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— Ti senti bene? Entra, siediti un momento.

— Mi gira la testa — disse Luz. La sua voce aveva un suono lamentoso, e lei se ne vergognava. Lev la fece entrare, e Luz si sedette su una sedia di giunchi accanto a un tavolo, sotto le travi del basso soffitto. Si tolse lo scialle dalla testa per liberarsi dal peso e dal calore; le guance cominciarono a rinfrescarsi e le luci smisero di balenarle davanti agli occhi. Lev le stava accanto, all’estremità del tavolo. Era scalzo, e portava soltanto un paio di calzoni; stava immobile e silenzioso. Lei non poteva vederlo in faccia, ma nella sua posa e nel suo silenzio non sentiva minaccia, collera o disprezzo.

— Ho corso — disse. — Volevo tornare in fretta: la strada è lunga, e mi ha dato le vertigini. — Poi si riprese, scoprendo che c’era in lei, sotto l’agitazione e la paura, un angolo silenzioso dove la sua mente poteva rifugiarsi e pensare. Pensò, e alla fine riprese a parlare.

— Vera vive con noi. In casa Falco. Lo sapevi? Io e lei stiamo insieme, ogni giorno. Parliamo. Io le dico quello che sento, quello che succede e lei mi dice… tante cose… Ho cercato di convincerla a tornare qui. Per avvertirvi. Non ha voluto, ha detto che ha promesso di non fuggire, che deve mantenere la parola. Perciò sono venuta io. Li ho sentiti parlare, Herman Macmilan e mio padre. Li ho ascoltati: mi sono messa sotto la finestra a origliare. Quello che hanno detto mi ha fatta infuriare. Mi ha nauseata. Perciò, quando Vera ha rifiutato di venire, sono venuta io. Sai delle nuove guardie, le guardie di Macmilan?

Lev scrollò il capo, intento, vigile.

— Non sto mentendo — disse Luz, freddamente. — Nessuno si serve di me. Nessuno, tranne Vera, sa che sono uscita da casa. Sono venuta perché sono stanca di essere usata, stanca delle menzogne, stanca di non far niente. Puoi credermi o non credermi. Non m’importa.

Lev scrollò di nuovo la testa, sbattendo le palpebre come se fosse abbagliato. — No, non… Ma parla un po’ più adagio…

— Non c’è tempo. Devo tornare prima che qualcuno se ne accorga. Dunque, mio padre ha convinto il giovane Macmilan ad addestrare una squadra di altri giovani, figli di Padroni, come un esercito speciale da usare contro di voi. Da due settimane non parlano d’altro. Verranno qui a causa di quello che è successo nella Valle Sud, e devono catturare te e gli altri capi e poi costringere i tuoi a battersi perché tradiscano l’idea della pace, della… come la chiamate? La nonviolenza. E poi vi batterete e perderete, perché loro sono combattenti migliori, e del resto sono armati di moschetto. Conosci Herman Macmilan?

— Di vista, credo — disse Lev. Era così diverso dall’uomo del quale Luz aveva appena pronunciato il nome e la cui immagine le riempiva la mente: il volto splendido e la figura muscolosa, il torace ampio, le gambe lunghe, le mani forti, la tunica pesante, i calzoni, gli stivali, la cintura, la giubba, il moschetto, la frusta, il coltello… Quest’uomo era scalzo: lei ne vedeva le costole e lo sterno sotto la pelle scura e liscia.

— Io lo odio — disse Luz, meno concitatamente, parlando dal piccolo e fresco rifugio dove poteva pensare. — La sua anima non è più grande di un’unghia. Dovresti avere paura di lui. Io ne ho paura. Ama far soffrire gli altri. Non cercate di parlargli, come fate sempre voi. Non vi ascolterà. È pieno di sé. La sola cosa che si può fare, con un uomo simile, è di colpirlo o fuggire lontano. Io sono fuggita… Mi credi? — Ora poteva chiederlo.

Lev annuì.

Lei gli guardò le mani, posate sulla spalliera della sedia. Stringevano con forza la barra di legno. Erano nervi e ossa sotto la pelle scura, forti, fragili.

— Bene, ora devo tornare — disse lei e si alzò.

— Aspetta. Dovrai dirlo agli altri.

— Non posso. Diglielo tu.

— Ma tu hai detto che sei fuggita da Macmilan. Adesso torni da lui?

— No! Da mio padre… a casa mia…

Ma Lev aveva ragione. Era la stessa cosa.

— Sono venuta ad avvertirvi — disse lei, freddamente, — perché Macmilan vuole tendervi un tranello e merita di essere ripagato con la stessa moneta. È tutto.

