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Il gruppo raggiunse quindi l’«accampamento dei banditi», un’ampia radura dove numerosi servitori del castello, vestiti a loro volta con abiti volutamente laceri, stavano arrostendo allo spiedo daini e altra selvaggina. Banditesse, pastorelle e alcune mendicanti dall’aria alquanto nobile, nonostante gli abiti laceri, accolsero il ritorno dei rapitori. Iselle scoppiò in una risata velata d’indignazione quando il re dei banditi, dy Rinal, le tagliò una ciocca di capelli ricciuti e la sollevò, pretendendo un riscatto. E fu proprio in quel momento che un contingente di «soccorritori», vestiti in blu e bianco e capitanati da Lord Dondo dy Jironal, fece irruzione al galoppo nel campo. Seguì una battaglia finta ma serratissima, con alcuni tocchi macabri ottenuti grazie a vesciche di maiale piene di sangue. In conclusione, tutti i banditi furono abbattuti. E mentre alcuni si lamentavano che non si era trattato di un combattimento equo, Dondo recuperò la ciocca di capelli. Subito dopo, un finto Divino del Fratello prese a circolare tra i morti, facendo miracolosamente risorgere i banditi con l’ausilio di una borraccia piena di vino. Ben presto, l’intera compagnia si sedette per terra intorno ad ampie tovaglie, per banchettare e brindare.

Cazaril si trovò a dividere una tovaglia con Iselle, Betriz e Lord Dondo; sedutosi in disparte a gambe incrociate, prese a mangiare distrattamente un po’ di cacciagione e di pane, ascoltando Lord Dondo che intratteneva la Royesse con battute che, a suo parere, erano un po’ troppo pesanti per una dama. Poi Dondo implorò Iselle di fargli dono della ciocca di capelli, come premio per averla salvata e, con uno schiocco delle dita, chiamò a sé un paggio, che reggeva una custodia di cuoio lavorato. Dentro di essa c’erano due splendidi pettini di tartaruga adorni di gemme.

«Un tesoro in cambio di un tesoro, e saremo pari», dichiarò, riponendo la ciocca di capelli in una tasca interna del suo giustacuore, all’altezza del cuore.

«Però è un dono crudele… Regalare pettini a una donna che non ha più capelli su cui appuntarli», fu pronta a ribattere belle, sollevando uno dei pettini, che scintillò alla luce del sole.

«Potrete sempre farvi ricrescere i capelli, Royesse», obiettò Dondo.

«Ma voi potete far crescere un nuovo tesoro?»

«Con la stessa facilità con cui crescono i vostri capelli, ve lo garantisco», sorrise Dondo, appoggiandosi su un gomito accanto a lei e arrivando quasi a posarle la testa in grembo.

«Trovate allora che la vostra nuova carica sia molto remunerativa, Santo Generale?» domandò Iselle, smettendo di sorridere.

«Indubbiamente.»

«In tal caso, forse avete scelto il ruolo sbagliato, e oggi avreste dovuto recitare la parte del re dei banditi.»

«Se il mondo non funzionasse così, come potrei comprare abbastanza perle da soddisfare le belle dame?» replicò Dondo, con un sorriso forzato.

Due intense chiazze di colore si allargarono sulle guance di Iselle, che distolse lo sguardo, mentre il sorriso di Dondo si allargava. Stringendo i denti per trattenersi dall’intervenire, Cazaril si protese a prendere una caraffa di vino, con l’idea di rovesciare il liquido nel collo di Iselle e interrompere quello scambio pericoloso. Ma la caraffa era vuota. Con sollievo del Castillar, comunque, Iselle non accennò a ribattere e si mise invece a mangiare un po’ di pane e di carne. Di lì a poco, nel cambiare posizione, fece in modo di allontanare le proprie gonne da Lord Dondo.

Il gelo della sera autunnale stava cominciando ad accentuarsi, quando il gruppo, ormai sazio, si avviò a passo lento verso lo Zangre. Costringendo la propria giumenta a rallentare il passo, Iselle si affiancò a Cazaril

«Castillar, siete riuscito a scoprire cosa ci sia di vero in quella voce secondo cui le truppe della Figlia sarebbero state vendute come contingenti mercenari?» domandò.

