Un giorno, mentre stava andando a pranzo, Cazaril rimase sorpreso nel vedersi avvicinare da Teidez e dal suo tutore. I due dovevano essere nel bel mezzo di una delle loro solite discussioni, almeno a giudicare dai volti arrossati.
«Lord Caz!» esclamò Teidez, col fiato corto per il caldo e la foga. «Non è forse vero che il maestro d’armi del vecchio Provincar conduceva i paggi al mattatoio perché affrontassero e abbattessero i giovani tori? Così insegnava loro ad avere coraggio in un vero combattimento, invece di limitarsi a farli saltellare nel cerchio per i duelli, con una spada in mano.»
«Ecco, in effetti…» cominciò Cazaril.
«Cosa vi avevo detto?» sbottò Teidez, rivolto a dy Sanda.
«Però ci esercitavamo anche nel cerchio», fu pronto ad aggiungere Cazaril, in caso dy Sanda avesse bisogno della sua solidarietà.
«L’abbattimento dei tori è un’antica pratica contadina, Royse, e non si adatta all’addestramento dei nobili», dichiarò dy Sanda, con una smorfia. «Voi siete destinato a diventare un gentiluomo, se non qualcosa di più… Non certo l’apprendista di un macellaio.»
La Provincara non aveva alle sue dipendenze un maestro d’armi, quindi aveva trovato al Royse un tutore che fosse anche un esperto spadaccino. Avendo assistito a qualche sessione di addestramento del giovane Royse, Cazaril rispettava l’abilità e la precisione di dy Sanda, le cui mosse erano caratterizzate da una grande correttezza. Se però dy Sanda conosceva anche tutti quei disperati, brutali trucchi che permettevano agli uomini di sopravvivere in battaglia, non pareva intenzionato a insegnarli a Teidez.
«Il maestro d’armi non ci stava addestrando per fare di noi dei gentiluomini, ma perché diventassimo soldati», affermò Cazaril, con un sorriso. «A favore del suo metodo, posso dire che qualsiasi campo di battaglia da me visto somigliava più a un mattatoio che a un cerchio per i duelli. Per quanto sgradevole, la sua tecnica ci ha permesso d’imparare il nostro mestiere, e non ha comportato nessuno spreco. Non credo infatti che, alla fine della giornata, ai tori abbattuti importasse se erano morti per mano di uno stolto armato di spada che li aveva inseguiti per un’ora o a causa di un colpo di maglio sul cranio.» Lui non aveva mai gradito prolungare quell’esperienza più del dovuto, come facevano alcuni dei suoi compagni, che avviavano un macabro e pericoloso gioco con quegli animali infuriati. Con un po’ di pratica, aveva imparato ad abbattere il toro con un affondo di spada, in modo preciso e rapido proprio come un macellaio. «L’unica differenza, ve lo concedo, è che sul campo di battaglia non mangiavamo ciò che abbattevamo… tranne a volte i cavalli.»
Di fronte a quella macabra battuta, dy Sanda s’irrigidì con aria di disapprovazione. «Domattina, se il clima rimarrà sereno, potremmo uscire coi falchi, mio signore…» propose poi, cercando di placare il suo allievo. «Sempre che voi prima risolviate quel problema con la cartografia…»
«Falchi e piccioni… un divertimento per dame! Piccioni! Che m’importa dei piccioni?» ribatté Teidez e, con una nota di malinconia nella voce, aggiunse: «Alla corte del Roya, a Cardegoss, in autunno danno la caccia ai cinghiali, nella foresta di querce. Quello è un vero svago per uomini. Dicono che i cinghiali siano pericolosi!»
«Verissimo», annuì Cazaril. «Le loro grosse zanne possono sventrare un cane, un cavallo o anche un uomo… e sono più veloci di quanto si possa supporre.»
«Avete mai cacciato, a Cardegoss?» chiese Teidez, pieno di entusiasmo.
«A volte, quand’ero là, ho seguito a caccia il mio signore, dy Guarida.»
«A Valenda non ci sono cinghiali», sospirò Teidez. «Però abbiamo i tori! È pur sempre qualcosa, meglio dei piccioni… o dei conigli!»
Dy Sanda reagì scoccandogli un’occhiata di fuoco. Quanto a Cazaril, si congedò con un inchino e con un sorriso, lasciando Teidez a tempestare il suo tutore con le proprie richieste.