Ma non era abbastanza.

Guardò oltre la porta e vide il viottolo che avrebbe dovuto percorrere, e poi la via, e la strada, poi la città e le vie, e la sua casa e suo padre…

— Non capisco — disse. Si sedette perché tremava di nuovo, non più per la paura ma per la collera. — Non ho pensato. Vera ha detto…

— Cos’ha detto?

— Ha detto di pensare.

— Ha…

— Aspetta. Devo pensare. Non l’ho fatto allora, devo farlo adesso.

Luz restò in silenzio per qualche attimo, con le mani strette in grembo.

— Ecco — riprese. — Questa è una guerra, ha detto Vera. Io dovrei… Ho tradito la fazione di mio padre. Vera è un ostaggio in mano alla città. Io dovrò essere un ostaggio in mano al paese. Se lei non può andare e venire, non posso farlo neppure io. Dev’essere così. — Il respiro le si arrestava nella gola, producendo un piccolo rantolo al termine di ogni frase.

— Noi non prendiamo ostaggi, non facciamo prigionieri…

— Non ho detto questo. Ho detto che devo restare qui. Ho scelto di restare qui. Me lo permetterai?

Lev si mosse, abbassando automaticamente la testa quando passò sotto una trave molto bassa. La sua camicia era ad asciugare su una sedia, davanti al fuoco: lui la indossò, poi entrò nell’altra stanza, ne uscì con le scarpe in mano e si sedette accanto al tavolo per infilarle. — Senti — disse mentre si chinava, — puoi restare qui. Chiunque può farlo. Non costringiamo nessuno ad andare, non costringiamo nessuno a rimanere. — Si raddrizzò, guardandola in faccia. — Ma cosa penserà tuo padre? Anche se credesse che sei qui per tua scelta…

— Non lo permetterebbe. Verrebbe a riprendermi.

— Con la forza.

— Sì, con la forza. Con Macmilan e il suo piccolo esercito, senza dubbio.

— Allora tu diventeresti il pretesto per la violenza che quelli stanno cercando. Devi tornare a casa, Luz.

— Nel vostro interesse — disse lei.

Stava semplicemente pensando a voce alta, rendendosi conto di ciò che aveva fatto e di ciò che ne sarebbe seguito. Ma Lev rimase lì immobile, tenendo in mano una scarpa: uno stivaletto basso, infangato e malconcio, notò Luz.

— Sì — disse Lev. — Nel nostro interesse. Sei venuta qui per noi. Ora torna a casa, per noi. E se scoprono che sei stata qui… — Ci fu una pausa. — No — proseguì. — Non puoi tornare. Rimarresti invischiata nelle menzogne… le tue e le loro. Sei venuta qui. Per Vera, per noi. Sei con noi.

— No, non sono con voi — ribatté Luz, irosamente. Ma la luce e il calore del volto di Lev la sconcertavano. Lui parlava in modo così chiaro, così sicuro: adesso sorrideva. — Luz — disse, — ti ricordi quando andavamo a scuola? Tu eri sempre… Avrei sempre voluto parlarti, ma non ne trovavo mai il coraggio… Una volta abbiamo parlato, al tramonto, e mi hai chiesto perché non volevo battermi con Angel e i suoi compagni. Non eri come le altre ragazze della città: quello non sembrava il tuo posto. Il tuo posto è qui. A te sta a cuore la verità. Ti ricordi come ti sei arrabbiata col maestro, una volta, quando ha detto che i conigli non vanno in letargo e Timmo ha cercato di spiegare che ne aveva trovati una quantità in letargo, in una grotta, e il maestro voleva frustarlo per la sua insolenza? Ti ricordi?

— Sì, e io ho detto che l’avrei riferito a mio padre — mormorò Luz. Era impallidita.

— Ti sei alzata e hai detto che il maestro non conosceva la verità e voleva frustare Timmo perché l’aveva detta… Avevi solo quattordici anni. Luz, ascoltami: vieni con me, adesso. Andremo a casa di Elia. Potrai raccontare quello che hai detto a me, e decideremo cosa fare. Non puoi tornare a casa e essere punita, essere svergognata! Ascolta. Puoi stare con Southwind: abita fuori dal paese, e là starai tranquilla. Ma ora vieni con me: non abbiamo tempo da perdere. — Lev le tese la mano attraverso il tavolo, quella mano calda, piena di vita: Luz la prese, e incontrò i suoi occhi con occhi pieni di lacrime. — Non so cosa fare — disse piangendo. — Hai messo una scarpa sola, Lev.