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— Non possiamo andare a nord, ora — disse con pazienza, un po’ freddamente. — Se un gruppo se ne andasse ora, indebolirebbe l’unità di quelli che devono rimanere. E la città lo inseguirebbe. Dobbiamo affermare la nostra libertà di andare: qui, ora. Poi andremo.

— Perché avete consegnato le carte, perché gli avete mostrato la strada? — ribatté Luz, spazientita. — È stato un gesto stupido. Avreste potuto andarvene, semplicemente.

— Siamo un’unica comunità — disse Lev, — la città e il paese. — Non aggiunse altro.

Andre rovinò un poco l’effetto di quelle parole aggiungendo: — Comunque non potremmo sgattaiolare via furtivamente. Un’enorme massa di gente che emigra lascia tracce molto facili da seguire.

— E anche se vi seguissero fino a nord, fino alle vostre montagne? Voi sarete già arrivati e potreste dire: «Ci dispiace tanto, questa è la nostra, trovatevi un’altra valle, lo spazio non manca!»

— E loro userebbero la forza. Prima è necessario stabilire il principio dell’uguaglianza e della libera scelta. Qui.

— Ma anche qui usano la forza! Vera è prigioniera, e gli altri sono in carcere, e il vecchio ha perso un occhio, e quelli verranno qui a picchiarvi o spararvi… Tutto per stabilire un «principio» mentre invece avreste potuto andarvene, liberi!

— La libertà si conquista col sacrificio — disse Southwind. Lev la guardò, poi guardò Luz: non era sicuro che Luz sapesse della morte di Timmo, durante il viaggio verso il nord. Probabilmente lo sapeva, dato che le ultime notti era rimasta sola con Southwind. Comunque, il tono quieto della voce di Southwind la calmò. — Lo so — disse Luz. — Dovete correre certi rischi. Ma il sacrificio… Io odio l’idea del sacrificio!

Lev sorrise, involontariamente. — E tu cos’hai fatto?

— Non mi sono sacrificata per un’idea! Sono fuggita, non capisci? È quello che dovreste fare anche voi! — Luz parlava in tono di sfida e di autodifesa, non con convinzione; ma le parole di Southwind sorpresero Lev. — Forse hai ragione — disse Southwind. — Finché restiamo e lottiamo, anche se con le nostre armi, combattiamo la loro guerra.

Luz era un’estranea, non sapeva in che modo pensava e sentiva il Popolo della Pace: ma udire Southwind che diceva quelle parole irresponsabili era sconvolgente, un affronto alla loro unità perfetta.

— Fuggire e nasconderci nella foresta: è una scelta? — disse Lev. — Per i conigli sì. Non per gli esseri umani. Avere due mani e stare eretti non ci rende umani. Ma resistere, avere idee e ideali, questo sì! E non abbandonare quegli ideali. Insieme. Non possiamo vivere soli. Se no moriremo soli, come animali.

Southwind annuì tristemente, ma Luz lo guardò accigliandosi. — La morte è la morte: cosa importa che venga in un letto o nella foresta? Noi siamo animali. È per questo che moriamo.

— Ma vivere e morire per… per lo spirito… è diverso, diverso dal fuggire e nascondersi, tutti separati, egoisti, arraffando il cibo, tremando, odiando, soli… — Lev balbettava e si sentiva il volto accaldato. Incontrò lo sguardo di Luz e balbettò ancora e poi tacque. Nello sguardo di lei c’era una lode, una lode quale lui non aveva mai meritato e non aveva mai sognato di meritare, lode e gioia: e Lev si sentì confermato, in quel momento di collera e di discussione, confermato totalmente, nelle sue parole, nella sua vita, nel suo essere.

"Questo è il vero centro", pensò. Le parole passarono rapide e chiare attraverso la sua mente. Non le ripensò più: ma nulla, dopo quelle parole, rimase uguale; nulla avrebbe potuto rimanere uguale. Lui era salito tra le montagne.

La sua mano destra era quasi protesa verso Luz in un gesto di supplica. Lev vide, come lo vide Luz, quel gesto incompiuto. Improvvisamente intimidito, lasciò ricadere la mano, e il gesto non si compì. Lei si mosse bruscamente, voltandosi, e disse con rabbia e disperazione: — Oh, io non capisco, è tutto così strano. Non capirò mai: tu sai tutto e io non ho mai pensato a niente… — Sembrava più piccola, mentre parlava: piccola, furiosa, arrendevole.

— Vorrei soltanto… — S’interruppe.

— Verrà il momento, Luz — disse lui. — Non devi precipitarti. Verrà il momento, verrà: te lo prometto.

Lei non chiese cosa le prometteva. E Lev non avrebbe saputo dirlo.

Quando Lev uscì dalla casa, il vento carico di pioggia gli colpì il volto togliendogli il respiro. Lev ansimò: le lacrime gli riempirono gli occhi, ma non a causa del vento. Pensò al mattino luminoso di tre giorni prima, all’alba argentea e alla sua grande felicità. Quel giorno invece era grigio, e non c’era il cielo, e c’erano poca luce e tanta pioggia e tanto fango. "Fango, il nome di questo mondo è Fango", pensò: e avrebbe voluto ridere, ma aveva ancora gli occhi pieni di lacrime. Lei aveva ribattezzato il mondo. "Quel mattino, sulla strada", pensò, "c’era la felicità, ma questo è…". Non sapeva come chiamarlo: c’era solo il nome di lei, Luz. Era tutto contenuto in quel nome: l’alba argentea e il grande tramonto fiammeggiante sulla città, anni prima, e tutto il passato, e tutto ciò che doveva ancora venire, anche il loro lavoro, le discussioni e i piani, e il confronto, e la sicura vittoria, la vittoria della luce. — Prometto, prometto — mormorò nel vento. — Tutta la mia vita, tutti gli anni della mia vita.

Avrebbe voluto rallentare il passo, fermarsi, prolungare quel momento. Ma il vento stesso che gli soffiava in faccia lo costringeva ad avanzare. C’era tanto da fare, e così poco tempo. In seguito, in seguito! Quella notte poteva arrivare la banda di Macmilan: chi poteva saperlo? Evidentemente, intuendo che Luz aveva rivelato il loro piano, l’avevano cambiato. Non c’era nulla da fare fino a quando i loro piani fossero stati completati, null’altro che attendere e tenersi pronti. Quello era l’importante. Non ci sarebbe stato panico. Indipendentemente dal fatto che fosse la città o il paese a compiere la prima mossa, il Popolo della Pace avrebbe saputo cosa fare, come agire. Lev proseguì quasi di corsa fino a Shantih. Il sapore della pioggia era dolce sulle sue labbra.

Era a casa, nel tardo pomeriggio buio, quando arrivò il messaggio. Lo portò suo padre, dalla Casa delle Riunioni. — Una guardia dalla faccia sfregiata — disse Sasha con la sua voce bassa e ironica, — è venuta e ha chiesto di Shults. Credo che cercasse te, non me.

Era un biglietto scritto sulla carta grossolana che fabbricavano in città. Per un momento Lev pensò che fosse stata Luz a scrivere quelle parole nere e angolose…