Notando il suo abbigliamento da cortigiano, il contadino si affrettò a togliersi il cappello di lana in un saluto rispettoso. «L’ho trovato stamattina sulla riva del fiume, signore, quando ho portato il mio bestiame ad abbeverarsi», spiegò. «In quel punto, il fiume fa una curva, e mi capita spesso di trovare cose impigliate nelle rocce. La scorsa settimana, per esempio, c’era una ruota di carro, ed è per questo che controllo sempre. I cadaveri non sono frequenti — sia resa grazie alla Misericordia della Madre — e non ne avevo più visto uno dopo la povera dama che si è annegata, due anni fa…» Scambiò con l’uomo del conestabile un cenno del capo da cui si capiva che entrambi rammentavano quell’episodio, poi concluse: «Questo, però, non sembra essere annegato».
I calzoni di dy Sanda erano ancora fradici, ma i capelli avevano smesso di gocciolare; la tunica era stata rimossa da chi lo aveva trovato ed era ripiegata sul dorso del mulo. Sul torace messo a nudo spiccavano le ferite, che il fiume aveva ripulito dal sangue, scure lacerazioni ben visibili sulla pelle pallida del collo, del ventre e della schiena. Erano oltre una dozzina, inferte con forza e in profondità.
Appoggiandosi all’indietro sui talloni, il siniscalco indicò un pezzetto di corda fradicia che pendeva dalla cintura di dy Sanda. «Dovevano avere fretta», osservò. «Hanno tagliato i cordoni della sua borsa.»
«Non si è trattato soltanto di una rapina», dichiarò Cazaril. «Un paio di queste ferite sarebbero state sufficienti a metterlo fuori combattimento e a porre fine a ogni resistenza da parte sua, quindi non c’era bisogno di… No, volevano essere sicuri che fosse morto.» Aveva usato il plurale e ciò lo indusse a chiedersi se davvero gli aggressori erano più di uno. Non c’era modo di appurarlo, almeno per il momento, ma, considerato che dy Sanda non era certo un avversario facile, lo ritenne più che probabile. «Immagino che gli abbiano preso la spada», aggiunse, dopo un momento. Dy Sanda aveva avuto il tempo di estrarla, oppure il primo colpo lo aveva colto alla sprovvista, provenendo da un uomo che gli camminava accanto e di cui lui si fidava?
«Gliel’hanno presa, oppure l’ha portata via il fiume», affermò il contadino. «Se avesse avuto ancora addosso quel peso che lo trascinava verso il basso, non si sarebbe arenato sulla curva tanto presto.»
«Indossava anelli o altri gioielli?» chiese l’uomo del conestabile.
«Parecchi anelli e un orecchino d’oro», annuì il siniscalco.
Naturalmente di quei monili non c’era più traccia.
«Voglio una descrizione di ognuno di quei preziosi, mio signore», disse la guardia, e il siniscalco si limitò ad annuire.
«Sapete dov’è stato trovato», osservò Cazaril, rivolto alla guardia. «Avete scoperto anche dov’è stato aggredito?»
«Difficile a dirsi», replicò l’uomo, scuotendo il capo. «Forse, da qualche parte nei bassifondi…» Si riferiva alla parte più bassa, socialmente e geograficamente, di Cardegoss, addossata su entrambi i lati del muro che correva tra i due fiumi. «Ci sono una mezza dozzina di punti da dove si potrebbe gettare un cadavere dalle mura cittadine con la certezza che venga portato via dalla corrente, e alcuni sono più isolati di altri. Quand’è stata l’ultima volta che qualcuno di voi lo ha visto, ieri sera?»
«Io l’ho visto a cena, ma non mi ha accennato di voler scendere in città», rispose Cazaril, pensando che anche all’interno dello Zangre c’erano un paio di posti da cui un cadavere poteva essere gettato nel fiume. «Ha riportato qualche frattura?»
«Io non ne ho notate nel toccarlo, signore», rispose la guardia del conestabile. In effetti, il cadavere non mostrava quasi lividi di sorta.
