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Quando tentò di trarre un primo, tremante respiro, l’arma oscillò leggermente, e un odore di carne cauterizzata gli assalì le narici, insieme con un profumo celestiale, come di fiori primaverili. Sebbene cercasse di rimanere immobile, Cazaril prese a tremare, sconvolto, attraversato da un senso di gelo.

D’un tratto, si trovò a lottare contro l’assurdo bisogno di ridere, cosa che gli avrebbe fatto ancora più male. L’odore di carne bruciata non giungeva esclusivamente dal suo corpo. Il cadavere di dy Jironal era disteso davanti a lui, coi capelli e gli abiti che fumavano. Pur avendo già visto cadaveri carbonizzati, quella era la prima volta che Cazaril ne vedeva uno bruciato dall’interno.

Poi la sua attenzione fu attratta da un ciottolo accanto al suo ginocchio. Un oggetto così denso e costante… Gli Dei non potevano sollevare neppure una piuma ma lui, un semplice umano, poteva raccogliere quel ciottolo antico e immutabile e metterlo ovunque avesse voluto, perfino nella propria tasca. Si chiese come mai non avesse mai apprezzato prima la cocciuta tenacia della materia e, in quell’istante, scorse una foglia secca, la cui complessità era ancora più sconvolgente. La materia inventava forme, e continuava a generare bellezza al di là di se stessa. Era una fonte di stupore per gli Dei, ricordava se stessa con chiarezza assoluta. Com’era possibile che non se ne fosse mai accorto? Perfino la sua mano tremante era un miracolo, come lo erano la spada conficcata nel suo ventre, gli alberi di arancio nei vasi — uno dei quali si era rovesciato ed era meravigliosamente rotto, un misto di terra e cocci — e i vasi stessi, il canto degli uccelli al mattino e l’acqua… L’acqua! Per i cinque Dei, l’acqua della fontana, e la luce del mattino che filtrava dal cielo…

«Lord Cazaril?» chiamò una voce debole, che proveniva da un punto accanto al suo gomito.

Lanciando un’occhiata in quella direzione, Cazaril vide che dy Cembuer era riuscito a strisciare fino a lui.

«Cos’è successo?» domandò il nobile ibrano, prossimo alle lacrime.

«Abbiamo assistito ad alcuni miracoli», rispose Cazaril. Troppi miracoli in un posto solo e in un solo momento, tanti che ne era sopraffatto. Riempivano il suo sguardo ovunque lo volgesse.

Parlare fu un errore, perché le vibrazioni così prodotte ridestarono il dolore al ventre. Il fatto stesso che potesse parlare, tuttavia, indicava che la spada non gli aveva trapassato un polmone… Comunque non gli andava d’immaginarsi quanto gli avrebbe fatto male tossire e sputare sangue, in quello stato.

Allora è una ferita al ventre, pensò. Morirò entro tre giorni.

Già poteva avvertire un vago sentore di feci che si mescolava all’odore della carne bruciata e al profumo che la Dea si era lasciata alle spalle, e sentiva singhiozzi…

Eppure… quel lezzo di feci non proveniva dal suo corpo. Il capitano baociano, raggomitolato su un fianco a poca distanza da lui, le braccia strette intorno alla testa, stava piangendo, benché non sembrasse ferito. D’altro canto, era stato il testimone vivente più vicino, e la Dea, al suo passaggio, doveva averlo sfiorato.

Dopo un istante, Cazaril si azzardò a trarre un altro respiro. «Che cosa avete visto?» chiese a dy Cembuer.

«Quell’uomo… era dy Jironal?»

Con un movimento del capo appena percettìbile, Cazaril annuì.

«Quando vi ha trafitto, c’è stato un crepitio infernale, poi lui è esploso in lingue di fuoco azzurro. È… sono stati gli Dei ad abbatterlo?»

«Non proprio. È… una cosa più complicata…»

Notando che sul cortile era sceso uno strano silenzio, Cazaril si azzardò a girare la testa, scoprendo che una mezza dozzina dei bravacci di dy Jironal e alcuni servitori di Iselle erano distesi al suolo, alcuni intenti a borbottare, altri in pianto, come il capitano baociano. Gli altri erano scomparsi.

