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— Non so.

— Andrà tutto bene. Non mollare — bisbigliò Lev, senza sapere cosa diceva. Rallentò il passo e rimase indietro, finché si trovò accanto all’uomo che era stato colpito dalla frustata. Camminava coprendosi gli occhi con un braccio, e un altro gli teneva la spalla per guidarlo. Erano gli ultimi della fila: una guardia li seguiva, appena visibile nella bassa nebbia.

— Ci vedi?

— Non lo so — disse l’uomo, premendosi il braccio sulla faccia. I grigi capelli erano irti e scomposti; indossava una camicia da notte e un paio di calzoni, ed era scalzo; i grossi piedi nudi sembravano stranamente infantili, e inciampavano nei sassi e nel fango della strada.

— Scosta il braccio, Pamplona — disse ansiosamente l’altro uomo. — Lasciaci dare un’occhiata.

La guardia che li seguiva gridò qualcosa, una minaccia o l’ordine di affrettare il passo.

Pamplona abbassò il braccio. Teneva gli occhi chiusi. Uno era indenne. L’altro era perduto in uno squarcio sanguinante dalla tempia al naso, dove la frusta aveva colpito. — Fa male — disse Pamplona. — Cos’è stato? Non ci vedo, ho qualcosa nell’occhio. Lione? Sei tu? Voglio andare a casa.

Più di cento uomini furono rastrellati dai villaggi e dalle fattorie a sud e a ovest di Shantih per lavorare nelle nuove tenute della Valle Sud. Vi arrivarono a metà mattina, mentre la nebbia si alzava dal Fiume del Mulino in volute frementi. Parecchie guardie erano state piazzate sulla Strada Sud per impedire che da Shantih arrivasse qualcuno ad aiutare i forzati. Furono distribuiti gli attrezzi, zappe e vanghe e roncole; gli uomini furono messi al lavoro in gruppi di quattro o cinque, e ogni gruppo era sorvegliato da una guardia con frusta o moschetto. Non erano state costruite baracche per loro e per le trenta guardie. La sera accesero fuochi con la legna bagnata e dormirono sull’umido suolo. Erano stati portati i viveri, ma il pane era inzuppato di pioggia e ridotto in poltiglia. Le guardie borbottavano rabbiosamente. Gli uomini del villaggio parlavano e parlavano. All’inizio l’ufficiale che comandava l’operazione, il capitano Eden, aveva cercato di proibir loro di parlare, temendo un complotto; poi, quando si accorse che un gruppo stava discutendo con un altro per stabilire chi era favorevole all’idea di fuggire durante la notte, li lasciò parlare. Non aveva la possibilità d’impedire che si dileguassero, soli o a due a due, nell’oscurità: le guardie erano piazzate tutt’intorno con i moschetti, ma al buio non potevano vedere, ed era impossibile tenere i fuochi accesi sotto la pioggia, e non avevano potuto costruire un «recinto» com’era stato ordinato. Gli uomini del villaggio avevano lavorato duramente per sgombrare il terreno, ma si erano rivelati inetti quando avevano ricevuto l’ordine di costruire una palizzata o uno steccato con gli arbusti e i rovi recisi, e i suoi uomini non potevano abbandonare le armi per addossarsi quel compito.

Il capitano Eden mise di guardia i suoi uomini, e quella notte neppure lui dormì.

Il mattino dopo sembrava che fossero lì ancora tutti, i suoi e gli uomini del villaggio. Tutti si muovevano lentamente nella fredda nebbia, e ci vollero ore per accendere i fuochi e preparare e distribuire la colazione. Poi vennero distribuiti anche gli attrezzi: le lunghe zappe, le affilate roncole, le vanghe, i machete. Centoventi uomini armati di quegli utensili contro trenta armati di fruste e moschetti. Non capivano cosa potevano fare? Sotto l’incredulo sguardo del capitano Eden, gli uomini del villaggio sfilarono davanti al mucchio degli attrezzi, come avevano fatto il giorno prima, li presero, e si rimisero al lavoro per liberare dai cespugli il pendio che digradava verso il fiume. Lavoravano bene, e con impegno, conoscendo quel genere di lavoro; senza dare molto ascolto ai comandi delle guardie, si divisero in squadre eseguendo a turno i compiti più faticosi. Le guardie erano annoiate e infreddolite, e si sentivano superflue; erano incupite, dopo la breve e incompiuta euforia che avevano provato durante il rastrellamento.

Quella mattina il sole si affacciò tardi, e verso mezzogiorno le nubi s’infittirono e ricominciò a piovere. Il capitano Eden ordinò una sosta per il pasto (un’altra razione di pane infradiciato); e stava parlando con due guardie che intendeva mandare in città a chiedere altre provviste e teli per le tende, quando Lev si avvicinò.

