"Questo è il vero centro", pensò. Le parole passarono rapide e chiare attraverso la sua mente. Non le ripensò più: ma nulla, dopo quelle parole, rimase uguale; nulla avrebbe potuto rimanere uguale. Lui era salito tra le montagne.
La sua mano destra era quasi protesa verso Luz in un gesto di supplica. Lev vide, come lo vide Luz, quel gesto incompiuto. Improvvisamente intimidito, lasciò ricadere la mano, e il gesto non si compì. Lei si mosse bruscamente, voltandosi, e disse con rabbia e disperazione: — Oh, io non capisco, è tutto così strano. Non capirò mai: tu sai tutto e io non ho mai pensato a niente… — Sembrava più piccola, mentre parlava: piccola, furiosa, arrendevole.
— Vorrei soltanto… — S’interruppe.
— Verrà il momento, Luz — disse lui. — Non devi precipitarti. Verrà il momento, verrà: te lo prometto.
Lei non chiese cosa le prometteva. E Lev non avrebbe saputo dirlo.
Quando Lev uscì dalla casa, il vento carico di pioggia gli colpì il volto togliendogli il respiro. Lev ansimò: le lacrime gli riempirono gli occhi, ma non a causa del vento. Pensò al mattino luminoso di tre giorni prima, all’alba argentea e alla sua grande felicità. Quel giorno invece era grigio, e non c’era il cielo, e c’erano poca luce e tanta pioggia e tanto fango. "Fango, il nome di questo mondo è Fango", pensò: e avrebbe voluto ridere, ma aveva ancora gli occhi pieni di lacrime. Lei aveva ribattezzato il mondo. "Quel mattino, sulla strada", pensò, "c’era la felicità, ma questo è…". Non sapeva come chiamarlo: c’era solo il nome di lei, Luz. Era tutto contenuto in quel nome: l’alba argentea e il grande tramonto fiammeggiante sulla città, anni prima, e tutto il passato, e tutto ciò che doveva ancora venire, anche il loro lavoro, le discussioni e i piani, e il confronto, e la sicura vittoria, la vittoria della luce. — Prometto, prometto — mormorò nel vento. — Tutta la mia vita, tutti gli anni della mia vita.
Avrebbe voluto rallentare il passo, fermarsi, prolungare quel momento. Ma il vento stesso che gli soffiava in faccia lo costringeva ad avanzare. C’era tanto da fare, e così poco tempo. In seguito, in seguito! Quella notte poteva arrivare la banda di Macmilan: chi poteva saperlo? Evidentemente, intuendo che Luz aveva rivelato il loro piano, l’avevano cambiato. Non c’era nulla da fare fino a quando i loro piani fossero stati completati, null’altro che attendere e tenersi pronti. Quello era l’importante. Non ci sarebbe stato panico. Indipendentemente dal fatto che fosse la città o il paese a compiere la prima mossa, il Popolo della Pace avrebbe saputo cosa fare, come agire. Lev proseguì quasi di corsa fino a Shantih. Il sapore della pioggia era dolce sulle sue labbra.
Era a casa, nel tardo pomeriggio buio, quando arrivò il messaggio. Lo portò suo padre, dalla Casa delle Riunioni. — Una guardia dalla faccia sfregiata — disse Sasha con la sua voce bassa e ironica, — è venuta e ha chiesto di Shults. Credo che cercasse te, non me.
Era un biglietto scritto sulla carta grossolana che fabbricavano in città. Per un momento Lev pensò che fosse stata Luz a scrivere quelle parole nere e angolose…
Shults: oggi al tramonto sarò al cerchio della fonderia.
Porta tutti quelli che vuoi. Io sarò solo.
Luis Burnier Falco
Una trappola, una trappola evidente. Troppo evidente? C’era appena il tempo di tornare a casa di Southwind e di mostrare il messaggio a Luz.
— Se dice che verrà solo, verrà solo — dichiarò lei.
— L’hai ben sentito mentre faceva i piani con Macmilan per raggirarci — osservò Andre.
Luz distolse lo sguardo, sprezzante. — Qui c’è il suo nome — disse. — Non firmerebbe una menzogna. Sarà solo.
— Perché?
Luz alzò le spalle.
