Congedatosi dagli altri, Orico si diresse immediatamente verso una delle gabbie degli orsi. Al suo ingresso, l’animale che la occupava si svegliò, sollevandosi a sedere sulle zampe posteriori, posizione immediatamente imitata da Orico, che si accoccolò sulla paglia pulita. I due rimasero a fissarsi, il Roya stranamente simile all’orso nella posa e nella figura. Dopo un po’, Orico aprì il tovagliolo e staccò un pezzetto del favo, porgendolo all’orso che si protese in avanti, annusò e cominciò a leccargli le dita con una lunga lingua rosata. Lanciando esclamazioni ammirate, Iselle e Betriz fecero alcuni commenti sulla splendida pelliccia dell’animale, ma non accennarono a raggiungere il Roya nella gabbia.
Umegat le accompagnò poi a vedere quelle strane creature simili a capre. Giacché gli animali erano palesemente erbivori, le due dame non ebbero timore di entrare negli stalli per accarezzarli ed elogiare i loro grandi occhi scuri dalle lunghe ciglia. Spiegando che si chiamavano velia, e che venivano importati da un luogo che si trovava al di là dell’Arcipelago, Umegat porse alle dame alcune carote, che esse diedero ai velia con grande soddisfazione reciproca.
Dopo essersi pulita sulla veste le mani sporche di carota e della saliva dei vella, Iselle e gli altri seguirono Umegat verso le voliere, mentre Orico, con un cenno, fece loro capire che sarebbe rimasto ancora un po’ nella gabbia dell’orso.
In quel momento, una sagoma scura scese in picchiata dal cielo e s’insinuò nel corridoio di pietra dalla volta arcuata, arrestandosi poi con un borbottio e uno sbattere d’ali sulla spalla di Cazaril; sussultando con violenza, l’uomo girò la testa di scatto e si trovò davanti un corvo, probabilmente lo stesso che si era posato sulla sua finestra, almeno a giudicare dalla coda, cui mancavano due penne.
«Caz, Caz!» stridette il corvo, flettendo gli artigli intorno alla sua spalla.
«Era ora che imparassi, stupido uccello!» rise Cazaril. «Adesso però non ti serve più a nulla, perché ho finito tutto il pane.» Poi scrollò la spalla, ma il corvo mantenne la presa e continuò a strillare: «Caz, Caz!» in toni tanto acuti da riuscire dolorosi.
«Chi è il vostro amico, Lord Caz?» sorrise Betriz, stupita.
«Si è posato sulla mia finestra, stamattina, e ho tentato d’insegnargli qualche parola», spiegò Cazaril. «Non credevo però di esserci riuscito…»
«Caz, Caz!» insistette il corvo.
«Dovreste essere altrettanto diligente con lo studio del darthacano, mia signora!» esclamò Cazaril. «Avanti, Ser dy Corvo, adesso vattene. Non ho altro pane, quindi va’ a cercare qualche pesce sotto le cascate oppure una carcassa di pecora, o chissà che altro… sciò!» gridò, abbassando la spalla. Ma, dato che il volatile non accennava a muoversi, aggiunse: «Questi corvi del castello sono decisamente avidi e pigri. I corvi di campagna devono svolazzare di qua e di là per procurarsi il cibo; loro si aspettano quasi di essere imboccati».
«In effetti, i corvi del castello di Zangre sono veri e propri cortigiani», commentò Umegat, con un sorriso.
Trattenendo a stento una risata, Cazaril si girò a guardare l’impeccabile stalliere. Se lavorava lì da parecchio tempo, Umegat doveva aver avuto modo di studiare a fondo i cortigiani del palazzo… «Questo interessamento sarebbe più lusinghiero se tu non fossi un uccello del malaugurio!» disse poi, rivolto al corvo. «Ora vattene!» E spinse via il corvo, ma esso si limitò a svolazzargli sulla testa e ad affondargli gli artigli nel cuoio capelluto, strappandogli un grido di dolore.
«Cazaril!» gracchiò poi, dalla sua nuova posizione.
«Dovete essere davvero molto bravo nell’insegnare le lingue, Lord dy Cazaril», intervenne Umegat, con un sorriso sempre più ampio. «Se abbassate la testa, mio signore, cercherò di liberarvi del vostro… passeggero.» Quindi si rivolse al corvo, mormorando: «Sì, sì, ti ho sentito…»
Cazaril obbedì e Umegat prese a mormorare qualcosa in roknari. Dopo un po’, il corvo passò sul suo braccio, cosa che permise allo stalliere di condurlo fuori e lanciarlo in aria. L’uccello si allontanò svolazzando e, con sollievo di Cazaril, gracchiando in maniera più normale.
