«No di certo, mia signora, fidarsi sarebbe da stolti», replicò Cazaril, schiarendosi la gola. «Però è piacevole vedere mio padre, di tanto in tanto, considerato che non potrò mai più vederlo in altro modo.»
«Non temete i vostri morti?» domandò Ista, con uno strano sorriso in tralice.
«No, mia signora, non nei sogni.»
«Forse i vostri morti non sono persone temibili.»
«Per la maggior parte no, mia signora», annuì Cazaril.
Sulla parete della fortezza, una finestra si spalancò, e la dama di compagnia di Ista si affacciò per scrutare il giardino; apparentemente rassicurata dalla vista della sua signora impegnata in una tranquilla conversazione col trasandato tutore, la donna agitò una mano in un gesto di saluto e scomparve all’interno.
Tornando a osservare la Royina, si chiese come facesse quella donna a passare il tempo, considerato che non gli era mai accaduto di vederla leggere o cucire e che non aveva musici al suo seguito. Gli era capitato di vederla pregare per ore intere nella sala degli antenati o davanti al piccolo altare portatile nelle sue camere, oppure, più raramente, presso il Tempio cittadino, dove veniva scortata dalle sue dame e da dy Ferrej, benché mai nei momenti di maggiore affollamento. In altri periodi, invece, passavano intere settimane senza che Ista sembrasse rammentare anche soltanto l’esistenza degli Dei.
«Trovate molta consolazione nella preghiera, mia signora?» domandò infine Cazaril, spinto dalla curiosità per quello strano comportamento.
«Io?» ribatté la dama, sollevando lo sguardo, mentre il suo sorriso si faceva meno spontaneo. «Io non trovo più molta consolazione da nessuna parte. Senza dubbio, gli Dei si sono fatti beffe di me, e sarei lieta di restituire loro il favore, se non fosse che hanno il mio cuore e il mio respiro in ostaggio, prigionieri del loro minimo capriccio. I miei figli sono prigionieri della sorte, e la sorte è impazzita, qui a Chalion.»
«Credo ci siano prigioni peggiori di questa soleggiata fortezza, mia signora», osò replicare Cazaril.
«Oh, sì», annuì lei, inarcando le sopracciglia e appoggiandosi allo schienale della panchina. «Siete mai stato alla fortezza di Zangre, a Cardegoss?»
«Sì, quand’ero più giovane, ma non di recente. È un palazzo molto vasto, e mi ci perdevo di continuo.»
«Strano. Anch’io mi sono persa là… Sapete, è infestato dai fantasmi.»
Cazaril si concesse qualche istante per vagliare quel commento, offerto come un dato di fatto. «La cosa non mi stupisce», replicò quindi. «È nella natura di una. grande fortezza che molti muoiano nel costruirla, difenderla o conquistarla… Uomini di Chalion, i famosi costruttori roknari che ci hanno preceduti, i primi re e gli uomini vissuti ancora prima, che senza dubbio, all’alba dei tempi, trovavano rifugio nelle grotte sottostanti la fortezza. Il castello di Zangre è più antico di Chalion e senza dubbio deve aver… accumulato anime.» Essendo stata la dimora dei Roya e dei loro nobili per generazioni, la fortezza di Zangre aveva ospitato schiere e schiere di uomini e donne che avevano concluso la loro vita al suo interno, alcuni in modo spettacolare… altri scomparendo con la massima segretezza.
Lentamente, Ista cominciò a rimuovere le spine dallo stelo della rosa, allineandole in fila, come i denti di una sega. «Sì, essa accumula… questa è la definizione esatta. Raccoglie calamità come una cisterna, come le sue grondaie raccolgono l’acqua piovana. Farete bene a evitare lo Zangre, Cazaril.»
«Non ho nessun desiderio di recarmi a corte, mia signora.»
«Io lo desideravo, un tempo, con tutto il mio cuore. Sapete, le peggiori maledizioni inflitte dagli Dei si manifestano come una risposta alle nostre preghiere. Le preghiere sono una cosa pericolosa, tanto che credo dovrebbero essere dichiarate illegali», dichiarò Ista, procedendo a sbucciare lo stelo della rosa, staccandone sottili strisce verdi e mettendo così in mostra il candore sottostante.