— Ci vado — disse Lev. — Sì! Con te, Andre. E con tutti quelli che riterrai necessari. Ma dovrai radunarli molto in fretta. Resta soltanto un’ora, al tramonto.
— Sai che vogliono prenderti come ostaggio — replicò Andre. — E andrai a metterti nelle loro mani?
Lev annuì energicamente. — Come un cosè — disse, e rise. — Nelle loro mani… e via! Vieni, raduniamo gli altri. Luz… vuoi venire?
Lei era indecisa.
— No — rispose, con un brivido. — Non posso. Ho paura.
— Sei prudente.
— Dovrei venire. Per dirgli che non mi tenete qui con la forza, che ho scelto io. Lui non lo crede.
— Quello che tu hai scelto, e se lui lo crede o no, non ha importanza — dichiarò Andre. — Sei ancora un pretesto: una loro proprietà. È meglio che tu non venga: se verrai, probabilmente useranno la forza per riprenderti.
Lei annuì, ma esitava ancora. Alla fine disse: — Dovrei venire. — Lo disse con un tono così disperato che Lev l’interruppe: — No… — Ma Luz continuò: — Devo farlo. Non posso restare in disparte e lasciare che gli altri parlino per me, si battano per me, mi passino dall’uno all’altro.
— Non ti riconsegneremo — disse Lev. — Tu appartieni a te stessa. Vieni con noi, se vuoi.
Luz annuì.
Il cerchio della fonderia era un antico sito di alberanelli, a sud della strada, equidistante dal paese e dalla città, e molto più vecchio dell’uno e dell’altra. Gli alberi erano caduti da molto tempo, lasciando soltanto lo stagno centrale. Lì era stata costruita la prima fonderia della città. Anche quella era scomparsa, quarant’anni prima, quando era stato trovato del minerale più ricco nelle Colline Sud. Le ciminiere e i macchinari non c’erano più; i vecchi capannoni, dalle assi putride, ricoperti dall’erbaccia e dalle rose velenose, erano abbandonati sulla piatta riva dello stagno.
Andre e Lev avevano radunato un gruppo di venti persone. Andre lo guidò intorno ai vecchi capannoni, per assicurarsi che non ci fossero guardie nascoste. Erano deserti, e per parecchie centinaia di metri intorno non c’erano altri posti dove fosse possibile nascondersi: era una zona piatta, senz’alberi, desolata e tetra nell’imbrunire. Una pioggerella sottile cadeva nel rotondo stagno grigio, indifeso come un occhio aperto e cieco. Sull’altra riva li stava aspettando Falco. Lo videro allontanarsi da un gruppo d’alberi dove si era riparato dalla pioggia, e girare intorno alla riva per venir loro incontro, da solo.
Lev si staccò dal gruppo. Andre lo lasciò procedere ma lo seguì a un paio di metri di distanza con Sasha, Martin, Luz e altri. Il resto del gruppo restò sparso lungo il bordo del grigio stagno, sul pendio che conduceva alla strada.
Falco si fermò di fronte a Lev. Erano sull’orlo dello stagno, dove camminare era più facile. In mezzo a loro stava una minuscola insenatura di acqua fangosa, una baia non più larga della lunghezza di un braccio, con le rive di sabbia fine: un porto per una barchetta-giocattolo. Nell’intensa nitidezza delle sue percezioni, Lev era conscio di quell’angolo d’acqua e di sabbia, com’era conscio della figura eretta di Falco, del bel volto che era il volto di Luz eppure era completamente diverso, della giubba scurita dalla pioggia sulle spalle e sulle maniche.
Falco vide certamente la figlia nel gruppo dietro Lev, ma non la guardò e non le parlò: parlò a Lev, a voce bassa e asciutta, un po’ difficile da udire nel vasto mormorio della pioggia.
— Sono solo, come vedi, e disarmato. Parlo per me stesso, non come consigliere.
Lev annuì. Provò l’impulso di chiamarlo per nome: non senhor Falco ma col suo nome, Luis; non comprese quell’impulso e rimase in silenzio.
— Desidero che mia figlia venga a casa.
Con un gesto, Lev indicò che Luz era dietro di lui. — Può parlarle, senhor Falco — disse.