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«Rimanete, Castillar… dy Cazaril, giusto?» mormorò però Ista, non appena lui accennò ad andarsene. «Come procedono gli studi di mia figlia?»

«Molto bene, mia signora», replicò Cazaril, voltandosi verso la Royina e accennando un altro inchino. «È molto portata per l’aritmètica e la geometria, ed è… ecco, diciamo che è costante nello studio del darthacano.»

«Bene, molto bene», commentò Ista, distogliendo lo sguardo e lasciandolo vagare sul giardino assolato.

L’altra dama si chinò sul ricamo per annodare un filo. Quanto a Lady Ista, non stava ricamando; Cazaril aveva sentito sussurrare da una cameriera che la Royina e le sue dame avevano lavorato per sei mesi a un elaborato telo per altare destinato al Tempio. Ma proprio quando il lavoro era ormai quasi concluso, la Royina, lasciata sola per un momento, aveva bruciato il telo nel focolare della propria camera. Vera o no che fosse quella storia, rimaneva il fatto che quel giorno Ista non aveva in mano un ricamo, ma soltanto una rosa.

Osservando la Royina, Cazaril cercò invano nei suoi occhi qualcosa che gli indicasse di essere stato riconosciuto. «Mi stavo domandando…» azzardò poi, esitante. «Ecco… volevo chiedervi, mia signora, se per caso vi ricordate di me, giacché in passato ho servito vostro padre in questa casa, in qualità di paggio. Ormai è passata una ventina d’anni, quindi non mi stupirebbe scoprire che non vi rammentate.» Si concesse un breve sorriso, poi si coprì la parte inferiore del viso e aggiunse: «A quel tempo, non avevo la barba».

Ista ricambiò il sorriso e aggrottò la fronte. «Mi dispiace», disse infine. «Il mio defunto padre ha avuto presso di sé molti paggi, nel corso degli anni…»

«È naturale, considerato che era un nobile di alto rango. In ogni caso, non ha importanza», la rassicurò Cazaril, spostando il libro da una mano all’altra per celare la propria delusione e sfoggiando un sorriso di scusa. Era convinto che il mancato riconoscimento di Ista non dipendesse dal suo aspetto, ma piuttosto dal fatto che lei non lo aveva mai notato. Era stata una fanciulla piena di entusiasmo e portata a guardare in avanti e verso l’alto, non verso il basso o alle proprie spalle.

«Oh, no», mormorò in quel momento la dama di compagnia, intenta a cercare qualcosa nel cestino dei fili da ricamo, poi sollevò lo sguardo e studiò Cazaril per un momento, prima di domandare, con un sorriso invitante: «Vi dispiacerebbe rimanere qui a tenere compagnia alla mia signora, mentre io faccio una corsa fino nella mia stanza, per cercare il filo di seta verde?»

«Ma certo, mia signora», rispose Cazaril in modo meccanico. Però poi aggiunse, in tono incerto: «Cioè… ecco…» Scoccò un’occhiata a Ista e negli occhi di lei scorse un lampo d’ironia. Del resto, quella dama non era certo incline alle urla o al pianto. E perfino se piangeva, cosa che Cazaril le aveva visto fare alcune volte, le lacrime le colavano in silenzio lungo le guance. Cazaril rivolse allora alla dama di compagnia un inchino di assenso, e lei si alzò prontamente, prendendolo per un braccio e trascinandolo a una certa distanza dalla panchina, in direzione del roseto.

«Andrà tutto bene», sussurrò, alzandosi in punta di piedi per parlargli nell’orecchio. «Badate soltanto a non nominare Lord dy Lutez e a restarle vicino fino al mio ritorno. Se poi dovesse essere lei a mettersi a parlare del vecchio dy Lutez, ecco… non lasciatela sola.»

La dama si allontanò di corsa, e Cazaril si ritrovò a riflettere su quella situazione rischiosa. Il brillante Lord dy Lutez era stato per trent’anni il più intimo consigliere del defunto Roya Ias. Era stato suo amico d’infanzia, suo compagno d’armi e di baldoria. Nel corso del tempo, Ias gli aveva elargito ogni onore possibile, nominandolo Provincar di due distretti, Cancelliere di Chalion, maresciallo delle sue truppe personali e maestro del ricco Ordine militare del Figlio… il tutto per poter meglio controllare e comandare il resto dei suoi subordinati, almeno a quanto si diceva in giro. Nemici e ammiratori, in pari misura, sostenevano in un sussurro che dy Lutez era Roya di Chalion a tutti gli effetti, tranne che di nome, e che Ias era la sua Royina…

