È da stolti sperarlo, pensò tuttavia, un momento più tardi, incurvando le spalle e accelerando il passo.
Tornato in camera, Cazaril indugiò per un momento a contemplare la semplice veste marrone accompagnata dalla consueta sopravveste nera: quei due capi costituivano il suo abbigliamento preferito, per la sobrietà e l’anonimato che gli assicuravano. Ma, obbediente agli ordini giunti dal piano superiore tramite una cameriera, fu costretto a scegliere una tenuta molto più appariscente ed elegante: una tunica celeste abbinata a una sopravveste di broccato turchese e a calzoni blu scuro. Erano indumenti appartenuti al vecchio Provincar e ancora vagamente pervasi dal sentore delle spezie riposte insieme con essi per proteggerli dalle tarme. Spada e stivali completarono quel suo abbigliamento da cortigiano, cui mancava soltanto qualche anello e monile per renderlo perfetto.
Dietro insistente richiesta di Teidez, il Castillar salì quindi al piano superiore per controllare se le dame fossero pronte, scoprendo così che l’abbigliamento da lui indossato — e tanto vistoso, a suo parere — armonizzava col resto del gruppo. Iselle aveva infatti scelto la sua veste bianca e azzurra preferita, unita a una sopragonna con gli stessi colori; i colori indossati da Betriz e dalla dama di compagnia erano rispettivamente il turchese e il blu notte. All’interno del gruppetto, qualcuno aveva deciso che non era però il caso di eccedere nello sfarzo, per cui Iselle sfoggiava soltanto gioielli adatti a una giovane donna nubile: piccoli orecchini di diamanti, una spilla che ornava la scollatura, una cintura smaltata e due anelli. Quanto a Betriz, le erano stati prestati alcuni degli altri gioielli di proprietà della Royesse. Raddrizzandosi, Cazaril cessò di rimpiangere i suoi abiti anonimi e si ripromise di recitare sino in fondo il proprio ruolo nell’interesse di Iselle.
Dopo le ultime, piccole modifiche al vestiario o ai gioielli, Cazaril scortò le donne al piano di sotto, dove si unirono a Teidez e al suo piccolo seguito, costituito da dy Sanda, dal capitano delle guardie baociane che li avevano scortati durante il viaggio e dal suo sergente, questi ultimi abbigliati con la loro divisa migliore e tutti con al fianco una spada dall’impugnatura adorna di gemme. Tra un frusciare di stoffe e un tintinnare di metalli, il gruppetto seguì il paggio reale fino alla sala del trono di Orico.
Giunti nell’anticamera, si fermarono per disporsi nel giusto ordine, in obbedienza alle istruzioni sussurrate dal siniscalco, poi le porte si spalancarono, ci fu uno squillare di corni e il siniscalco annunciò il loro ingresso con voce stentorea. «Il Royse Teidez dy Chalion! La Royesse Iselle dy Chalion! Ser dy Sanda…» scandì, presentando l’uno dopo l’altro i nuovi venuti nell’opportuno ordine di rango e finendo con: «Lady Betriz dy Ferrej, il Castillar Lupe dy Cazaril, Sera Nan dy Vrit!»
«Lupe?» sussurrò Betriz, scoccando un’occhiata in tralice a Cazaril, con una luce divertita negli occhi scuri. «Il vostro nome è Lupe?»
Considerata la situazione, Cazaril si ritenne esentato dal dare una risposta, che comunque sarebbe stata incoerente e confusa. La sala era affollata di dame e di cortigiani, l’aria era intrisa di un sentore di profumo e d’incenso, pervasa di eccitazione. Nel contemplare quella massa scintillante, adorna di gioielli e di stoffe preziose, Cazaril si rese conto che il suo abbigliamento era comunque austero e anonimo. Anzi, se avesse optato per la severa veste marrone, avrebbe fatto la figura di un corvo in mezzo a una marea di pavoni, dato che persino le pareti erano rivestite di broccato rosso.
