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VII

— Abbiamo bisogno di altri ostaggi, soprattutto i loro capi. Dobbiamo esasperarli, spingerli a sfidarci, ma non spaventarli al punto che non osino agire. Capisci? La loro difesa è la passività e poi chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere. Noi vogliamo che reagiscano, mentre abbiamo in pugno i loro capi, così la loro reazione sarà disorganizzata e facile da spezzare. Allora saranno demoralizzati e docili. Devi cercare di prendere quel ragazzo, come si chiama… Shults; ed Elia; e chiunque funga da portavoce. Devi provocarli, ma non terrorizzarli. Posso star certo che i tuoi uomini si fermeranno quando gliel’ordinerai?

Luz non udì la risposta di Herman Macmilan ma solo un borbottio noncurante, rancoroso. Evidentemente non gli piaceva sentirsi dire che «doveva» fare questo e quello, né sentirsi domandare se aveva capito.

— Prendi Lev Shults. Suo nonno era uno dei loro grandi capi. Puoi minacciare di giustiziarlo. E farlo, se fosse necessario. Ma sarebbe meglio di no. Se li spaventiamo troppo, ripiegheranno sulle loro idee e vi si aggrapperanno perché non hanno altro. Anche se richiederà prudenza da parte nostra, dobbiamo costringerli a tradire le loro idee… e perdere la fiducia nei loro capi e nei loro argomenti e nei loro discorsi di pace.

Luz stava davanti allo studio del padre, sotto la finestra spalancata nell’aria piovosa e senza vento. Herman Macmilan era arrivato precipitosamente pochi minuti prima a portare una notizia: Luz aveva udito la sua voce levarsi in toni di collera e d’accusa. — Avremmo dovuto usare i miei uomini! Te l’avevo detto! — Luz era curiosa di scoprire cos’era accaduto, e le sembrava strano che qualcuno parlasse in quel tono a suo padre. Ma la sfuriata di Herman non era durata a lungo. Quando lei era uscita e si era piazzata sotto la finestra per origliare, Falco aveva in pugno la situazione e Herman borbottava — sì… sì -. Completamente domato. Aveva imparato chi dava gli ordini in casa Falco e nella città. Ma gli ordini…

Luz si sfiorò le guance, bagnate di pioggia, e poi scrollò le mani come se avesse toccato qualcosa di viscido. I braccialetti d’argento tintinnarono, e lei restò immobile come un coniglio, schiacciata contro il muro sotto la finestra: anche se Herman o suo padre guardavano fuori, non l’avrebbero vista. A un certo punto, mentre parlava, Falco era venuto ad appoggiare le mani sul davanzale, direttamente sopra di lei, e a Luz era parso di percepire nell’aria il calore del suo corpo. Aveva provato l’impulso di balzar fuori e di gridare «Bu!», e nello stesso tempo aveva inventato «freneticamente scuse e spiegazioni («stavo cercando un ditale che mi è caduto!»). Avrebbe voluto ridere forte: e ascoltava, ascoltava, con un senso di sbalordimento che le faceva salire le lacrime nella gola. Era davvero suo padre a pronunciare quelle cose terribili? Vera aveva detto che aveva una grande anima. Una grande anima avrebbe forse parlato d’ingannare gli altri, spaventarli, ucciderli, servirsi di loro?

"È ciò che sta facendo con Herman Macmilan", pensò Luz. "Si serve di lui".

Perché no, perché no? E a cos’altro serviva Herman Macmilan?

E lei, a cosa serviva? A essere usata, e suo padre l’aveva usata tutta la sua vita: per la propria vanità, per la propria comodità, come un animaletto da compagnia; e in quei giorni l’usava per assicurarsi la docilità di Herman Macmilan. La sera prima le aveva ordinato di trattare Herman con cortesia, ogni volta che il giovane voleva parlare con lei. Senza dubbio Herman si era lagnato perché lei lo sfuggiva. Quel grosso prepotente piagnucoloso! Prepotenti tutti e due, tutti quanti, con i loro muscoli e le loro vanterie e i loro ordini e i loro subdoli piani.

Luz non ascoltava più quello che stavano dicendo i due uomini. Si allontanò dal muro, diritta, indifferente. Girò intorno alla casa, entrò dall’ingresso posteriore, attraversò le cucine sporche e tranquille nell’ora della siesta, e andò nella stanza che era stata assegnata a Vera Adelson.

Anche Vera stava facendo la siesta, ed era insonnolita.

— Ho ascoltato di nascosto mio padre e Herman Macmilan — disse Luz, fermandosi al centro della stanza mentre Vera, seduta sul letto, la guardava sbattendo le palpebre. — Progettano un’incursione contro il paese. Prenderanno prigionieri Lev e tutti gli altri capi, e poi cercheranno di esasperare i tuoi, di aizzarli a combattere, così potranno sconfiggerli e mandarne molti a lavorare per punizione nelle nuove fattorie. Ne hanno già mandati parecchi: ma sono scappati tutti, o sono scappate le guardie, non ho capito bene. E adesso Macmilan andrà con il suo «piccolo esercito» e mio padre gli ha detto di costringere la gente a reagire affinché tradisca le proprie idee, così potrà usarla come vuole.

