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Finita la lettura, Cazaril ritenne che si fossero ampiamente guadagnati tutti e tre il pasto di mezzogiorno, ma gli rimaneva ancora da assolvere a uno sgradevole compito, esplicitamente impostogli dalla Provincara. Mentre le ragazze accennavano ad alzarsi, si appoggiò allo schienale della sedia e si schiarì la gola. «Il vostro gesto di ieri, al Tempio, è stato davvero spettacolare, Royesse Iselle», disse.

«Vi ringrazio, Castillar», replicò la Royesse, incurvando l’ampia bocca in un sorriso, che si estese agli occhi dalle palpebre stranamente pesanti.

«Un insulto pubblico, rivolto a un uomo costretto a subirlo senza poter ribattere», proseguì lui, sorridendo a sua volta, però in maniera tirata. «Se non altro, i perdigiorno che hanno assistito alla scena si sono enormemente divertiti, almeno a giudicare dalle loro risate.»

«A Chalion ci sono molti mali cui non posso porre rimedio», obiettò Iselle, mostrando un certo disagio. «Ciò che ho fatto è stato ben poco.»

«Se si è trattato di un atto a fin di bene, vi siete comportata nel modo giusto», ammise Cazaril, con un cenno ingannevolmente cordiale. «Ditemi, Royesse, quali passi avete mosso, prima di agire, per accertarvi della colpevolezza di quell’uomo?»

Iselle, che stava sollevando il mento con aria di sfida, si bloccò a metà del gesto. «Ser dy Ferrej ha detto che era colpevole, e so che lui è una persona onesta.»

«Rammento con precisione ciò che Ser dy Ferrej ha affermato, dato che è estremamente attento nella scelta delle parole… E lui ha sostenuto di aver sentito dire che il giudice si era lasciato corrompere dallo spadaccino, e non di avere conoscenza diretta della cosa. Avete forse parlato con lui dopo cena per capire come fosse giunto a formulare quella convinzione?»

«No… Se avessi rivelato ciò che avevo intenzione di fare, me lo avrebbero proibito.»

«Però lo avete confidato a Lady Betriz», obiettò Cazaril, indicando la donna bruna.

«È stato per questo che le ho suggerito di chiedere alla Dea di elargirle la fiamma al primo tentativo», intervenne Betriz, sentendosi chiamata in causa.

«La fiamma al primo tentativo…» ripeté Cazaril, scrollando le spalle. «Lady Iselle, la vostra mano è forte, giovane e salda. Siete certa che accendere subito il fuoco non sia stato soltanto merito vostro?»

«I cittadini hanno applaudito…» mormorò Iselle, accigliandosi.

«Certamente», la interruppe Cazaril. «In media, la metà di quanti si presentano davanti a un giudice se ne va inevitabilmente delusa e furente. Questo però non significa per forza che abbia subito un torto.»

Quella particolare affermazione parve infine colpire nel segno, almeno a giudicare dall’improvviso cambiamento dell’espressione di Iselle, che da arrogante si fece sconvolta, cosa tutt’altro che piacevole a vedersi.

«Ma… ma…» balbettò la giovane.

«Non sto dicendo che abbiate avuto torto, Royesse», sospirò Cazaril. «Intendo soltanto farvi notare che vi siete mossa alla cieca… Se non siete andata a sbattere contro un albero, è stato solo per misericordia degli Dei e non per attenzione da parte vostra.»

«Oh.»

«È possibile che voi abbiate calunniato un uomo onesto, oppure che il vostro sia stato un atto di giustizia… Io non lo so, ma il punto è che non lo sapete neppure voi.»

Dalle labbra di Iselle uscì un altro «Oh», stavolta tanto soffocato da essere a stento udibile.

Cazaril non riuscì a trattenersi e, dando voce a quel tipo di ragionamento pratico e spietato che lo aveva aiutato a sopravvivere in tante situazioni difficili, aggiunse: «Indipendentemente dal fatto che la vostra azione sia stata giusta o sbagliata, rimane il fatto che vi siete creata un nemico, lasciandovelo poi alle spalle, vivo. Un atto di grande carità, ma un errore dal punto di vista tattico…» No, non era proprio il genere di commento da fare davanti a una giovane dama, si rese conto subito dopo. Si trattenne dal premersi le mani sulla bocca, un gesto che non sarebbe servito a consolidare la sua figura di tutore severo e lucido.

