Grazie alla previdenza di Lady dy Baocia, un piccolo coro di cantori di preghiere accompagnò la coppia lungo le scale, soffocando in buona parte, con le sue voci cristalline, la cacofonia di licenziosi suggerimenti che giungeva dal basso. Soffusa in volto di un delicato rossore, con gli occhi che brillavano come stelle, Iselle si affacciò infine dall’alto della galleria insieme con Bergon, rivolgendo a tutti un sorriso di ringraziamento accompagnato da una piccola pioggia di fiori. Poi gli sposi scomparvero nell’appartamento nuziale, le porte si chiusero alle loro spalle e due ufficiali baociani presero posto sulla galleria per proteggere il riposo della coppia. Di lì a poco, tutti i servi e gli assistenti uscirono dall’appartamento, inclusa Betriz, che venne immediatamente requisita da Palli e da dy Tagille per altri giri di danza.
I festeggiamenti si protrassero fino all’alba, ma, con sollievo di Cazaril, una pioggerella sottile cominciò ben presto a cadere, costringendo musici e ballerini ad abbandonare il cortile su cui si affacciava la sua stanza per rifugiarsi nell’edificio vicino. Aggrappandosi alla ringhiera, Cazaril salì le scale verso la sua camera, sul lato della galleria opposto rispetto all’appartamento del Royse e della Royesse. Il mio dovere si è concluso, pensava. Che farò, adesso? Non ne aveva la minima idea. Sapeva soltanto che un immenso terrore sembrava svanito dal suo animo. Lui sarebbe vissuto e morto a causa delle scelte fatte… e degli errori commessi. Rifiuto di avere rimpianti, e non intendo guardarmi alle spalle, si disse.
Quello era un momento di equilibrio, la cuspide tra passato e futuro.
L’indomani, sarebbe andato a cercare quel piccolo giudice, la cui compagnia avrebbe forse dato sollievo alla sua solitudine.
A dire il vero, non sono solo, non abbastanza, pensò di lì a poco, quando gli incoerenti, osceni ululati di Dondo, liberati come sempre nell’ora della sua morte, presero a ruggire nella sua mente. Quella notte, lo spettro sembrava in preda a una furia più selvaggia che mai, tanto che le ultime vestigia di sanità mentale che esso conservava parevano essersi del tutto dissolte. Immaginando il motivo di quella rabbia, e nonostante il dolore che gli straziava il ventre, Cazaril non poté fare a meno di sorridere.
La violenza di quell’aggressione era tale che quasi perse i sensi. Poi però si costrinse a riscuotersi, terrorizzato dalla possibilità che Dondo, scatenato com’era, potesse impadronirsi del suo corpo mentre lui era ancora vivo e usarlo per qualche vile attacco ai danni di Iselle e di Bergon. Per parecchio tempo si contorse sul freddo pavimento di legno, reprimendo le urla e le oscenità che cercavano di uscirgli dalla bocca, senza più sapere con certezza a chi appartenessero quelle parole.
Quando tutto infine cessò, si ritrovò a terra, con la camicia da notte arrotolata intorno alla persona, le unghie spezzate e insanguinate; nel corso della crisi aveva vomitato, e adesso giaceva in mezzo alla sua stessa sporcizia, con la barba umida della schiuma che gli si era formata intorno alle labbra; quanto allo stomaco — Il suo gonfiore grottesco è stato solo un sogno? -sembrava tornato allo stato abituale, anche se tutta l’area addominale doleva e vibrava ancora, come un muscolo sforzato e sottoposto a una fatica eccessiva.
Non posso continuare così ancora per molto, si disse, consapevole che presto o tardi qualcosa avrebbe dovuto cedere… Il suo corpo, la sua sanità mentale, il suo respiro, la sua fede… Qualcosa.
Rialzatosi, ripulì il pavimento, si lavò nella bacinella e indossò una camicia asciutta e pulita. Poi sistemò le coltri, accese tutte le candele presenti nella stanza e strisciò di nuovo nel letto, dove giacque con gli occhi sgranati, fissi sulla luce.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo era trascorso quando le voci sommesse e i passi dei servitori nella galleria lo avvertirono che il palazzo cominciava a svegliarsi. Probabilmente si era assopito, perché le candele si erano spente senza che lui ricordasse di averle viste estinguersi. Una luce grigia filtrava da sotto la porta e intorno alle imposte.
