«Per attirarla a te?» domandò Palli, interdetto.
«È possibile.»
«Questo genere di poesia è pericolosa. Quanto a me, credo che mi limiterò all’azione.»
«Sta’ attento, mio caro Lord Devoto», ammonì Cazaril, con un sorriso. «Anche l’azione può essere una forma di preghiera.» Alcuni sussurri e risatine soffocate che provenivano dall’estremità della galleria lo indussero a sollevare lo sguardo: un gruppetto di serve e qualche ragazzo stavano accoccolati dietro la ringhiera intagliata e sbirciavano nella sua direzione. Quando anche Palli si girò a guardare, una delle ragazze si alzò baldanzosamente, facendo un cenno di saluto. Dopo il cordiale cenno di risposta di Cazaril, però, quel gruppetto si allontanò di corsa, ridacchiando. «È tutta la mattina che arriva gente a vedere il punto in cui il povero dy Jironal è stato abbattuto dal fulmine», spiegò lui. «Se non starà attento, Lord dy Baocia dovrà trasformare questo accogliente cortile in un santuario.»
«A dire il vero, Caz, quella gente viene per vedere te», precisò Palli, schiarendosi la voce. «Un paio di servitori di dy Baocia si fanno pagare per lasciar entrare e uscire i curiosi dal palazzo. Non sapevo se porre fine alla cosa, ma se t’infastidisce…» aggiunse, cambiando posizione, come se intendesse alzarsi.
«Oh, no, non li disturbare. A causa mia, i servitori di questo palazzo hanno dovuto lavorare molto di più… È giusto che ne ricavino un po’ di profitto.»
Palli scrollò le spalle in segno di assenso, poi chiese: «Sei proprio certo di non avere la febbre?»
«All’inizio non ne ero sicuro, ma alla fine anche il medico si è convinto che stavo bene e mi ha permesso di mangiare, per quanto non ancora abbastanza. Penso di essere in via di guarigione.»
«Il che costituisce già di per sé un miracolo.»
«Infatti. Devo però ammettere di non sapere con certezza se rimettermi in questo mondo sia stato un dono di commiato da parte della Signora oppure se si sia trattato di soddisfare una sua esigenza, cioè avere qualcuno da questa parte che le tenesse aperta la porta. Gli Dei sono parsimoniosi, come dice Ordol… Ebbene, comunque sia, non ha importanza, perché in ogni caso un giorno senza dubbio ci rivedremo», disse Cazaril, appoggiandosi all’indietro per fissare il cielo, tinto dell’intenso colore azzurro sacro alla Signora, con un sorriso sulle labbra.
«Sai, Caz, tu eri la persona più sobria e compassata che avessi mai conosciuto, invece adesso sorridi di continuo. Sei certo che la Dea abbia rimesso a posto la tua anima nel modo giusto?»
«Forse no!» replicò Cazaril, scoppiando in una risata. «Hai presente quello che succede quando si parte per un viaggio? Si ripongono tutte le proprie cose nelle sacche della sella e, alla fine del viaggio, sembra che siano raddoppiate di volume e pendono fuori da ogni parte, anche se si è certi di non aver aggiunto nulla…» Si batté un colpetto sulla coscia. «Be’, forse non sono stato riposto in questa vecchia custodia in modo… ordinato.»
«E così adesso trasudi poesia, eh?» commentò Palli, perplesso, scuotendo il capo.
Altri dieci giorni di convalescenza non furono sufficienti a rendere Cazaril inquieto per quel riposo forzato. L’unica cosa sgradevole era l’assenza delle persone che lui desiderava avere accanto. Alla fine, però, la nostalgia ebbe la meglio sul terribile pensiero di montare di nuovo a cavallo. Incaricò dunque Palli di organizzare il viaggio, rintuzzando con facilità le sue deboli proteste relative al fatto che, nelle sue condizioni, sarebbe stato meglio aspettare ancora un po’, prima di muoversi. In realtà, Palli, come lui, era ansioso di vedere come stessero procedendo le cose a Cardegoss.
Cazaril e la sua scorta, che comprendeva i fedelissimi Ferda e Foix, si misero in viaggio. Il clima mite e il passo rilassato rendevano quel viaggio l’esatto opposto della strenua, frenetica cavalcata che avevano dovuto compiere nel corso dell’inverno appena trascorso. Ogni sera, mentre lo aiutavano a scendere di sella, Cazaril giurava a se stesso che il giorno successivo avrebbero mantenuto un’andatura più pacata, ma ogni mattina si scopriva sempre più impaziente di stringere i tempi. Finalmente, lo Zangre apparve di nuovo davanti ai suoi occhi, sullo sfondo di lanuginose nuvole bianche, del cielo azzurro e dei campi verdeggianti.
