Tenendo strette le preziose sacche da sella, nelle quali era racchiuso il futuro di due nazioni, Cazaril venne accompagnato dal siniscalco di dy Baocia in una camera da letto ben riscaldata da un fuoco vivace. Il chiarore intenso di numerose candele rivelò due servitori in attesa vicino a una tinozza da bagno, una grande quantità di acqua calda, sapone, forbici, profumi e asciugamani; un terzo servitore sopraggiunse di lì a poco con un vassoio di formaggio bianco dolce, pasticcini alla frutta e un’abbondante teiera di tisana alle erbe. Sul letto era stesa una tenuta da lutto, adatta alla corte e completa di tutto, dalla biancheria pulita alle vesti di broccato e velluto e a una cintura di argento e ametiste. A quanto pareva, qualcuno non voleva correre rischi su come lui si sarebbe abbigliato. La trasformazione da relitto umano, sfinito dal viaggio, ad azzimato cortigiano non richiese più di una ventina di minuti.
Una volta pronto, Cazaril estrasse dalle sporche sacche da sella il pacchetto contenente i documenti, protetti da una tela cerata; dopo aver controllato che non ci fossero macchie di terra o di sangue, eliminò la tela, davvero sudicia, e si sistemò i documenti sotto un braccio. Il siniscalco lo guidò prima attraverso un cortile dove, alla luce delle torce, alcuni operai erano al lavoro per deporre le ultime lastre della pavimentazione in pietra, e poi all’interno di un edificio. Attraversarono una serie di stanze fino ad arrivare a una camera spaziosa, pavimentata in piastrelle e decorata con tappeti e arazzi; candelabri alti quanto un uomo e di elegante fattura reggevano ciascuno cinque candele, il cui intenso chiarore si riversava su Iselle, seduta su un ampio seggio intagliato addossato alla parete opposta, con accanto Betriz e il Provincar, a loro volta abbigliati a lutto.
Al suo ingresso, tutti e tre sollevarono lo sguardo, le due donne con aria impaziente e speranzosa, l’attempato dy Baocia con un’espressione più cauta. Pur avendo in comune con Ista i capelli castani, ormai brizzolati, lo zio di Iselle somigliava assai poco alla sorella minore, giacché aveva una corporatura massiccia, pur non essendo particolarmente alto. Accanto a dy Baocia c’erano poi un uomo robusto — con ogni probabilità il suo segretario, pensò Cazaril — e un individuo attempato. Dalle vesti a cinque colori, Cazaril comprese subito che si trattava dell’Arcidivino del Tempio di Taryoon e lo scrutò con aria speranzosa, alla ricerca di un bagliore di luce divina, ma comprese all’istante che si trattava di un semplice Devoto. La sua seconda vista, tuttavia, gli rivelò che la nube nera incombeva ancora intorno a Iselle, ribollente di un moto lento e cupo. Per grazia della Signora, non avrebbe continuato ancora per molto, pensò.
«Benvenuto a casa, Castillar», disse Iselle, con un tono di voce pervaso di calore che fu per lui come una carezza sulla fronte. Ma il fatto che avesse usato il suo titolo gli suonò subito come un velato avvertimento.
«I cinque Dei mi sono testimoni, Royesse: è andato tutto per il meglio», replicò Cazaril, segnandosi.
«Avete i trattati?» domandò dy Baocia, appuntando lo sguardo sul pacchetto che Cazaril teneva sotto il braccio e protendendo una mano con fare ansioso. «Al riguardo, c’è stata molta preoccupazione all’interno dei nostri consigli.»
Accennando un sorriso, Cazaril aggirò il Provincar e s’inginocchiò ai piedi di Iselle, riuscendo a eseguire quella faticosa manovra con aggraziata disinvoltura e senza grugnire di dolore o accasciandosi. Accostò alle labbra le mani che lei gli porgeva, poi, quando Iselle le girò col palmo verso l’alto, vi depose i documenti. «È tutto come voi avete ordinato», confermò.
«Vi ringrazio, Cazaril», replicò Iselle, con un bagliore di apprezzamento nello sguardo. Quindi lanciò un’occhiata al segretario dello zio, e aggiunse: «Per favore, portate una sedia per il mio ambasciatore. Ha cavalcato a lungo e duramente, senza riposare». Poi cominciò ad aprire l’involucro di seta.