«Ho ascoltato la stessa storia da un paio di persone, ma non direi che è stata confermata», replicò Cazaril. In realtà, aveva raccolto ampie conferme di quell’ignobile traffico, però gli sembrava imprudente rivelarlo a Iselle in quella circostanza.

Accigliandosi, la Royesse non aggiunse altro e spronò il cavallo, tornando a raggiungere Lady Betriz.

Quella notte, il banchetto risultò più spartano del solito e la serata si concluse senza danze, in quanto i cortigiani e le dame, stanchi per le attività pomeridiane, si ritirarono per tempo, per dormire o per indulgere in piaceri privati. Mentre attraversava un’anticamera, Cazaril si trovò a essere affiancato da Dondo dy Jironal, che gli mormorò: «Facciamo due passi insieme, Castillar? Credo che noi due si debba parlare…»

Scrollando le spalle, Cazaril lo seguì senza protestare, fingendo di non notare due giovani bravacci, un paio degli amici più corrotti di Dondo, che li seguivano a qualche passo di distanza. Usciti dalla torre che si ergeva all’estremità più stretta del palazzo, i due si trovarono in un cortiletto che dominava la confluenza dei due fiumi. A un segnale di Dondo, entrambi i giovani si disposero ad attendere vicino alla porta, appoggiandosi alla parete di pietra con l’aria di sentinelle stanche e annoiate.

Cazaril cercò di valutare la situazione. Nel caso di un duello, la sua portata con la spada era superiore a quella di Dondo; inoltre, benché fosse stato malato, i mesi trascorsi ai remi della galea avevano reso le sue braccia molto più forti di quanto sembrassero. D’altro canto, l’addestramento di Dondo era superiore al suo. Quanto ai due bravacci, erano giovani e un po’ ubriachi… Ma era anche possibile che quei tre non cercassero affatto lo scontro. No, in fondo non era necessario: un segretario tutt’altro che agile beveva un po’ troppo vino, poi andava a fare una passeggiata sui bastioni, scivolava e precipitava nel buio, rimbalzando contro le rocce, prima di finire nell’acqua, un centinaio di metri più in basso… Avrebbero trovato il suo corpo soltanto il giorno successivo, senza neppure una ferita d’arma da taglio, e avrebbero archiviato quella morte come un malaugurato incidente.

Alcune lanterne appese alla parete proiettavano una tremolante luce arancione. Dondo indicò una panchina di granito addossata alle mura esterne, la cui pietra risultò ruvida e fredda contro le gambe di Cazaril. Dondo prese posto accanto a lui con un piccolo grugnito, spingendo automaticamente di lato la sopravveste per lasciare libera l’impugnatura della spada.

«Allora, Cazaril… Ultimamente godete di molta confidenza da parte della Royesse Iselle», esordì.

«La carica di segretario comporta una grande responsabilità, come pure quella di tutore. E io svolgo con la massima serietà entrambi gli incarichi.»

«Questo non mi sorprende… Avete sempre preso tutto troppo sul serio. Però eccedere in una cosa, anche buona, può essere un difetto.»

Cazaril si limitò a scrollare le spalle, e Dondo appoggiò la schiena contro le mura, incrociando le gambe all’altezza delle caviglie, quasi si stesse mettendo comodo in previsione di una lunga chiacchierata. «Una ragazza della sua età e del suo rango dovrebbe cominciare a interessarsi agli uomini… Invece trovo la Royesse stranamente gelida.» Fece un cenno verso la torre, che si ergeva davanti a loro. «Una giumenta simile è fatta per la riproduzione… Ha due fianchi ampi, adatti a ospitare un uomo. C’è da sperare che sia riuscita a sfuggire alla corruzione presente nel sangue della sua famiglia, e che non stia già mostrando i primi sintomi dei… problemi mentali che hanno afflitto la sua povera madre.»