I tre visitatori si accostarono quindi alle voliere. Lì Iselle scoprì di essere tanto popolare presso gli uccelli in gabbia quanto Cazaril lo era stato con quel corvo arruffato; quando essi le si posarono sulle maniche, Umegat le insegnò come indurre quelle creature ad accettare chicchi di grano tenendoli tra i denti. Passarono poi agli uccelli sui trespoli, e Betriz ammirò in modo particolare un grosso volatile di un colore verde acceso, col petto giallo e con la gola color rubino, che emetteva versi chioccianti dal grosso becco giallo e si dondolava di continuo sulle zampe.
«Questo è un arrivo piuttosto recente, ma credo abbia avuto una vita difficile ed errabonda», spiegò Umegat. «È abbastanza quieto, ma ci è voluto non poco tempo per riuscire a calmarlo.»
«Sa parlare?» domandò Betriz.
«Sì, ma conosce soltanto parole volgari, anche se, per fortuna, esclusivamente in roknari… Ho il sospetto che sia appartenuto a qualche marinaio», rispose Umegat. «Il March dy Jironal lo ha portato con sé dal nord questa primavera, come bottino di guerra.»
Nel pensare alle voci giunte fino a Valenda in merito a quella campagna, che si era conclusa senza vincitori né vinti, Cazaril si chiese se anche Umegat avesse fatto parte di un bottino di guerra, proprio come lui. Forse è arrivato a Chalion proprio così… «Un uccello grazioso», commentò. «Tuttavia non mi pare che possa compensare la perdita di tre città e del controllo di un passo.»
«Ritengo che Lord dy Jironal abbia ottenuto in cambio anche altre cose di valore», replicò Umegat. «Al suo ritorno a Cardegoss, il convoglio dei suoi bagagli ha impiegato un’ora a oltrepassare il portone.»
«So quanto possono essere lenti e caparbi i muli da soma», ribatté Cazaril, per nulla colpito. «In quella sconsiderata avventura, Chalion ha perso più di quanto dy Jironal abbia guadagnato.»
«Non è stata una vittoria?» chiese Iselle, inarcando di scatto le sopracciglia.
«Come la si potrebbe mai definire tale? Noi e i principati dei roknari ci stiamo contendendo quella zona di confine ormai da decenni, e abbiamo reso una landa desolata quella che era una terra fertile. Frutteti, oliveti e vigneti sono stati dati alle fiamme, le fattorie sono state abbandonate, gli animali domestici sono regrediti allo stato selvatico o sono morti di fame… È la pace, e non la guerra, ad arricchire: la guerra si limita a trasferire il possesso di ciò che resta da un padrone più debole a uno più forte. La cosa peggiore, però, è che quanto viene comprato col sangue è poi venduto per denaro, solo per essere rubato di nuovo. Vostro nonno, il Roya Fonsa, ha pagato la conquista di Gotorget con la vita dei suoi figli, ma il March dy Jironal ha venduto quella fortezza per trecentomila reali d’oro… Una trasmutazione alchemica davvero incredibile, considerato che il sangue di un uomo viene trasformato in denaro a vantaggio di altri. Al confronto, convertire il piombo in oro appare davvero cosa da poco.»
«Non ci potrà mai essere la pace nel nord?» domandò Betriz, sorpresa da quella veemenza insolita per Cazaril.
«Non finché la guerra porterà simili profitti. Anche i principi dei roknari si comportano così. Si tratta di una forma di corruzione universale.»
«Vincere la guerra potrebbe tuttavia porre fine a questo stato di cose», obiettò Iselle.
«Una vittoria del genere è soltanto uno splendido sogno», sospirò Cazaril. «Per realizzarlo, un Roya dovrebbe indurre i nobili a prestarsi al suo gioco senza far capire loro che, in tal modo, loro perderanno enormi profitti futuri… Senza contare che, anche così, la vittoria non sarebbe possibile, perché, da sola, Chalion non potrebbe mai sconfiggere tutti e cinque i principati. E se pure, per qualche miracolo, ci riuscisse, dopo non avrebbe la potenza navale necessaria per conservare il controllo delle coste. Se tutte le royacy quintariane unissero le loro forze e combattessero con coraggio per una generazione, un Roya dotato di un potere e di una determinazione immensi potrebbe forse riuscire a unire l’intero continente, ma il costo in termini di uomini e di denaro sarebbe enorme.»