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«Che intendete?» fu pronto a sfidarlo Teidez.

«Chiedo scusa», mormorò Cazaril, intimidito. «Ho parlato a sproposito.»

«Qual è la differenza?» insistette Teidez.

«Spiegatevi, Castillar», intervenne la Provincara, tamburellando con le dita sulla tovaglia e scoccando a Cazaril un’occhiata indecifrabile.

«La differenza, Royse, è che un abile soldato uccide i nemici, mentre un abile spadaccino uccide gli alleati», rispose Cazaril, scrollando le spalle e accennando un inchino in direzione del ragazzo. «Lascio a voi immaginare quale dei due un comandante saggio preferisca avere al suo fianco.»

«Oh», commentò Teidez, poi assunse un’espressione pensosa.

A quanto pareva, non c’era nessuna fretta di restituire il libriccino del mercante alle autorità, cosa che non avrebbe comunque comportato nessuna difficoltà. L’indomani, Cazaril poteva recarsi, con comodo, al Tempio della Sacra Famiglia, lì a Valenda, e consegnarlo, in modo che venisse inoltrato a chi di dovere. Bisognava decifrarlo, certo, un’operazione che alcuni trovavano noiosa o difficile, ma che a lui era sempre piaciuta. Si chiese persino se fosse il caso di offrirsi di provvedere alla decifrazione. Abbassò una mano ad accarezzare la morbida lana della veste, lieto ancora una volta di aver pregato per l’anima di quell’uomo, mentre il suo corpo veniva affrettatamente bruciato.

«Chi era il giudice, padre?» domandò Betriz, che aveva assunto un’espressione accigliata.

«L’Onorevole Vrese», rispose dy Ferrej, dopo una lieve esitazione, accantonata con una scrollata di spalle.

«Ah, lui», commentò la Provincara, arricciando il naso come se avesse sentito un odore sgradevole.

«Lo spadaccino lo ha forse minacciato?» chiese la Royesse Iselle. «In tal caso, non avrebbe dovuto… chiedere aiuto o far arrestare dy Naoza?»

«Dubito che perfino dy Naoza fosse tanto stupido da minacciare un Justiciar della provincia», replicò dy Ferrej. «Anche se è possibile che abbia intimidito i testimoni. Quanto a Vrese… È più probabile che sia stato gestito con metodi più pacifici.» S’infilò in bocca il pezzetto di pane che aveva in mano e sfregò l’indice e il pollice, a indicare che il mezzo utilizzato era stato il denaro.

«Se il giudice avesse fatto il suo mestiere con onore e con coraggio, quel mercante non sarebbe mai stato spinto a ricorrere alla magia di morte», dichiarò Iselle, scandendo le parole. «Due uomini sono ormai morti e dannati, mentre questa sorte sarebbe dovuta toccare a uno soltanto… Senza contare che, se fosse stato giustiziato, dy Naoza avrebbe avuto modo di purificare la propria anima prima di affrontare gli Dei. Se queste cose sono risapute, come mai quell’uomo è ancora un giudice? Nonna, non puoi fare qualcosa al riguardo?»

«La nomina dei Justiciar provinciali non dipende da me, mia cara, e neppure la loro rimozione…» rispose la Provincara con espressione contrariata. «Il loro dipartimento sarebbe gestito in maniera più ordinata, te lo garantisco.» Bevve un sorso di vino; poi, nel notare l’espressione accigliata della nipote, aggiunse: «Qui, nella Baocia, ho grandi privilegi, bambina, ma non ho grandi poteri».

Iselle lanciò un’occhiata a Teidez, poi una a Cazaril, ripetendo la stessa domanda posta poco prima dal fratello, ma con voce molto seria. «Qual è la differenza?»

«Una cosa è il diritto a governare… e a elargire protezione; un’altra è il diritto a ricevere protezione», spiegò la Provincara. «Purtroppo, fra un Provincar e una Provincara esiste una differenza che va ben oltre una semplice lettera in più o in meno nel titolo.»

«Come la differenza tra un Royse e una Royesse?» sogghignò Teidez.

«Davvero?» ribatté Iselle, girandosi a fissarlo con le sopracciglia inarcate. «In tal caso, ragazzo privilegiato, posso sapere come ti proponi di rimuovere quel giudice corrotto?»