Durante il pranzo di mezzogiorno, poi, Iselle sollevò una questione simile a quella intavolata dal fratello, anche se l’autorità presa di mira era quella della nonna, e non del suo tutore. «Nonna, fa così caldo!» esclamò. «Perché non possiamo andare a nuotare nel fiume, come fa Teidez?»
Con l’intensificarsi della calura estiva, le cavalcate che il Royse si concedeva di pomeriggio in compagnia del tutore, degli stallieri e dei paggi erano state sostituite da nuotate pomeridiane in una polla riparata che il fiume formava poco lontano da Valenda. Era lo stesso luogo che gli accaldati abitanti del castello frequentavano all’epoca in cui Cazaril era ancora un paggio. Le dame, naturalmente, erano escluse da simili escursioni e, fino ad allora, Cazaril si era sempre rifiutato di prendervi parte, trincerandosi dietro i doveri nei confronti di Iselle. In realtà, se si fosse spogliato per nuotare, avrebbe messo in mostra la storia di sofferenza scritta sulla sua pelle, una storia che non gli andava di raccontare. Il ricordo del fraintendimento col gestore nei bagni pubblici lo mortificava ancora.
«Assolutamente no!» esclamò la Provincara. «Sarebbe una cosa quanto mai sconveniente.»
«Non con lui, certo», insistette Iselle. «Potremmo formare un gruppo di sole dame. Voi mi avete detto che le dame del castello andavano a nuotare, quand’eravate un paggio!» aggiunse, rivolta a Cazaril.
«Le serve, Iselle», specificò la nonna, in tono stanco. «Gente di basso rango. Non è un passatempo adatto a te.»
Iselle si accasciò sulla sedia, cupa e accaldata in volto. Anche Betriz appariva abbattuta, ma la calura la rendeva pallida e sfiorita. Di lì a poco, venne servita la zuppa, e tutti fissarono quelle ciotole fumanti quasi con repulsione. Pronta come sempre a dare l’esempio, la Provincara prese il cucchiaio e cominciò a mangiare, con fare deciso.
«Però Lady Iselle sa nuotare, vero, Vostra Grazia?» domandò d’un tratto Cazaril. «Voglio dire, posso presumere che le sia stato insegnato, quand’era più piccola?»
«No, è ovvio», dichiarò la Provincara.
«Oh, Dei», gemette Cazaril, poi si guardò intorno per essere certo che la Royina Ista non fosse a tavola con loro, non volendo far riaffiorare in sua presenza un certo argomento per lei ossessivo. Tranquillizzato, si azzardò ad aggiungere: «Questo mi richiama alla mente un’orribile tragedia di cui sono stato testimone».
Socchiudendo gli occhi con sospetto, la Provincara si guardò bene dall’abboccare a quell’amo, cosa che fece però Betriz. «Davvero? E quale?» domandò.
«È successo quando cavalcavo agli ordini del Provincar della Guarida, nel corso di una serie di scontri contro il principe roknari Olus», rispose Cazaril. «Approfittando della copertura fornita da una notte di tempesta, le truppe di Olus hanno effettuato una scorreria oltre il confine, e a me è stato ordinato di far uscire le dame dalla fortezza di dy Guarida prima che la città venisse circondata. Verso l’alba, dopo aver cavalcato per metà della notte, abbiamo attraversato un fiume in piena. Il cavallo di una delle dame di compagnia della Provincara è scivolato e la donna è stata trascinata via dalla corrente, insieme col paggio che ha cercato di aiutarla. Nel tempo che ho impiegato a girare il cavallo erano già scomparsi alla vista… Abbiamo trovato i corpi più a valle, l’indomani mattina. Il fiume non era molto profondo, ma quella dama ha ceduto al panico perché non sapeva nuotare. Un po’ di addestramento avrebbe potuto trasformare un fatale incidente in un semplice spavento, e salvare tre vite.»
«Tre vite?» interloquì Iselle. «La dama, il paggio…»
«Quella dama aspettava un bambino.»
«Oh.»
Sulla tavola scese un profondo silenzio.
«È una storia vera, Castillar?» domandò infine la Provincara, scrutando Cazaril.
«Sì», sospirò questi, ricordando la pelle livida, fredda e inerte come argilla di quella donna e i suoi indumenti intrisi d’acqua, pesanti quanto il macigno che sembrava opprimergli il cuore in quel momento. «Ho dovuto provvedere io a informare il marito di quella dama.»