Una rapida indagine presso le guardie del castello rivelò che dy Sanda aveva effettivamente lasciato lo Zangre la notte precedente, da solo e a piedi, più o meno nel corso del turno di guardia intermedio. Quella notizia indusse Cazaril ad accantonare l’intenzione di passare al setaccio ogni angolo dei corridoi e delle nicchie del vasto castello, alla ricerca di macchie di sangue recenti. Nel tardo pomeriggio, poi, le guardie del conestabile trovarono tre persone che avevano visto il segretario del Royse bere in una taverna dei bassifondi e andarsene dal locale da solo. Una di esse aggiunse che dy Sanda era ubriaco e barcollava, una frase che indusse Cazaril a desiderare di poter trascorrere qualche tempo da solo con quell’uomo nelle celle di pietra dello Zangre, situate nelle gallerie che scendevano fino ai fiumi. Era infatti certo che laggiù sarebbe riuscito a estorcergli la verità, considerato che, da quando lo aveva conosciuto, non gli era mai capitato di vedere dy Sanda ubriaco.
Su Cazaril ricadde il triste compito d’inventariare e impacchettare i pochi averi di dy Sanda, che sarebbero stati inviati al suo unico parente ancora in vita, un fratello maggiore che risiedeva in una delle province di Chalion. Poi, mentre gli uomini del conestabile setacciavano i bassifondi cittadini alla ricerca dei supposti tagliaborse — fatica inutile, a suo parere -, lui procedette ad analizzare ogni pezzo di carta presente nella stanza di dy Sanda. Quale che fosse stato il contenuto del messaggio che lo aveva attirato nella parte bassa della città, però, dy Sanda doveva averlo ricevuto verbalmente oppure aveva portato il biglietto con sé.
Giacché il defunto segretario non aveva parenti che vivessero abbastanza vicini da poter assistere al funerale, il rito si svolse il giorno successivo, alla presenza del Royse, della Royesse e del loro seguito, come pure di alcuni cortigiani ansiosi di conquistarsi il loro favore. La cerimonia si tenne nella camera del Figlio, su un lato del cortile principale del Tempio, e fu piuttosto breve. Nel prendervi parte, Cazaril si rese improvvisamente conto di quanto fosse stata solitaria la vita dy Sanda. Non c’erano amici intorno al feretro che si disputavano l’onore di elogiare le virtù del defunto, non c’erano pianti né tentativi di confortarsi a vicenda. Fu lo stesso Cazaril a pronunciare poche parole di rammarico per quella perdita, per conto della Royesse, e riuscì ad arrivare in fondo al discorso senza neppure dover sbirciare sul pezzo di carta sul quale lo aveva affrettatamente composto, quella mattina, e che teneva nella manica.
Cazaril si ritrasse quindi dalla bara per lasciare il posto alla benedizione degli animali e si unì alla piccola folla raccolta vicino all’altare. Gli Accoliti, vestiti ciascuno coi colori del Dio cui si erano votati, si fecero avanti con le loro bestiole e si disposero intorno alla cassa in cinque punti equidistanti. Nei Templi di campagna, per quel rito veniva utilizzato l’insieme più assurdo di animali. Una volta, per la figlia defunta di un uomo privo di mezzi, Cazaril lo aveva visto eseguire da un unico Accolita, munito di un cesto contenente cinque gattini, ciascuno con un nastro di colore diverso legato intorno al collo.
I roknari, invece, usavano spesso i pesci, anche se il loro numero sacro era il quattro e non il cinque. I Divini della fede Quadripartita contrassegnavano i pesci con la tintura e interpretavano la volontà degli Dei in base alle figure che essi creavano nuotando in una vasca. Quali che fossero i mezzi utilizzati, comunque, quel messaggio di commiato era l’unico, minuscolo miracolo che gli Dei concedevano a ogni persona defunta, per quanto umile fosse la sua condizione sociale.
Naturalmente il Tempio di Cardegoss aveva risorse tali da potersi permettere i più splendidi animali sacri, selezionati secondo il colore e il sesso più appropriati. L’Accolita della Figlia, avvolta nelle sue ampie vesti azzurre, era accompagnata da una ghiandaia femmina dalla bellissima cresta azzurra, nata la primavera precedente; l’Accolita della Madre, abbigliata in verde, teneva invece sul braccio un grande uccello verde che, a parere di Cazaril, era strettamente imparentato con quelli presenti nel serraglio del Roya. Vestito in rosso e arancio, l’Accolita del Figlio aveva con sé uno splendido cucciolo maschio di volpe, il cui manto rossiccio pareva risplendere come fuoco nella cupa atmosfera dell’echeggiante camera a volta; l’Accolita del Padre, tutto in grigio, era accompagnato da un anziano, robusto e dignitoso lupo grigio. Quanto all’Accolita del Bastardo, avvolta in vesti candide, Cazaril si era aspettato di vederla con uno dei corvi sacri della Torre di Fonsa; invece la donna teneva tra le braccia un paio di grassi ratti bianchi dall’aria curiosa.