«Ora basta, voi due», intervenne la Provincara, nel tipico tono di una nonna abituata a essere obbedita. Cazaril sorrise. All’interno di quelle mura, lei era senza dubbio la sovrana assoluta, in virtù di un codice più antico di quello di Chalion, e quel piccolo Stato le era più che sufficiente.

La conversazione si spostò quindi su argomenti più leggeri, mentre i servi provvedevano a portare formaggio, dolci e un vino di Brajar. Cazaril si era rimpinzato per bene, anche se sperava che nessuno se ne fosse accorto, e sapeva di dover smettere se non voleva correre il rischio di sentirsi male. Ma la vista di quel vino da dessert di colore dorato gli fece quasi salire le lacrime agli occhi e lui non seppe trattenersi dal gustarlo senza allungarlo con l’acqua, anche se si limitò a un bicchiere soltanto.

Il pasto fu concluso da altre preghiere di ringraziamento, poi il Royse Teidez venne trascinato via dal suo tutore per riprendere gli studi; subito dopo, anche Iselle e Betriz si allontanarono a passo spedito, seguite con più calma da dy Ferrej, per andare a dedicarsi al cucito.

«Riusciranno davvero a starsene sedute a cucire?» chiese Cazaril alla Provincara, osservando quel vortice di sottane che svanivano in lontananza.

«Spettegolano e ridacchiano finché non riesco più a sopportarle, ma sono molto brave a cucire», replicò la Provincara, il cui tono di disapprovazione era smentito dalla luce dello sguardo.

«Vostra nipote è una deliziosa giovane dama.»

«Cazaril, quando un uomo raggiunge una certa età, tutte le giovani dame cominciano ad apparirgli deliziose. È il primo sintomo di senilità.»

«È vero, mia signora», convenne Cazaril, con un accenno di sorriso.

«Iselle ha già logorato due governanti, e pare ben avviata a distruggerne una terza, almeno a giudicare dalle sue lamentele, e tuttavia… dev’essere forte», affermò la Provincara, con una nota cauta nella voce tagliente. «Un giorno, inevitabilmente, verrà mandata lontano da me, e non sarò più in grado di aiutarla… di proteggerla…»

Nella politica di Chalion, una giovane e attraente Royesse era una pedina e non un giocatore. Senza dubbio, il prezzo che avrebbero richiesto per darla in sposa sarebbe stato elevato, eppure un matrimonio politicamente e finanziariamente fortunato poteva non essere tale da un punto di vista più intimo e personale. Da quel punto di vista, il destino era stato benigno con la Provincara, ma, nel corso della sua vita, lei di certo aveva visto numerose dame di nobile nascita andare incontro a una sorte molto meno favorevole della sua. Iselle sarebbe stata inviata nella lontana Darthaca? Oppure sarebbe andata in sposa a qualche cugino anche troppo prossimo della royacy di Brajar? Oppure, che gli Dei non volessero, sarebbe stata contrattata la sua unione con qualche principe roknari in cambio di una pace temporanea, e lei avrebbe finito per trovarsi esiliata nell’Arcipelago?

«Quanti anni avete adesso, Castillar?» chiese la Provincara, scoccandogli un’occhiata in tralice alla luce dei grandi candelabri che le erano sempre piaciuti molto. «Mi pare di ricordare che ne avevate tredici, quando vostro padre vi ha inviato al servizio del mio caro Provincar.»

«Sì. Vostra Grazia. Adesso ne ho trentacinque.»

«Ah. Sapete, dovreste radervi quel cespuglio che vi cresce sulla faccia, perché vi fa sembrare quindici anni più vecchio.»

Cazaril pensò di ribattere che una lunga permanenza sulle galee dei roknari poteva invecchiare notevolmente un uomo, ma quella era una cosa su cui non si sentiva di scherzare. «Spero di non aver irritato il Royse con le mie divagazioni, Vostra Grazia», disse invece.

«Credo invece che voi abbiate indotto il giovane Teidez a soffermarsi a riflettere, il che è un evento raro. Vorrei che il suo tutore riuscisse a fare altrettanto con maggiore frequenza.» La Provincara tamburellò per un momento sulla tovaglia con le dita sottili, poi finì il vino che aveva nel bicchiere e aggiunse: «Non so in quale pulciosa locanda voi abbiate preso alloggio, giù in città, Castillar, ma adesso manderò un paggio a prendere le vostre cose. Stanotte vi fermerete qui».