Dodici chilometri!