Cazaril cominciò anche a lavorare alla decifrazione del libretto di annotazioni del mercante morto, una pagina dopo l’altra, con la massima rapidità concessagli dai suoi altri doveri. Con suo notevole sollievo, dato che si trattava di esperimenti decisamente disgustosi, scoprì che i primi tentativi del mercante per evocare i demoni del Bastardo erano risultati del tutto inefficaci. Il nome dello spadaccino compariva soltanto accompagnato da aggettivi infuocati, oppure era addirittura sostituito da essi, mentre il nome del giudice non era mai menzionato. Tuttavia, prima che lui riuscisse a decifrare anche solo per metà l’enigma di quel libretto, il problema del giudice ricadde su spalle certamente più esperte delle sue.
Dalla città di Taryoon, dove il figlio della Provincara aveva spostato la propria capitale, una volta ereditato il titolo paterno, giunse infatti un Funzionario Inquirente inviato dalla corte del Provincar della Baocia. Con un rapido calcolo mentale, Cazaril valutò che, tra la festa della Figlia e quell’arrivo inatteso, erano trascorsi esattamente i giorni necessari perché un messaggio della Provincara a suo figlio venisse scritto, inviato e letto, perché gli ordini venissero trasmessi alla Cancelleria di Giustizia della Baocia e perché l’Inquirente si mettesse in viaggio, segno evidente che la Provincara aveva fatto leva sui propri privilegi. Cazaril non sapeva fino a che punto la dama s’intendesse di questioni legali, ma l’idea che la nipote si fosse lasciata alle spalle un nemico libero di far danno aveva di certo toccato in lei un punto sensibile. Almeno così lui interpretò quel fatto.
Il giorno successivo all’arrivo dell’Inquirente, si scoprì che il Giudice Vrese era partito all’improvviso nel corso della notte, con due servitori e pochi bagagli preparati in tutta fretta, lasciandosi alle spalle una casa in subbuglio e un focolare pieno delle ceneri di documenti bruciati.
Cazaril cercò d’indurre Iselle a non considerare quell’evento come una prova della colpevolezza del giudice, ma sapeva che si trattava di una cautela esagerata persino per un uomo come lui, sempre prudentissimo nei giudizi. D’altra parte, l’unica spiegazione alternativa — che Iselle fosse stata davvero toccata dalla Dea, quel giorno — lo turbava troppo perché potesse prenderla in considerazione. Gli Dei, almeno così sostenevano gli eruditi teologi della Santa Famiglia, operavano in maniera segreta, sottile e, soprattutto, parsimoniosa, tramite il mondo e non in esso. Anche per i luminosi, eccezionali miracoli di risanamento — ma, se per questo, anche per gli oscuri miracoli connessi a disastri o decessi — era necessario che la libera volontà degli uomini aprisse un canale, in modo da permettere al bene o al male di penetrare nella vita reale. Cazaril aveva incontrato un paio di individui che sembravano davvero toccati dagli Dei e alcuni che credevano fermamente di esserlo stati: non erano soggetti alla cui presenza ci si poteva sentire a proprio agio. Di conseguenza, si augurava che la Figlia della Primavera se ne fosse andata, soddisfatta dell’azione del suo avatar, e che non fosse più presente nella giovane dama.
Iselle aveva ben pochi contatti col fratello e col suo seguito personale, alloggiati dall’altra parte del cortile, e incontrava Teidez soltanto durante i pasti o se uscivano insieme per una cavalcata. Cazaril, però, aveva l’impressione che l’intimità tra i due fosse stata più forte da bambini, prima che la pubertà li separasse, spingendoli verso i distinti mondi degli uomini e delle donne.
Senza motivazioni precise, il severo segretario-tutore del Royse, Ser dy Sanda, pareva infastidito dal rango privo di valore effettivo, quello di Castillar, assunto da Cazaril, e non perdeva occasione per esigere un posto più importante a tavola o in una processione. E accompagnava la sua richiesta con un sorriso tanto contrito quanto insincero che, a ogni pasto, serviva più ad attirare l’attenzione sulle sue pretese che a lenire gli eventuali sentimenti feriti di Cazaril. Questi, dal canto suo, prese in considerazione l’eventualità di spiegare a dy Sanda quanto poco gli importassero le questioni di rango, ma, poiché dubitava che l’altro tutore avrebbe capito, alla fine si limitò a sorridere a sua volta. La cosa ebbe l’effetto di confondere terribilmente dy Sanda, convinto che quei sorrisi facessero parte di qualche misterioso piano volto a danneggiarlo. Un giorno, poi, dy Sanda si presentò nello studio di Iselle, pretendendo la restituzione delle mappe e dando l’impressione di aspettarsi che Cazaril cercasse di difenderle, neanche fossero documenti contenenti segreti di stato. Lui invece fu pronto a rendergliele, accompagnando il gesto con qualche parola di ringraziamento, e a dy Sanda non rimase che andarsene senza poter dare sfogo alla propria irritazione.