Lady Iselle e Lady Betriz inarcarono di scatto le sopracciglia, mantenendo per qualche momento un’espressione sorpresa.

«Vi ringrazio per i vostri buoni consigli, Castillar», disse Iselle dopo un lungo, pensoso silenzio.

La risposta di Cazaril fu un soddisfatto cenno di approvazione: se era riuscito a farle capire quella difficile lezione, allora era partito col piede giusto. E adesso, agli Dei piacendo, avrebbe potuto approfittare della generosa tavola imbandita dalla Provincara…

Iselle, però, si rimise a sedere e incrociò le mani in grembo. «Voi dovrete essere anche il mio segretario, oltre che il mio tutore, giusto?» domandò.

«Sì, mia signora», assentì Cazaril, accasciandosi a sua volta sulla sedia. «Avete bisogno di assistenza per scrivere una lettera?» aggiunse, trattenendosi a stento dal suggerire di farlo dopo aver mangiato.

«Ho bisogno della vostra assistenza, certo, ma non per una lettera. Ser dy Ferrej ha detto che un tempo siete stato un corriere. È così?»

«In passato, ho cavalcato come corriere per conto del Provincar della Guarida, mia signora, quand’ero più giovane.»

«Un corriere è una spia», continuò Iselle, con un lampo calcolatore nello sguardo.

«Non necessariamente, anche se a volte era difficile… convincere la gente del contrario. Noi eravamo anzitutto fidati messaggeri, anche se ci si aspettava che tenessimo occhi e orecchie aperti per riferire quello che avevamo notato.»

«Benissimo», dichiarò Iselle, sollevando il mento di scatto. «In tal caso, il primo incarico che intendo assegnarvi, come mio segretario, è proprio quello di tenere occhi e orecchie aperti per scoprire se ho commesso un errore oppure no. È evidente che io non posso scendere in città o fare domande in giro, perché sono costretta a rimanere in cima a questa collina, nel mio… letto di piume.» Fece una smorfia. «Però voi potete indagare per mio conto», concluse, fissandolo con occhi pieni di fiducia.

Cazaril ne fu quasi sconvolto. «Immediatamente?» balbettò, avvertendo un nodo allo stomaco che non aveva nulla a che fare con la fame. La sua lezione era stata assimilata fin troppo bene.

«Con discrezione, e in base alle opportunità che si presenteranno», replicò Iselle, un po’ a disagio.

«Vedrò cosa fare per accontentarvi, mia signora», replicò Cazaril, deglutendo a fatica.

Mentre scendeva le scale per raggiungere la propria camera, Cazaril si sentì assalire dai ricordi dell’epoca in cui era stato un paggio. A quel tempo, si considerava uno spadaccino soltanto perché era un po’ più abile della mezza dozzina di altri giovani nobili che condividevano con lui addestramento e doveri nella casa del Provincar. Un giorno, era arrivato al castello un nuovo paggio, un ragazzo tozzo e cupo; nel corso della successiva sessione di addestramento, il maestro d’armi del Provincar aveva invitato Cazaril a misurarsi con lui. Orgoglioso di un paio di mosse che aveva elaborato per conto suo — incluso un complicato passaggio che, se eseguito con una spada vera, avrebbe staccato le orecchie alla maggior parte dei suoi compagni -, Cazaril aveva sperimentato quella particolare manovra sul nuovo compagno. Tuttavia, una volta conclusa la sua mossa, ritrovandosi con la spada di piatto contro la testa del nuovo paggio, aveva scoperto che la spada di quest’ultimo era premuta contro l’mbottitura che gli proteggeva il ventre con tanta forza da essere quasi piegata in due.

Cazaril aveva poi saputo che quel paggio era diventato il maestro d’armi del Roya di Brajar. Lui, invece, era rimasto uno spadaccino mediocre: i suoi interessi erano troppo numerosi e diversificati per permettergli di allenarsi con la dovuta costanza. Però non aveva mai dimenticato quel momento, la sorpresa nata dalla consapevolezza che l’avversario lo aveva «ucciso»… E la prima lezione alla delicata Iselle aveva fatto riaffiorare quel particolare ricordo. Sconcertato, cercò di capirne il motivo: forse era a causa dello stesso lampo apparso in occhi così diversi… E poi, come si chiamava quel paggio?…