Si trovavano a parecchie miglia da Cardegoss, quando incontrarono un altro gruppo di viandanti, che indossavano la livrea del Provincar della Labran e scortavano tre carretti nonché una lunga colonna di muli da soma e di servitori. I primi due carretti erano carichi di bagagli mentre il terzo, col telo di copertura sollevato per poter ammirare il panorama primaverile, trasportava numerose dame.
Quando i due gruppi s’incrociarono, il carretto che trasportava le dame si arrestò sul lato della strada e una serva si protese per chiamare uno dei cavalieri dell’avanguardia, un sergente, il quale, dopo aver parlato con lei, si diresse verso Palli e Cazaril con un gesto di saluto.
«Scusate, signori… Se uno di voi è il Castillar dy Cazaril, allora la mia signora, la Royina Vedova Sara, gli ordina… lo prega di andare a parlare con lei.»
Ricordando che il Provincar della Labran era nipote della Royina Sara, Cazaril dedusse che lei, per scelta o per imposizione esterna, stesse tornando presso la sua famiglia. «Sono al servizio della Royina», rispose, ricambiando il saluto.
Foix lo aiutò a smontare di sella, i gradini vennero abbassati sul retro del carretto e le dame di compagnia e le serve scesero per passeggiare nei campi a maggese e ammirare i fiori primaverili, lasciando Sara sola sotto l’ombra del telone.
«Accomodatevi, Castillar», mormorò, a titolo di saluto. «Sono lieta di questo incontro casuale. Potete dedicarmi un po’ del vostro tempo?»
«Ne sarei onorato, signora», rispose Cazaril, abbassando la testa per salire sul carro senza urtare il telone e sedendosi su una panca imbottita, di fronte alla Royina.
Intorno a loro, la colonna dei muli stava proseguendo la marcia con passo lento e, a quella scena pacifica, faceva da sfondo un piacevole mormorio, in cui si fondevano il canto degli uccelli e il sussurrare delle voci, il tintinnio dei finimenti dei cavalli, lasciati liberi di pascolare lungo il bordo della strada, e l’occasionale risata di qualche serva.
Per il viaggio, Sara si era vestita con un semplice abito e una sopravveste lavanda e nero, presumibilmente in segno di lutto per il povero Orico.
«Mi dispiace di non aver presenziato ai funerali del Roya», disse Cazaril, accennando all’abbigliamento della dama. «Però non mi ero ancora ripreso abbastanza da poter viaggiare.»
«Stando a quanto mi hanno detto Iselle, Bergon e Lady Betriz, è un miracolo che voi siate sopravvissuto alle ferite riportate», replicò Sara, accantonando con un cenno quelle scuse.
«Sì, ecco… Si tratta proprio di un miracolo.»
Sara si limitò a scoccargli un’occhiata singolarmente comprensiva.
«Devo dedurre che Orico è stato accolto dagli Dei?» domandò Cazaril.
«Sì, dal Bastardo… È stato rifiutato dagli Dei nella morte come in vita. La cosa ha purtroppo suscitato una serie di sgradevoli supposizioni sulla sua nascita.»
«Supposizioni errate, signora. Lui era indubbiamente figlio di Ias. Credo che il Bastardo sia stato una sorta di speciale protettore della sua Casa fin dai tempi del regno di Fonsa, e che stavolta abbia scelto per primo, non per ultimo.»
«Se è così, si è trattato di una ben misera protezione», ribatté Sara, scrollando le spalle. «Il giorno prima di morire, Orico mi ha detto che avrebbe desiderato essere il figlio di un taglialegna, e non del Roya di Chalion. Fra tutti gli epitaffi, questo mi sembra il più appropriato.» Poi, in tono più acido, aggiunse: «A quanto dicono, Martou dy Jironal è stato raccolto dal Padre…»
«Sì, così ho sentito dire anch’io. Hanno mandato il suo corpo alla figlia, che vive a Thistan, perché si occupasse dei funerali. In ogni caso, anche lui ha recitato la sua parte sino in fondo ed essa gli ha procurato ben poca gioia… Quanto a suo fratello Dondo, vi posso garantire che è stato trasportato nell’inferno del Bastardo.»