— Uno dei nostri ha bisogno di un medico, e due sono troppo vecchi per questo lavoro. — Indicò Pamplona che stava seduto, con la testa fasciata, e parlava con Lione e due uomini dai capelli grigi. — Dovrebbero tornare al villaggio.

Il tono di Lev, sebbene non fosse quello di un inferiore che si rivolge a un ufficiale, era educato. Il capitano lo squadrò ma senza pregiudizi. Angel aveva detto, la notte prima, che quel giovane magro era uno dei caporioni di Shantih, ed era evidente che gli uomini del villaggio lo guardavano, a ogni ordine e a ogni minaccia, come per chiedergli istruzioni. Il capitano non sapeva come le ricevessero, perché non aveva mai visto Lev dare ordini: ma se quel ragazzo era in un certo senso un capo, Eden era disposto a trattare con lui. Il fattore più esasperante per il capitano, in quella situazione, era la mancanza di una struttura. Lui era il responsabile, ma non aveva altra autorità che quella che gli lasciavano gli uomini e le sue guardie. I suoi uomini erano tipi duri e difficili, e adesso si sentivano frustrati e trattati ingiustamente; quelli di Shantih rappresentavano un’incognita. In ultima analisi, poteva fidarsi soltanto del proprio moschetto; e anche nove delle sue guardie erano armate.

Sia che i rapporti di forza fossero di trenta contro centoventi, oppure di uno contro centoquarantanove, era opportuno usare una ragionevole fermezza, senza prepotenze. — È soltanto una frustata — disse al giovane. — Può smettere di lavorare per un paio di giorni. I vecchi si occuperanno dei viveri, faranno asciugare il pane e terranno accesi i fuochi. Nessuno può andarsene fino al termine dei lavori.

— Il taglio è profondo. Perderà l’occhio se non viene curato. E soffre. Deve andare a casa.

Il capitano rifletté. — Sta bene — disse. — Se non può lavorare, vada pure. Da solo.

— La distanza è troppa perché possa camminare senza aiuto.

— Allora resterà qui.

— Sarà necessario trasportarlo. Ci vorranno quattro uomini per portare una barella.

Il capitano Eden alzò le spalle e si voltò dall’altra parte.

— Senhor, abbiamo deciso di non lavorare fino a quando non si sarà provveduto a Pamplona.

Il capitano si girò di nuovo verso Lev, senza impazienza ma con fermezza. — Deciso?!

— Quando lui e i vecchi verranno mandati a casa, riprenderemo il lavoro.

— Io prendo ordini dal Consiglio — disse il capitano. — E voi prendete ordini da me. Devi farlo capire, a quegli uomini.

— Ascolta — disse il giovane, con un certo calore ma senza collera. — Abbiamo deciso di continuare, almeno temporaneamente È un lavoro che vale la pena di fare: la comunità ha bisogno di nuove terre da coltivare, e questa è una buona posizione per un villaggio. Ma noi non ubbidiamo agli ordini. Ci pieghiamo alle vostre minacce per risparmiare a noi stessi, e a voi, morti e feriti. Ma adesso è in gioco la vita di Pamplona, e se tu non agirai per salvarlo agiremo noi. E anche i due vecchi: non possono restare qui senza un riparo. Il vecchio Sun ha l’artrite. Se prima non saranno mandati a casa, non potremo continuare il lavoro.

La faccia tonda e olivastra del capitano Eden era impallidita. Il giovane Padrone Macmilan gli aveva detto: — Rastrella duecento contadini e portali a disboscare la riva occidentale del Fiume del Mulino, sotto il guado. — Gli era sembrata una cosa semplice: un compito non facile ma da uomo, una vera responsabilità che sarebbe stata ricompensata. Ma pareva che l’unico responsabile fosse lui. I suoi uomini erano quasi incontrollabili, e quelli di Shantih erano incomprensibili. Prima si erano spaventati e si erano mostrati incredibilmente docili, adesso cercavano di dare ordini a lui. Se non avevano paura delle sue guardie, perché sprecavano tempo a parlare? Se fosse stato uno di loro avrebbe mandato al diavolo il lavoro e si sarebbe procurato un machete: erano quattro contro uno, e si sarebbe potuto sparare a non più di dieci di loro prima che riuscissero a massacrare le guardie anche se armate di moschetti. Il loro comportamento non aveva senso: era vergognoso, poco virile. E lui come poteva provare rispetto per se stesso, in quel maledetto territorio selvaggio? Il grigio fiume che fumigava sotto la pioggia, la valle umida, la poltiglia muffita che avrebbe dovuto essere pane, la tunica fradicia che gli s’incollava alla schiena, le facce torve dei suoi uomini, la voce di quello strano ragazzo che gli diceva cosa doveva fare: era troppo, troppo. Rigirò il moschetto tra le mani. — Sta’ a sentire — disse. — Tu e gli altri riprendete il lavoro. Subito. Altrimenti vi farò legare e portare in città, in prigione. Scegli.