Era stata una debolezza, da parte di Ias, lasciare che fosse dy Lutez a fare per lui il lavoro sporco e ad addossarsi il peso delle proteste dei nobili, lasciando il suo signore libero di fregiarsi dell’appellativo di Ias il Buono? Oppure era stata una mossa astuta? Cazaril se l’era chiesto spesso. Quel soprannome non era certo disprezzabile, ma di gran lunga migliori sarebbero stati Ias il Forte o magari Ias il Saggio o anche Ias il Fortunato, appellativo, quest’ultimo, che nessuno avrebbe mai potuto attribuire al defunto Roya. Era stato dy Lutez a organizzare il secondo matrimonio di Ias con Lady Ista, provvedendo così a smentire la voce persistente che circolava fra i nobili di Cardegoss, relativa all’esistenza di un innaturale legame amoroso fra il Roya e il suo vecchio amico d’infanzia, e tuttavia…

Cinque anni dopo il matrimonio, dy Lutez era caduto in disgrazia presso il Roya, in modo tanto improvviso quanto letale: accusato di tradimento, era morto sotto tortura nelle segrete dello Zangre, la grande fortezza reale di Cardegoss. Al di fuori della corte di Chalion, era corsa la voce che la vera colpa di dy Lutez fosse stata innamorarsi della giovane Royina Ista, mentre nei circoli più ristretti si sussurrava invece che fosse stata Ista a persuadere il marito ad annientare per amor suo un odiato rivale. Quale che fosse l’effettiva disposizione di quel triangolo, rimaneva il fatto che, nella sua geometria di morte, esso era crollato, perdendo una delle tre punte. Quando poi Ias, dopo aver perso la voglia di vivere, si era spento meno di un anno dopo la morte di dy Lutez, di quel triangolo era rimasta soltanto Ista, che aveva preso con sé i figli ed era fuggita dallo Zangre, o forse ne era stata esiliata.

Dy Lutez. Non nominare Lord dy Lutez… Ciò significava non evocare la maggior parte della storia di Chalion che risaliva alla precedente generazione.

Tornato presso la Royina, Cazaril sedette con una certa cautela al posto occupato in precedenza dalla dama di compagnia, notando che Ista aveva cominciato a fare a pezzi la rosa, non con rabbia, ma in maniera pacata e sistematica, strappando i petali e disponendoli accanto a sé sulla panchina secondo un disegno che imitava la loro struttura originale, cerchi dentro altri cerchi, in una spirale diretta verso l’interno.

«I morti mi hanno visitata in sogno, la scorsa notte», disse, nel tono di chi sta riprendendo una conversazione interrotta. «Ma ho pensato che si trattasse soltanto di un sogno falso. Voi ricevete mai le loro visite, Cazaril?»

Lui esitò, ma alla fine decise che Ista era troppo consapevole di sé perché potesse soffrire di demenza. Le sue affermazioni, per quanto contorte, erano chiaramente comprensibili, il che non sarebbe stato se lei fosse stata davvero pazza. «A volte, mi accade con mio padre e mia madre», rispose. «Per breve tempo, in sogno, si muovono e parlano come se fossero vivi… E al risveglio mi assale di nuovo il rimpianto per la loro perdita.»

«I sogni falsi sono caratterizzati da questa tristezza, mentre i sogni veri sono crudeli», annuì Ista. «Gli Dei vi risparmino dal fare sogni veri, inviati da loro, Cazaril.»

«Tutti i miei sogni sono ammassi confusi, che al risveglio si dissolvono come fumo», ribatté lui, accigliandosi, con aria sempre più confusa.

Ista chinò il capo di lato, contemplando la rosa denudata, che mostrava gli stami dorati, sottili come fili di seta e disposti a ventaglio all’interno del cerchio dei petali. «I sogni veri gravano come piombo sul cuore e sullo stomaco, pesano quanto basta per… far annegare la nostra anima nel dolore. I sogni veri ci accompagnano di giorno, da svegli, e tuttavia è certo che finiranno per tradirci, come qualsiasi uomo in carne e ossa è pronto a rimangiarsi le promesse fatte. Non fidatevi dei sogni, Castillar, e neppure delle promesse degli uomini.» Sollevò lo sguardo dai petali con un’espressione improvvisamente molto intensa.