Ben presto sarebbe giunta l’ora delle preghiere del mattino, e quella prospettiva lo consolò, benché l’idea di doversi muovere lo turbasse. Lentamente, si alzò dal letto, dicendosi che quel giorno non sarebbe stato l’unico, a Taryoon, a essere affetto dai postumi di una sbornia, sebbene lui non avesse bevuto così tanto. Dal momento che, in occasione del matrimonio, il lutto era stato accantonato, tra gli indumenti che gli erano stati donati scelse un insieme sobrio, ma nel contempo abbastanza vivace.
Una volta pronto, scese nel cortile, disponendosi ad attendere l’alba e l’arrivo dei giovani sposi. Aveva smesso di piovere, però il cielo era ancora velato di nubi. Dopo aver asciugato col fazzoletto il bordo di pietra della fontana, si sedette su di esso e scambiò un sorriso e qualche parola con un’anziana serva, che portava sulle braccia alcune lenzuola ripiegate; in fondo al cortile, un corvo stava zampettando alla ricerca di frammenti di cibo, ma, pur lanciando un’occhiata a Cazaril, non rivelò un particolare interesse nei suoi confronti. E lui si sentì più che altro sollevato da quella dimostrazione d’indifferenza.
Finalmente, sulla galleria, le porte che lui stava tenendo d’occhio si aprirono, le assonnate guardie baociane si misero sull’attenti e dall’interno giunsero alcune voci femminili, miste a una voce maschile bassa e allegra. Poi Bergon e Iselle fecero la loro apparizione, vestiti per le preghiere del mattino, la mano di lei posata con leggerezza sul braccio del marito. Nel girarsi per scendere le scale a fianco a fianco, uscirono dalla zona d’ombra della galleria.
No… L’ombra li stava seguendo.
Cazaril serrò gli occhi, poi tornò ad aprirli… e il respiro gli si bloccò in gola: la nube soffocante che aveva avvolto Iselle era ora avviluppata anche intorno a Bergon.
Nello scendere le scale, i due giovani si stavano scambiando un sorriso. La notte precedente erano apparsi eccitati, stanchi e un po’ atterriti, ma quella mattina avevano l’aspetto di due innamorati… e la coltre di oscurità ribolliva intorno a entrambi come fumo da una nave in fiamme.
«Buongiorno, Lord Caz!» salutò allegramente Iselle, quando entrambi si avvicinarono.
«Non vorresti unirti a noi?» sorrise Bergon. «Stamattina abbiamo molte cose di cui rendere grazie insieme, giusto?»
«Io… io… vi raggiungerò tra poco», balbettò Cazaril, abbozzando una parvenza di sorriso. «Ho lasciato una cosa nella mia stanza.»
Poi si alzò, precipitandosi verso le scale. Arrivato sulla galleria, si girò di nuovo a guardarli mentre attraversavano il cortile, sempre seguiti da una scia d’ombra.
L’istante successivo si sbatté alle spalle la porta della propria stanza e rimase immobile, col respiro affannoso, quasi in lacrime. «Oh, per gli Dei… Che cosa ho fatto?» gemette. «Non ho liberato Iselle, ho esteso la maledizione a Bergon!»
26
Sgomento e avvilito, Cazaril rimase nella propria camera per tutta la mattina, ma nel pomeriggio un paggio venne a bussare alla sua porta, comunicandogli che il Royse e la Royesse desideravano che lui li raggiungesse nelle loro stanze. Per un momento, lui prese in considerazione l’eventualità di fingersi malato e, sebbene non avesse bisogno di sforzarsi per apparire tale, poi si rese conto che di certo Iselle avrebbe fatto accorrere uno stuolo di medici perché si prendessero cura di lui… e il ricordo dell’ultima esperienza in quel senso, con Rojeras, lo faceva ancora rabbrividire. Con estrema riluttanza, si assestò gli abiti e percorse la galleria fino all’appartamento reale.