Vera continuò a fissarla in silenzio.

— Tu sai cosa significa. Se non lo sai, lo sa Herman. Significa che lasceranno che i suoi uomini usino violenza alle donne. — La voce di Luz era fredda benché parlasse rapidamente. — Devi andare ad avvertirli.

Vera non disse nulla. Si guardò i piedi nudi, con aria distaccata. Era stordita, o forse rifletteva con la stessa rapidità con cui aveva parlato Luz.

— Rifiuti ancora di andare? La tua promessa ti vincola ancora? Anche dopo… questo?

— Sì — rispose Vera, con un filo di voce, come se fosse distratta. E poi, più energicamente: — Sì.

— Allora dovrò andare io.

— Dove?

— Ad avvertirli.

— Quando sarà l’attacco?

— Domani notte, credo. Di notte, ma non so bene a quale notte si riferivano.

Ci fu un silenzio.

— Forse è per stanotte. Hanno commentato: «Meglio, se sono a letto». — Era stato suo padre a dirlo, e Herman Macmilan aveva riso.

— E se vai tu… cosa farai?

Vera sembrava parlare con voce ancora assonnata, facendo lunghe pause.

— Li avvertirò, poi tornerò indietro.

— Qui?

— Non lo saprà nessuno. Lascerò detto che vado da Eva. Non ha importanza. Se riferirò a quelli del paese ciò che io ho sentito, cosa faranno?

— Non lo so.

— Ma non sarebbe utile che lo sapessero, che potessero prepararsi? Mi hai detto che bisogna sempre pianificare quello che si deve fare, preparare tutti…

— Sì, sarebbe utile. Ma…

— Allora andrò. Subito.

— Luz ascolta. Pensa a quello che fai. Puoi andare in pieno giorno, senza che nessuno si accorga che esci dalla città? Puoi ritornare? Pensa…

— Non m’importa se non potrò tornare. Questa casa è piena di menzogne — disse Luz, con lo stesso tono freddo e concitato. E uscì.

Andare fu facile. Continuare ad andare fu difficile.

Prendere un vecchio scialle nero, mentre usciva, e avvolgerselo addosso per proteggersi dalla pioggia e camuffarsi; sgattaiolare via dall’uscita posteriore, lungo la viuzza laterale, trottando come una serva ansiosa di rientrare a casa; lasciare casa Falco, lasciare la città: questo fu facile. Era emozionante. Lei non aveva paura che qualcuno la fermasse: non aveva paura di nessuno. Se la fermavano, sarebbe bastato che dicesse «sono la figlia del consigliere Falco!» e nessuno avrebbe fiatato. Ma nessuno la fermò. Era sicura che nessuno l’aveva riconosciuta, perché procedeva per i vicoletti seguendo il percorso più breve per uscire dalla città, oltre la scuola; il nero scialle le copriva la testa; e il vento carico di pioggia, che spirava dal mare e quasi la sospingeva, avrebbe soffiato negli occhi di chi fosse venuto verso di lei. Pochi minuti dopo si lasciò alle spalle le strade e tagliò attraverso il deposito di legname dei Macmilan, fra le casette di tronchi e di assi, e poi su, verso le alture, e lungo la strada per Shantih.

Da questo momento divenne tutto difficile, da quando lei mise piede su quella strada. L’aveva percorsa una sola volta in tutta la vita, quando era andata con un gruppo di amiche — debitamente scortate da zie, duenne e guardie di casa Marquez — a vedere il ballo alla Casa delle Riunioni. Era estate, e loro avevano chiacchierato e riso per tutta la strada. La carrozzella a pedali della zia di Eva, Caterina, aveva perso una ruota e l’aveva scaricata nella polvere, e per tutto il pomeriggio la zia Caterina aveva assistito alle danze con un grande cerchio di polvere bianca sul dietro dell’abito nero, e loro non avevano mai smesso di ridacchiare… Ma non avevano neppure attraversato il paese. Com’era, lassù? Di chi doveva chiedere, a Shantih, e cosa doveva dire? Avrebbe dovuto discuterne prima con Vera, invece di correr via con tanta furia. Cosa le avrebbero detto? L’avrebbero lasciata entrare, sapendo che veniva dalla città? L’avrebbero fissata, avrebbero riso di lei, avrebbero cercato di farle del male? Dicevano che non facevano del male a nessuno. Probabilmente non avrebbero voluto parlarle. Il vento alle sue spalle, adesso, era freddo. La pioggia aveva infradiciato lo scialle e l’abito, sulla schiena, e l’orlo della gonna era appesantito dal fango e dall’acqua. I campi erano vuoti, ingrigiti dall’autunno. Quando si voltò indietro non vide altro che la Torre Monumentale, un relitto pallido che puntava insensatamente verso il cielo: tutto ciò che lei conosceva adesso era celato aldilà di quel punto di riferimento. Sulla sinistra, a volte, intravedeva il fiume, ampio e grigio, battuto dalle oblique raffiche di pioggia.