«Che razza di uomo!» esclamò Lady Betriz, a denti stretti. «Si comporta come…»
«Come uno dei gatti del castello, quando arriva un gatto nuovo», concluse per lei Iselle. «Cosa gli avete fatto, Cazaril, per indurlo a soffiarvi contro in quel modo?»
«Vi garantisco che non ho marcato il territorio urinando davanti alla sua finestra», rispose Cazaril serissimo, inducendo Betriz a soffocare una risatina e a guardarsi intorno con aria colpevole, per accertarsi che la dama di compagnia fosse troppo lontana per sentire la loro conversazione.
Subito dopo, tuttavia, Cazaril si chiese se non fosse stato troppo rozzo. Ancora non sapeva bene come comportarsi con quelle due giovani donne, anche se che nessuna delle due si era ancora lamentata di lui, nonostante le lezioni di darthacano.
«Suppongo presuma che mi piacerebbe avere il suo incarico», aggiunse, dopo un momento. «È evidente che non ci ha riflettuto.» O forse, gli venne in mente d’un tratto, dy Sanda ci aveva pensato anche troppo. Quanto Teidez era nato, il fatto che potesse essere l’Erede del suo fratellastro Orico, sposatosi da poco, non era sembrato tanto evidente. Tuttavia, a mano a mano che gli anni si erano susseguiti senza che la Royina di Orico riuscisse a concepire un figlio, l’interesse — forse addirittura malsano — della corte di Chalion nei confronti di Teidez probabilmente era aumentato. Forse era quello il motivo per cui Ista aveva lasciato la capitale: voleva allontanare i figli da un’atmosfera inquieta e portarli in una tranquilla e pulita città di campagna. Una mossa saggia.
«Oh, no, Cazaril, restate con noi, è molto meglio!» esclamò Iselle.
«Lo è senza dubbio», garantì lui.
«Non è giusto. Voi siete due volte più intelligente di dy Sanda e avete viaggiato dieci volte più di lui, quindi perché lo sopportate con tale… tranquillità?» protestò Betriz, faticando a trovare la giusta definizione e pronunciando l’ultima parola con un lieve timore, quasi avesse paura che Cazaril potesse ritenerla un sostituto per un termine meno lusinghiero.
«Credete che lui sarebbe più felice, se mi offrissi come bersaglio per la sua stupidità?» domandò Cazaril, sorridendo alla sua inattesa sostenitrice.
«Certo, è chiaro che lo sarebbe!»
«In tal caso, la vostra domanda contiene già la risposta.»
Betriz aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse senza emettere suono, mentre accanto a lei Iselle scoppiava in una risata.
La compassione di Cazaril nei confronti di dy Sanda aumentò una mattina, quando il segretario si presentò pallidissimo, al punto di essere quasi verdastro in volto, portando l’allarmante notizia che il suo reale pupillo era scomparso e non si trovava in casa o nelle cucine, nei canili o nelle stalle. Affibbiatosi la spada al fianco, Cazaril si preparò in tutta fretta a uscire a cavallo con gli altri per cercare il giovane Royse, cominciando già a esaminare mentalmente le campagne e la città e valutando le possibili ipotesi: una ferita, un’aggressione dei banditi, una caduta nel fiume… o una visita alle taverne. Possibile che Teidez fosse già abbastanza grande da cercare una casa di piacere? Be’, quello sarebbe stato un motivo sufficiente per scrollarsi di dosso il seguito di sorveglianti.
Prima però che Cazaril potesse elencare le diverse possibilità a dy Sanda, il quale era assolutamente convinto che il Royse fosse stato vittima di un’aggressione, il giovane entrò a cavallo nel cortile, bagnato e infangato, con l’arco appeso alla spalla e un giovane stalliere che lo seguiva, portando di traverso sulla sella la carcassa di una volpe. Nel vedere il gruppetto di uomini, pronti a partire, Teidez si arrestò, fissando tutti con aria inorridita e cupa.