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In quel momento, in un punto imprecisato del palazzo, il grido rabbioso di un uomo fendette l’aria. Poi una donna urlò.

27

Appoggiandosi su una mano, Cazaril si alzò e spinse indietro la sopravveste per liberare l’elsa della spada, imitato dagli altri. Tutti si guardavano intorno con aria allarmata.

«Dy Tagille, va’ a vedere», ordinò Bergon, rivolgendo un cenno al compagno ibrano che annuì e si allontanò di corsa.

«Sarà meglio sbarrare le porte», suggerì dy Cembuer, che aveva ancora il braccio destro appeso al collo con una fascia. Poi liberò l’elsa della spada e si avviò per seguire l’altro nobile.

Cazaril lasciò correre lo sguardo per il cortile, osservando l’arcata di accesso, il cui cancello in ferro battuto era rimasto spalancato dopo il passaggio di dy Tagille, e chiedendosi se ci fossero altri ingressi.

«Royesse, Royse, Betriz… Non dovete rimanere intrappolati qui», disse, correndo per seguire dy Cembuer, col cuore che già gli martellava nel petto. Se solo fosse riuscito a portarli fuori di lì prima che…

Un paggio arrivò a precipizio proprio nel momento in cui dy Cembuer raggiungeva il cancello. «Signori, aiuto! Uomini armati hanno fatto irruzione nel palazzo!» gridò, guardandosi con terrore alle spalle.

In effetti, due uomini con la spada in pugno stavano sopraggiungendo di corsa sulla scia del paggio e dy Cembuer, che stava cercando di chiudere il cancello con la mano sinistra, impacciata dalla spada, riuscì a stento a schivare il primo colpo. Poi Cazaril si lanciò all’attacco con un fendente troppo affrettato e mal diretto, che il suo avversario parò. L’urto del metallo contro il metallo riecheggiò per tutto il cortile.

«Andate via!» urlò, da sopra la spalla. «Passate per i tetti, se necessario!» Fugacemente si chiese se Iselle sarebbe riuscita ad arrampicarsi, con indosso gli abiti di gala, ma non poté neppure girarsi per vedere se il suo ordine era stato seguito, perché il suo avversario si era ripreso e lo stava incalzando. Quei bravacci — o soldati o qualsiasi cosa fossero — indossavano abiti da comuni cittadini, senza colori o stemmi che li identificassero, probabilmente per infiltrarsi in città in piccoli gruppi, mescolandosi alla folla di quel giorno di festa.

Dy Cembuer attaccò un avversario, ma un violento colpo di risposta lo raggiunse al braccio rotto, con un impatto che lo fece impallidire e ricadere all’indietro con un grido soffocato. In quel momento, un soldato svoltò l’angolo e prese a correre verso l’arcata. Nel notare che portava i colori baociani, verde e nero, per un momento Cazaril provò un impeto di speranza… Ma poi riconobbe in lui il corrotto capitano delle guardie di Teidez. A quanto pareva, stava diventando sempre più esperto nell’arte del tradimento.

Nel vedere Cazaril, il capitano baociano ritrasse le labbra in un ringhio e serrò la spada con maggior determinazione, andando ad affiancarsi al compagno contro cui il Castillar già stava combattendo. Cazaril avrebbe voluto chiudere il cancello, ma non aveva né il tempo né le mani libere per farlo. Per di più, l’avversario di dy Cembuer era caduto attraverso la soglia, bloccandola. Cazaril, però, non osava neppure indietreggiare, perché quella strettoia costringeva gli avversari ad affrontarlo uno per volta, ed era il punto migliore per una difesa a oltranza. La mano gli si stava già intorpidendo per le vibrazioni che ogni impatto sulla lama trasmetteva all’impugnatura, e il ventre era contratto dai crampi, ma ogni suo respiro affannoso garantiva un altro passo alla fuga di Bergon, Iselle e Betriz. Un passo, due passi, cinque… Dov’era dy Tagille? Nove passi, undici… Quanti altri aggressori sarebbero giunti oltre a quelli? La sua lama staccò un pezzo di mascella al primo avversario, che barcollò all’indietro con un grido di dolore. Ma ciò permise al capitano di attaccare da un’angolazione migliore. Cazaril notò che aveva ancora al dito l’anello con lo smeraldo donatogli da Dondo, che scintillava a ogni movimento della spada. Quaranta passi, cinquanta…