Cazaril cominciava a capire perché un uomo dovesse rinunciare per tre volte alla propria vita per compiere quel miracolo… e pensare che aveva giudicato arbitrario e cavilloso il comportamento degli Dei, ritenendo che stessero infliggendo agli uomini qualche arcana punizione! No, le prime due morti gli erano servite per esercitarsi! Nella prima, la fustigazione subita sulla galea, aveva imparato ad accettare la morte del corpo… No, non aveva sbagliato i calcoli: quando si era verificata quella morte, essa non si poteva considerare a beneficio della Casa di Chalion, però era diventata utile proprio a Chalion nel momento in cui il matrimonio tra Iselle e Bergon era stato consumato. La loro unione, che aveva ripartito in modo così orribile la presenza della maledizione, aveva ripartito anche i sacrifici. Era stata quella la dote segreta portata da Bergon, e Cazaril sperava soltanto di vivere abbastanza a lungo da riuscire a riferirglielo, perché era certo che gli avrebbe fatto piacere. La seconda accettazione, quella della morte dell’anima, era avvenuta in solitudine, con l’unica compagnia dei corvi della Torre di Fonsa. Così, quand’era giunta la morte definitiva, lui aveva potuto offrire alla Dea un collaboratore saldo e affidabile…

Un umile parallelismo che riguardava l’addestramento dei muli gli stava affiorando nella mente allorché un rumore di passi lo riscosse dai suoi pensieri. Nel sollevare lo sguardo, vide dy Tagille, affannato, in disordine, ma con la spada nel fodero, entrare di corsa nel cortile e precipitarsi verso di loro, per arrestarsi poi di colpo. «Per l’inferno del Bastardo», imprecò, quindi spostò lo sguardo sul suo compagno ibrano e domandò: «Tu stai bene, dy Cembuer?»

«Quei figli di cani mi hanno rotto di nuovo il braccio. È lui, quello nelle condizioni peggiori. Cosa succede là fuori?»

«Dy Baocia ha raccolto i suoi uomini e ha scacciato gli invasori dal palazzo. Per adesso è ancora tutto molto confuso, ma pare che i sopravvissuti stiano attraversando di corsa la città per arrivare al Tempio.»

«Decisi ad attaccarlo?» domandò dy Cembuer, in tono allarmato, lottando per rialzarsi.

«No, per arrendersi a uomini armati che non cerchino di farli a pezzi», spiegò dy Tagille. «Sembra che tutti i cittadini di Taryoon siano scesi in strada per dare loro la caccia, e le donne sono le peggiori. Per l’inferno del Bastardo», ripeté poi, fissando i resti fumanti di dy Jironal. «Alcuni soldati chalionesi stavano urlando e farfugliando di aver visto dy Jironal abbattuto da un lampo scaturito da un cielo limpido, per il sacrilegio di aver scatenato una battaglia nel Giorno della Figlia… e io non ci avevo creduto.»

«L’ho visto anch’io», affermò dy Cembuer. «C’è stato un fragore spaventoso, e lui non ha avuto neppure il tempo di gridare.»

Trascinato il cadavere un po’ più lontano, dy Tagille s’inginocchiò davanti a Cazaril, fissando con timore il suo stomaco trafitto e spostando poi lo sguardo sul suo volto. «Lord Cazaril, dobbiamo estrarre questa spada ed è meglio farlo subito», disse.

«No… aspettate…» ansimò Cazaril, che aveva visto un uomo trafitto da una quadrella di balestra sopravvivere per mezz’ora, finché la quadrella non era stata estratta, provocando un’emorragia che l’aveva ucciso quasi all’istante. «Prima voglio vedere Lady Betriz.»

«Mio signore, non potete restare li seduto con una spada in corpo!»

«Ecco, di certo non mi posso muovere…» obiettò Cazaril.

Lo sforzo di parlare gli provocò un ansito, il che non era un buon segno, e il gelo che lo pervadeva aumentò, strappandogli un brivido. D’altro canto, il dolore che avvertiva non era devastante come lui si era aspettato, forse perché era riuscito a rimanere del tutto immobile. E finché continuava a non muoversi, le fitte non erano peggiori dei crampi causatigli da Dondo.