Su una piattaforma rialzata, posta in fondo alla sala e sovrastata da un baldacchino di broccato rosso frangiato con trecce dorate, il Roya Orico e la sua Royina sedevano su due seggi dorati. Lavato e con indosso abiti puliti, Orico aveva un aspetto decisamente migliore, con le guance gonfie pervase da una sfumatura di colore e la coroncina d’oro che gli conferiva un’aria quasi regale, nonostante il fisico tozzo e tutt’altro che giovanile. La Royina Sara indossava eleganti vesti scarlatte e sedeva tenendosi eretta, quasi rigida. Ormai oltre la trentina, appariva sfiorita. Anzi aveva un’aria così impassibile che Cazaril si chiese quali fossero i suoi sentimenti riguardo al ricevimento a corte dei regali cognati. Non avendo avuto figli, la Royina aveva mancato di adempiere al suo principale dovere nei confronti della royacy di Chalion… Sempre che quella colpa fosse da attribuire a lei, rifletté Cazaril. Fin dall’epoca in cui era un semplice paggio, lui aveva sentito sussurrare che Orico non aveva mai generato nessun bastardo, anche se a quel tempo la cosa veniva attribuita alla sua fedeltà nei confronti della Royina. Ma quel riconoscimento ufficiale, concesso a Teidez dalla coppia reale, equivaleva all’ammissione pubblica di una disperazione quanto mai privata e personale.
A turno, Teidez e Iselle avanzarono verso la piattaforma, scambiando col Roya e con la Royina fraterni baci di benvenuto sulle mani. Per quell’occasione, i formali baci di sottomissione sulla fronte, sulle mani e sui piedi non vennero contemplati dal cerimoniale. E infatti anche al seguito fu concesso d’inginocchiarsi e di baciare soltanto la mano ai regnanti. Sotto il tocco rispettoso delle labbra di Cazaril, la mano di Sara parve gelida come cera.
Preso posto alle spalle di Iselle, il Castillar si dispose a esercitare la virtù della pazienza, dato che i due fratelli dovevano ricevere il saluto di una lunga fila di cortigiani. Sapeva bene che sarebbe stato offensivo escludere qualcuno da quella breve cerimonia, negandogli di presentarsi personalmente al Royse e alla Royesse. D’un tratto, però, sentì il respiro che gli si bloccava in gola e fissò con terrore i due uomini che stavano avanzando per presentarsi a Teidez e a Iselle.
Abbigliato in marrone, arancione e giallo — la tenuta da corte completa richiesta per un generale del sacro Ordine militare del Figlio -, il March dy Jironal non era cambiato da quando lo aveva visto l’ultima volta, cioè tre anni prima. Quell’incontro era avvenuto sotto la tenda da campo di dy Jironal, il quale aveva consegnato a Cazaril le chiavi di Gotorget e l’incarico di difendere la fortezza. Il March dy Jironal era sempre magro, brizzolato, freddo, pervaso di energia e poco propenso al sorriso. La larga cintura a bandoliera cui era appesa la spada era decorata coi simboli del Figlio — armi, animali e botti di vino — realizzati in smalto e gemme; al collo, lui sfoggiava la catena d’oro simbolo della sua carica di Cancelliere di Chalion. Sulle mani, poi, erano visibili tre grossi anelli con sigillo: quello del suo ricco casato, quello di Chalion e quello dell’Ordine del Figlio. Non portava altri gioielli, ma non ce n’era bisogno: il suo potere era già più che evidente.
Anche Lord Dondo dy Jironal indossava le vesti di un generale di un sacro Ordine, nel suo caso quelle azzurre e bianche dell’Ordine della Figlia. Più massiccio del fratello, e con la sgradevole tendenza a sudare abbondantemente, a quarant’anni Lord Dondo emanava ancora il dinamismo tipico della sua famiglia e, a parte la nuova carica indicata dal vestiario, non appariva cambiato o invecchiato rispetto a quando Cazaril lo aveva visto per l’ultima volta, nell’accampamento del fratello. Osservandolo, Cazaril si rese conto di aver sperato che Dondo fosse almeno diventato grasso quanto Orico, considerato che era famoso per i suoi eccessi — a letto, a tavola o altrove -, ma il suo fisico appariva soltanto un poco appesantito. I gioielli che gli decoravano le mani, le orecchie, il collo, le braccia e gli stivali dagli speroni d’oro costituivano uno sfoggio di ricchezza tale da compensare abbondantemente la sobrietà del fratello.
Dy Jironal lanciò un’occhiata distratta a Cazaril, però non sembrò riconoscerlo. Dondo invece si accigliò, indugiando a scrutare con aria sempre più corrucciata il volto del Castillar, ben attento a mantenere un’espressione neutra e affabile. Ma l’attento esame di Dondo s’interruppe allorché il fratello fece cenno a un servitore di presentare i propri doni al Royse Teidez: una sella e briglie decorate in argento, un eccellente arco da caccia e una lancia per cinghiali dalla scintillante punta di acciaio cesellato. Teidez accettò quei regali con parole di ringraziamento tanto eccitate quanto sincere.