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Massaggiandosi la testa come se gli dolesse, Orico scoccò una serie di occhiate in tralice al suo distaccato consigliere e all’agitatissima sorellastra. «Oh, Dei, odio questo genere di cose…» gemette. Subito dopo, tuttavia, la sua espressione cambiò e lui si sollevò di scatto, esclamando: «Ma certo, esiste la giusta soluzione… proprio la giusta soluzione, eh, eh…» Chiamato a sé con un cenno il paggio che aveva convocato Cazaril, gli mormorò qualcosa all’orecchio, sotto lo sguardo accigliato di dy Jironal, che però non riuscì a sentire le parole del sovrano.

«Quale sarebbe la giusta soluzione, sire?» domandò, apprensivo, dopo che il paggio fu uscito.

«Non è una soluzione mia, bensì degli Dei», precisò Orico. «Lasceremo che siano gli Dei a decidere chi è innocente e chi sta mentendo.»

«Non penserete di sottoporre la questione all’ordalia delle armi, vero?» esclamò dy Jironal, con una nota di orrore nella voce.

Cazaril non faticò a condividere quel suo stato d’animo, e così fece pure dy Maroc, almeno a giudicare dal modo in cui il sangue gli defluì dal volto.

«Ecco un’altra idea valida», osservò Orico, guardando dy Maroc e Cazaril. «Questi due mi sembrano due avversari che si equivalgono. Certo, dy Maroc è più giovane, e se la cava bene negli addestramenti con la spada, ma l’esperienza ha i suoi vantaggi.»

Lady Betriz appuntò lo sguardo su dy Maroc e assunse un’aria preoccupata. Anche Cazaril era turbato, benché per ragioni probabilmente opposte alle sue. Senza dubbio, dy Maroc era molto abile nell’arte del duello, il che significava che, nel corso di una vera battaglia, sarebbe sopravvissuto al massimo cinque minuti. In quel momento, dy Jironal incontrò il suo sguardo per la prima volta da quando l’inchiesta era iniziata e, nel comprendere che lui stava facendo il medesimo calcolo, Cazaril si sentì contrarre lo stomaco per il disgusto all’idea di massacrare quel ragazzo, per corrotto che fosse.

«Non so se quell’ibrano abbia mentito», interloquì dy Maroc. «So soltanto quello che mi ha detto.»

«Sì, sì», annuì Orico, accantonando quelle giustificazioni con un cenno impaziente. «Credo che il mio piano sia il migliore.» Poi sbuffò, si sfregò il naso con la manica e si dispose ad attendere, mentre sulla stanza calava un silenzio pieno di tensione.

Fu il paggio, di ritorno nella sala, a romperlo. «Umegat, sire», annunciò il ragazzo.

L’azzimato e vivace stalliere roknari entrò nella stanza e, nel vedere quel gruppetto, assunse un’aria vagamente sorpresa. Tuttavia continuò ad avanzare senza indugi e si fermò davanti, al suo padrone con un profondo inchino. «Come posso servirvi, mio signore?» domandò.

«Umegat… Voglio che tu vada fuori e che catturi il primo corvo sacro che vedrai, portandolo qui», rispose Orico. Poi si rivolse al paggio. «Tu! Va’ con lui per fare da testimone. Avanti, spicciatevi», concluse, battendo le mani.

Senza manifestare la minima sorpresa o porre domande di sorta, Umegat s’inchinò di nuovo e uscì; contemporaneamente, Cazaril sorprese dy Maroc nell’atto di scoccare a dy Jironal una supplichevole occhiata in cui sembrava chiedere direttive… Un’occhiata che il Cancelliere non notò.

«Dunque, come possiamo organizzare la cosa?» borbottò Orico. «Sì, ci sono… Cazaril, voi vi metterete su un lato della stanza, e dy Maroc si metterà sul lato opposto.»

Dopo una rapida — e approssimativa — valutazione delle probabilità, dy Jironal, con un impercettibile cenno del capo, indicò a dy Maroc l’estremità della stanza dove c’era la finestra aperta, relegando di conseguenza Cazaril sul lato più buio.

«Voi spostatevi tutti di lato, per fare da testimoni», proseguì Orico, rivolto a Iselle e al suo seguito. «Questo vale anche per voi», aggiunse, guardando il paggio e le due guardie. Alzatosi, aggirò quindi il tavolo per disporre le sue pedine umane nel modo più soddisfacente possibile, mentre dy Jironal rimaneva seduto, intento a giocherellare con una penna, scuro in volto.