Quando il segretario gli portò la sedia, completa di un cuscino imbottito di lana, Cazaril gli rivolse un distratto sorriso di ringraziamento, preoccupato all’idea di non riuscire a rialzarsi con grazia. Con suo estremo imbarazzo, Betriz si andò a inginocchiare accanto a lui, imitata dall’Arcidivino e i due lo misero in piedi, adagiandolo infine sulla sedia. Gli occhi scuri di Betriz lo scrutarono con estrema attenzione, indugiando fugacemente sul suo ventre ingrossato dal tumore. Ma non era il caso di parlare e lei si limitò a rivolgergli un sorriso d’incoraggiamento.
Dopo essersi assicurata che Cazaril si fosse seduto, Iselle prese a leggere il contratto di matrimonio. Il Castillar si limitò a osservare Iselle che, dopo aver finito di leggere una pagina, passava il foglio di pergamena allo zio, il quale aveva a stento il tempo di scorrerlo prima che gli venisse praticamente strappato di mano dall’Arcidivino. Ultimo della fila di lettori, il segretario non si dimostrò meno attento nell’esaminare il contratto, raccogliendo con scrupolo le pagine e mettendole nel giusto ordine a mano a mano che esse giungevano a lui.
Serrando le mani, dy Baocia attese che l’Arcidivino scorresse in fretta l’ultimo foglio, porgendolo poi in silenzio al segretario.
«Allora?» domandò infine il Provincar.
«Non ha venduto Chalion!» esclamò l’Arcidivino, segnandosi e allargando entrambe le mani in un gesto di rendimento di grazie agli Dei. «Ha comprato Ibra! Le mie congratulazioni, Royesse, al vostro ambasciatore… e a voi.»
«A tutti noi», commentò dy Baocia che, come l’Arcidivino e il segretario, appariva ora molto più sereno.
«Confido che non vi esprimerete in questi termini col Royse Bergon», interloquì Cazaril, schiarendosi la gola. «Dopotutto, quei trattati sono potenzialmente vantaggiosi per entrambe le parti», puntualizzò, poi, guardando dy Baocia e il suo segretario, aggiunse: «D’altro canto, forse i timori della gente si placherebbero se il testo del contratto venisse copiato, con calligrafia ampia e chiara, ed esposto accanto al portone del vostro palazzo, così che tutti lo possano leggere».
Dy Baocia accolse quella proposta con aria incerta, ma l’Arcidivino fu pronto ad annuire. «Un suggerimento molto saggio, Castillar», approvò.
«La cosa mi farebbe molto piacere», mormorò Iselle. «Zio, ti prego di provvedere.»
In quel momento, un paggio affannato fece irruzione nella sala, fermandosi davanti a dy Baocia. «La vostra signora avverte che il gruppo del Royse Bergon si sta avvicinando e che dovete raggiungerla immediatamente per accoglierlo», riferì.
«Arrivo subito», replicò il Provincar, poi trasse un profondo respiro e sorrise alla nipote. «Adesso ti porteremo il tuo promesso sposo. Ricorda che dovrai esigere tutti i baci di sottomissione — sulla fronte, sulle mani e sui piedi -, perché si deve capire che è Chalion a dominare Ibra. Proteggi l’orgoglio e l’onore della tua Casa. Non dobbiamo permettergli di porsi al di sopra di te, altrimenti ben presto finirà per dominarti. Devi cominciare come hai intenzione di proseguire.»
Iselle socchiuse gli occhi, pensosa, e intorno a lei l’ombra si fece più scura, dando l’impressione di accentuare la propria morsa.
Raddrizzandosi di scatto, Cazaril le scoccò un’occhiata piena di allarme, accompagnata da un cenno di diniego appena percettibile. «Anche il Royse Bergon ha il suo orgoglio, non meno onorevole del vostro, Royesse», le ricordò. «Inoltre si troverà in presenza di alcuni dei suoi nobili…»
Iselle esitò ancora per un istante, poi le sue labbra assunsero un’espressione decisa. «Comincerò come ho intenzione di continuare», dichiarò, con voce che sembrava d’acciaio. «La sostanza della nostra parità è contenuta in questo documento, zio, e il mio orgoglio non esige altre manifestazioni. Ci scambieremo i baci di benvenuto, reciprocamente, solo sulle mani.»