Cazaril stava lottando in preda a un’esaltazione che nasceva dal terrore, così pressato dalla necessità di difendersi da non avere il tempo di riflettere sui pericoli sovrannaturali connessi, per esempio, a un affondo, in seguito al quale il demone della morte avrebbe potuto strappargli l’anima dal corpo e portarla via insieme con quella della sua vittima morente. Il suo mondo si era ristretto in modo sorprendente e lui non desiderava uscire vittorioso da quella giornata o da quello scontro, e neppure salvarsi la vita. Per lui contavano soltanto i passi dei suoi protetti in fuga, e ognuno di essi era una piccola vittoria. Sessanta passi… Accorgendosi che stava perdendo il conto, ricominciò da capo. Uno. Due. Tre…

Adesso probabilmente morirò, si disse. Morire due volte però non sarebbe servito ad annullare la maledizione, e ciò fece divampare nel suo animo una rabbia folle. Non posso morire abbastanza! Il suo braccio, ormai stanco, tremava: per difendere quel cancello ci sarebbe voluto uno spadaccino, non un segretario, ma la veglia privata della Royesse aveva coinvolto soltanto una manciata di nobili. Possibile che nessuno stesse arrivando alle sue spalle per dargli aiuto? Anche i servitori più anziani avrebbero potuto afferrare qualche oggetto e scagliarlo contro i nemici… Ventidue…

Prossimo allo sfinimento, Cazaril si chiese se non era il caso d’indietreggiare attraverso il cortile, e se i fuggiaschi avevano già salito le scale. La frenetica occhiata che si gettò alle spalle fu un errore, perché gli fece perdere il ritmo: con uno stridio metallico, la lama del baociano gli strappò la spada dalla mano ormai formicolante e la fece schizzare sulle pietre, dove prese a ruotare su se stessa. Poi il baociano gli assestò un violento spintone all’indietro, allontanandolo dall’arcata e facendolo cadere supino. Subito dopo, una mezza dozzina di uomini oltrepassò il portone, al seguito del capitano, sparpagliandosi per il cortile e, nel passare accanto a Cazaril, un paio di loro, più prudenti ed esperti, gli assestarono un calcio per accertarsi che non si rialzasse. La loro identità rimaneva ancora ignota, ma non c’erano dubbi su chi li avesse mandati.

Tossendo, Cazaril si girò su un fianco in tempo per vedere dy Jironal varcare a grandi passi il cancello, nella scia di un’altra mezza dozzina di uomini, e superare dy Cembuer che era ancora a terra, piegato su se stesso coi denti serrati per il dolore. Ma Iselle e Bergon si erano messi in salvo, risalendo magari una scala riservata alla servitù o passando per i tetti? Per gli Dei, bisognava soltanto sperare che non avessero ceduto al panico, barricandosi nelle loro stanze…

«Martou!» tuonò Cazaril, sollevandosi sulle ginocchia, scorgendo dy Jironal che si dirigeva verso le scale della galleria, dove un gruppetto dei suoi uomini lo stava aspettando.

«Tu!» esclamò dy Jironal, girandosi di scatto, come se fosse stato attaccato all’estremità di una fune. In risposta a quel movimento, il capitano baociano e un altro soldato afferrarono subito Cazaril per le braccia, piegandogliele dietro la schiena e alzandolo.

«Sei arrivato troppo tardi!» gridò Cazaril. «Il matrimonio è stato celebrato e consumato, e adesso non c’è modo di annullarlo. Chalion possiede Ibra, al prezzo più basso mai pagato, e tutta la nazione celebra questa fortuna. Iselle è la Figlia della Primavera, la delizia degli Dei, non puoi vincere contro di lei. Arrenditi! Salva la tua vita e quella dei tuoi uomini!»

«È sposata?» ringhiò dy Jironal. «Se necessario, la renderò vedova. È una pazza traditrice, la prostituta di Ibra, è maledetta e non intendo permetterle di continuare ciò che sta facendo!» Giratosi di scatto, tornò ad avanzare verso le scale.

«Sei tu la prostituta, Martou! Tu hai venduto Gotorget in cambio del denaro roknari che io avevo rifiutato, e hai venduto me come schiavo sulle galee per impedirmi di parlare!» urlò Cazaril, scoccando occhiate frenetiche ai soldati, che adesso esitavano. Dentro di sé, continuava a contare i passi. Cinquantacinque, cinquantasei, cinquantasette… «Questo bugiardo vende i suoi uomini. Seguitelo, e rischiate di essere traditi la prima volta che lui sentirà odore di profitto!»