Umegat tornò molto prima di quanto Cazaril si sarebbe aspettato, tenendo un corvo sotto un braccio. Il paggio che gli saltellava intorno con fare eccitato.

«È il primo corvo che avete visto?» chiese Orico al ragazzo.

«Sì, mio signore», rispose il ragazzo, con un filo di voce. «Ecco, i corvi erano tutti in volo sopra la Torre di Fonsa, quindi ne abbiamo visti contemporaneamente almeno sei o sette. Umegat si è fermato in mezzo al cortile con le braccia protese e gli occhi chiusi, e questo corvo gli si è andato a posare sulla manica!»

Cazaril sforzò invano la vista per cercare di determinare se a quel volatile borbottante mancassero per caso due penne della coda.

«Benissimo», dichiarò Orico, soddisfatto. «Umegat, ora voglio che tu ti metta nel centro esatto della stanza e che, al mio segnale, lasci andare il corvo sacro, così vedremo verso quale uomo volerà e avremo la risposta al nostro interrogativo. Un momento, però… Prima tutti dovrebbero pregare in cuor loro gli Dei perché ci guidino.»

«Ma, sire, come interpreteremo la risposta?» obiettò Betriz, mentre accanto a lei Iselle stava già assumendo un composto atteggiamento di preghiera, poi fissò intensamente Umegat e aggiunse: «Il corvo deve volare verso il bugiardo, o verso l’uomo sincero?»

«Oh», mormorò Orico, incerto.

«E cosa faremo se quell’uccellaccio si limiterà a volare in cerchio?» aggiunse dy Jironal, con una sfumatura esasperata nella voce.

In tal caso, sapremo che gli Dei sono confusi quanto noi, pensò Cazaril.

«Dal momento che la verità è sacra agli Dei, essi lasceranno volare il corvo verso l’uomo sincero, sire», interloquì Umegat, con un inchino, accarezzando il corvo per calmarlo.

«Oh, benissimo», annuì Orico. «Allora puoi procedere.»

Umegat, che Cazaril cominciava a ritenere dotato di una spiccata inclinazione teatrale, si posizionò in un punto equidistante dai due accusati e protese il braccio su cui era appollaiato l’uccello, ritraendo con lentezza la mano con cui lo controllava e rimanendo quindi del tutto immobile, con un’espressione di assoluta devozione sul volto.

Cazaril non poté fare a meno di chiedersi quale effetto avesse sugli Dei la cacofonia di preghiere che, senza dubbio, in quel momento si stava levando dalla stanza.

Un istante dopo, Umegat proiettò il corvo verso l’alto e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi: stridendo, l’uccello allargò le ali e aprì a ventaglio la coda, cui mancavano due penne.

Immediatamente dy Maroc allargò le braccia con aria speranzosa: sembrava chiedersi se gli sarebbe stato concesso afferrare il volatile a mezz’aria, qualora gli fosse passato sopra. Cazaril, che era sul punto di gridare Caz, Caz, fu invece assalito da una curiosità teologica: che cos’altro avrebbe potuto rivelargli quella prova, considerato che lui conosceva già la verità? Rimase allora immobile e in silenzio, le labbra socchiuse, osservando il corvo che, ignorando la finestra aperta, volava dritto verso di lui.

«Bene, bravo», sussurrò al volatile, quando esso gli affondò gli artigli nella spalla, dondolandosi sulle zampe. Poi, inclinato all’indietro il becco nero, il corvo lo fissò con occhi scintillanti e inespressivi.

Da un lato della stanza, Iselle e Betriz presero a saltellare e a gridare di gioia, abbracciandosi con tale impeto che per poco il corvo non spiccò di nuovo il volo, spaventato. Accanto a loro, dy Sanda si concesse un cupo sorriso, mentre dy Jironal serrava i denti per l’irritazione e dy Maroc appariva vagamente sgomento.

«Bene», dichiarò Orico, facendo il gesto di spolverarsi le mani grassocce. «La questione è risolta. E adesso, per gli Dei, voglio il mio pranzo!»

Circondato Cazaril come una sorta di guardia d’onore, Iselle, Betriz e dy Sanda lo scortarono fuori della Torre di Ias e nel cortile.

«Come avete fatto a scoprire cosa stava succedendo e venire in mio soccorso?» chiese Cazaril, guardando verso il cielo, nel quale adesso non c’era traccia di corvi.