Non sapendo cosa replicare, Cazaril si limitò a un sorriso esitante.
«A Lord dy Lutez era stata fatta una profezia, secondo la quale non sarebbe mai annegato, se non sulla cima di una montagna», riprese Ista, aprendo in due quel che restava dello stelo. «Da allora, lui non ha mai più avuto paura di nuotare, per quanto alte potessero essere le onde, perché tutti sanno che non ci può essere acqua sulla cima di una montagna, in quanto tutti i fiumi scorrono verso valle.»
Cercando di soffocare un’ondata di panico, Cazaril si guardò intorno con discrezione, sperando di veder tornare la dama di compagnia, che però ancora non si scorgeva. A dar retta alle voci, Lord dy Lutez era morto mentre veniva sottoposto alla tortura dell’acqua, nelle segrete dello Zangre, cioè nelle viscere del castello che sorgeva sulla collina sovrastante la città di Cardegoss. «È una cosa di cui non ho mai sentito parlare, quando quel nobile era ancora in vita», azzardò, umettandosi nervosamente le labbra aride. «Secondo me, è una storia inventata in seguito, per dare un alone di terrore alla sua morte. In genere, le giustificazioni emergono a posteriori, soprattutto dopo una caduta… spettacolare come la sua.»
Socchiudendo le labbra in uno stranissimo sorriso, Ista finì di separare in due lo stelo e se lo appoggiò sulle ginocchia, appiattendolo. «Povero Cazaril!» esclamò. «Come avete fatto a diventare tanto saggio?»
Lui poté evitare di rispondere perché, in quel momento, la dama di compagnia di Ista riapparve, tenendo in mano una matassa di filo colorato. Scattando in piedi, lui si affrettò a rivolgere un inchino alla Royina. «La vostra dama di compagnia sta tornando…» annunciò, avviandosi.
Nell’incrociare la donna, che si stava avvicinando in tutta fretta, accennò un inchino anche nella sua direzione.
«Si è comportata bene, mio signore?» sussurrò la dama.
«Sì, alla perfezione», annuì Cazaril, anche se avrebbe voluto aggiungere: a modo suo…
«Non ha detto nulla di dy Lutez?»
«Nulla… d’importante», replicò il Castillar. Non aveva certo intenzione di riferire quel dialogo.
Con un respiro di sollievo, la dama di compagnia si concesse un momento per assumere un’espressione sorridente, poi cominciò a chiacchierare di tutte le cose che aveva dovuto spostare per trovare il filo mancante, mentre Ista la fissava con annoiata tolleranza. Del resto, come Cazaril rifletté nel contemplare la scena, era impossibile che la figlia della Provincara nonché madre di una fanciulla sveglia come Iselle fosse mentalmente ritardata. D’altro canto, se Ista parlava alle sue ottuse dame di compagnia nello stesso modo ermetico che aveva usato con lui, saltando da un argomento all’altro, non c’era da meravigliarsi che la considerassero pazza. Tuttavia Cazaril aveva l’impressione che quelle sue affermazioni oscure non fossero tali per un problema mentale, ma perché lei si esprimeva in una sorta di linguaggio cifrato, dotato di una sua elusiva coerenza, se si disponeva della chiave giusta per decifrarlo. Lui però non possedeva quella chiave, e comunque gli era capitato d’incontrare alcuni folli che sembravano possedere quella velata forma di coerenza nel parlare. Serrando il libro, andò a cercare un angolo ombroso che non fosse già occupato da persone tanto sconcertanti.
L’estate stava progredendo con un passo pigro che armonizzava con lo stato fisico e mentale di Cazaril, ma non si poteva dire lo stesso per il povero Teidez, che risentiva invece della forzata inattività, in quanto le spedizioni di caccia gli erano state proibite dalla calura, dal tipo di stagione e dal suo tutore. Nell’osservarlo abbattere qualche coniglio con la balestra nella frescura dell’alba nebbiosa, intorno alle mura del castello, tra gli applausi dei giardinieri, Cazaril pensò ancora una volta che quel ragazzo accaldato, irrequieto e grassoccio sembrava davvero fuori stagione; a suo parere Teidez era infatti l’incarnazione di un Devoto al Figlio dell’Autunno, Dio della caccia, della guerra e di un clima più fresco.