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— Sono venuto per parlare con te. Se tu parli a nome dei ribelli.

— Ribelli? Contro cosa, senhor? Io, o qualunque altro, parliamo a nome di Shantih. Ma Luz Marina può parlare per se.

— Non sono venuto per discutere — disse Falco. I suoi modi erano cortesi e controllati, il volto era rigido. La calma e la rigidità erano quelle di un uomo che soffre. — Ascolta. Ci sarà un attacco contro il paese. Ormai lo sai. Non potrei impedirlo, anche se volessi, sebbene l’abbia procrastinato. Ma voglio che mia figlia non vi sia immischiata. Voglio che sia al sicuro. Se la rimanderai a casa con me, questa sera vi restituirò la senhora Adelson e gli altri ostaggi, sotto scorta. Verrò con loro, se vuoi: e allora lascerai che mia figlia torni con me. È una questione che riguarda noi soli. Quanto al resto, la lotta… l’avete iniziata voi, con la vostra disubbidienza. Non posso fermarla, e ormai non lo puoi neppure tu. Questo è tutto ciò che possiamo fare: scambiarci gli ostaggi e salvarli.

— Senhor, credo alla sua sincerità… ma non le ho portato via Luz Marina e non posso rendergliela.

In quel momento Luz lo raggiunse, avviluppata nello scialle nero. — Padre, — disse con voce chiara e dura, non sommessamente come avevano parlato Lev e Falco, — Lei può fermare i bravacci di Macmilan, se lo vuole.

L’espressione di Falco non cambiò: non poteva cambiare, forse, senza andare a pezzi. Ci fu un lungo silenzio, pieno dei suoni della pioggia. La luce era pesante, viva soltanto ad occidente, bassa e lontana.

— Non posso, Luz — disse lui, con quella voce bassa e dolente. — Herman è… deciso a riprenderti.

— E se tornassi, in modo che lui non avesse un pretesto, gli ordinerebbe di non attaccare Shantih?

Falco non rispose subito. Deglutì a fatica, come se avesse avuto la gola arida. Lev strinse i pugni: vedeva l’orgoglio di quell’uomo che non poteva sopportare le umiliazioni ed era umiliato, la forza che doveva riconoscersi impotente.

— Non posso. Ormai è troppo tardi. — Falco deglutì di nuovo, e ritentò: — Vieni a casa con me, Luz Marina — disse. — Rimanderò subito gli ostaggi. Ti do la mia parola. — Guardò Lev, e il suo volto sbiancato diceva ciò che lui non poteva dire: che gli chiedeva aiuto.

— Li rimandi! — disse Luz. — Non ha diritto di tenerli prigionieri.

— E tu verrai… — Non era una domanda.

Lei scrollò la testa. — Non ha diritto di tenere prigioniera me.

— Non sei prigioniera, Luz, sei mia figlia… — Falco avanzò di un passo, e lei indietreggiò.

— No! — disse. — Non vengo, se lei contratta per me. Non tornerò mai, se attacca e perseguita la gente! — Balbettò, cercando le parole. — Non sposerò mai Herman Macmilan, non voglio neppure vederlo. Lo de… lo detesto! Verrò quando sarò libera di fare ciò che voglio: e finché lui frequenterà casa Falco, io non tornerò!

— Macmilan? — chiese suo padre, in tono angosciato.

— Non devi sposare Macmilan… — S’interruppe, girando lo sguardo da Luz a Lev. — Vieni a casa. — Gli tremava la voce, ma si sforzava di dominarsi. — Impedirò l’attacco, se potrò. Noi… noi parleremo — disse a Lev. — Parleremo.

— Parleremo ora, più tardi, quando vorrà — replicò Lev. — Non abbiamo mai preteso altro, senhor. Ma non deve chiedere a sua figlia di barattare la sua libertà con quella di Vera, o con la sua benevolenza o la nostra salvezza. È ingiusto. Non può farlo: non l’accetteremmo.

Falco tacque di nuovo, ma era un silenzio diverso: la sconfitta o il rifiuto della sconfitta? Il volto, pallido e bagnato di pioggia o di sudore, era inespressivo.

— Allora non vuoi lasciarla andare — disse.

— Io non voglio venire — dichiarò Luz.

Falco annuì, si voltò e si allontanò a passo lento lungo la curva riva dello stagno. Passò accanto agli arbusti, indistinti e informi nel crepuscolo, e salì il pendio verso la strada che conduceva alla città. La sua figura, diritta e scura e piccola, scomparve rapidamente.

IX

Una delle cameriere bussò alla porta di Vera, l’aprì e disse col tono un po’ impertinente e un po’ timido delle domestiche che «eseguono gli ordini»: — Senhora Vera, Don Luis ti attende nella sala grande.

— Oh, povera me — sospirò Vera. — È ancora di cattivo umore?

— Pessimo — disse la ragazza, Teresa, cambiando tono e chinandosi per grattare un callo sul piede nudo e grassoccio. Ormai Vera era considerata un’amica, una specie di zia o di sorella maggiore, da tutte le ragazze della casa: perfino Silvia, l’austera cuoca di mezza età, era venuta nella sua stanza, il giorno dopo la scomparsa di Luz, e ne aveva parlato con lei, evidentemente senza preoccuparsi del fatto che andava a chiedere rassicurazioni a una nemica. — Hai visto la faccia di Michael? — continuò Teresa. — Don Luis gli ha fatto quasi cadere due denti, ieri, perché andava troppo piano a sfilargli gli stivali: sbuffava e gemeva, sai come fa sempre, e Don Luis, bam!, gli ha dato un calcio con stivale e tutto. Adesso Michael ha la faccia come un pipistrello marsupiale. Linda dice che ieri sera Don Luis è andato a Shantih, da solo. L’ha visto Thomas dei Marquez, per la strada. Cosa credi che sia successo? Era andato a cercare di riprendere la povera senhorita Luz?

— Oh, — Vera sospirò di nuovo. — Be’, sarà meglio non farlo attendere. — Si rassettò i capelli e l’abito e disse a Teresa: — Che begli orecchini, hai. Andiamo! — Seguì la ragazza nella sala di casa Falco.

Luis Falco era seduto sul divano accanto alla finestra, e guardava la baia di Songe. L’inquieta luce del mattino aleggiava sul mare; le nubi erano grandi, turbolente, con le creste di un bianco abbagliante dove le toccava il sole, scure dove nuvole più alte velavano la luce. Falco si alzò per accogliere Vera. Il suo volto era duro, stanco. Le parlò senza guardarla. — Senhora se ha qualcosa di suo, qui, che intende portare con sé, la prego di andarlo a prendere.

— Non ho nulla — disse lentamente Vera. Falco non l’aveva mai spaventata: anzi, durante il mese di permanenza in casa sua, lei aveva finito con apprezzarlo molto e col rispettarlo. Ma adesso era cambiato: non per il dolore e la rabbia, visibili — e comprensibili — dopo la fuga di Luz; non si trattava di uno stato emotivo, ma di un cambiamento profondo, di un evidente decadimento come in un uomo ferito o malato mortalmente. Vera avrebbe voluto stabilire un contatto con lui, ma non sapeva come. — Mi ha dato gli abiti, Don Luis, e tutto il resto — disse. Gli abiti che indossava ora erano appartenuti alla moglie di Falco: lui aveva fatto portare nella sua stanza una cassapanca piena di scialli e gonne e camicette, finemente tessuti e tutti ripiegati con cura e cosparsi di mazzetti di lavanda dolce che dopo tanto tempo avevano perso ogni profumo. — Devo rimettere i miei vestiti? — chiese.

— No… Sì, se lo preferisce. Come vuole… Torni qui al più presto, la prego.

Quando Vera ritornò, dopo cinque minuti, indossando la sua tuta bianca di seta arborea, lo ritrovò seduto immobile a guardare la grande baia argentea sovrastata dalle nubi.

Si alzò di nuovo quando lei si avvicinò e non la guardò neanche questa volta. — La prego di seguirmi, senhora.

— Dove? — chiese Vera, senza muoversi.

— Al paese. — Falco aggiunse, come se avesse dimenticato di dirlo, come se pensasse ad altro. — Spero che le sia possibile di ricongiungersi con la sua gente, lì.

— Anch’io lo spero. Cosa lo renderebbe impossibile, Don Luis?

Lui non rispose. Vera intuì che non eludeva la sua domanda ma che gli era troppo faticoso risponderle. Falco si scostò per lasciarla passare. Vera girò lo sguardo sulla grande sala che ormai conosceva così bene, poi lo fissò. — La ringrazio per la bontà che mi ha dimostrato, Don Luis — disse, in tono formale. — Non dimenticherò mai la sincera ospitalità che ha fatto di una prigioniera un’ospite.