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Le alte finestre incassate nelle pareti erano aperte per lasciar entrare la fresca aria primaverile, e Iselle e Bergon, ancora abbigliati con eleganza per aver partecipato al banchetto dato in loro onore presso il palazzo del March dy Huesta, lo stavano attendendo, l’uno seduto accanto all’altra, vicino a un tavolo su cui spiccavano carta, pergamena e alcune penne nuove. Sul lato opposto del tavolo, poi, c’era una sedia pronta. Le due teste, l’una castana e l’altra ambrata, erano accostate in una sommessa conversazione, e l’ombra fluiva ancora intorno a entrambi, vischiosa come pece bollente. Nel sentire il rumore dei suoi passi, i due giovani sollevarono lo sguardo con un sorriso, cui lui rispose con un inchino, umettandosi nervosamente le labbra.

«Adesso bisogna subito scrivere una lettera a mio fratello Orico, per informarlo di ciò che è successo e garantirgli la nostra più fedele sottomissione», esordì Iselle, indicando i fogli bianchi. «Credo che dovremmo includere alcuni stralci del contratto di matrimonio, quelli più favorevoli a Chalion, per aiutarlo a riconciliarsi col fatto compiuto. Cosa ne pensate?»

Cazaril si schiarì la gola e deglutì.

«Caz, sei pallido come un… Sei molto pallido. Sei certo di stare bene?» domandò Bergon, aggrottando le sopracciglia. «Per favore, siediti.»

Cazaril riuscì a scuotere il capo in maniera appena percettibile, tentato dal cercare rifugio dietro una menzogna… o piuttosto una mezza verità, dato che in effetti si sentiva tutt’altro che bene. «No, non sto bene, e non c’è nulla che vada bene», sussurrò, piegando a terra un ginocchio davanti al Royse, mentre continuava: «Ho commesso un terribile errore. Mi dispiace, mi dispiace davvero».

«Lord Caz…» cominciò Iselle, il cui volto stupito, e d’un tratto guardingo, appariva ora sfocato agli occhi di Cazaril.

«Il matrimonio…» disse lui, costringendosi a parlare. «Il matrimonio non ha annullato la maledizione da Iselle, come speravo. L’ha estesa a tutti e due.»

«Come?» sussurrò Bergon.

«E adesso io non so più che cosa fare…» completò Cazaril, con voce incrinata dal pianto.

«Come fate a saperlo?» domandò Iselle.

«Vedo il manifestarsi della maledizione, e lo vedo intorno a tutti e due, addirittura più scura e spessa, più avvolgente.»

«Io… Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato, in qualche modo?» chiese Bergon, che appariva sgomento.

«No, no. Dal momento che Sara e Ista, unendosi in matrimonio con un membro della Casa di Chalion, erano rimaste contagiate dalla maledizione, pensavo che ciò dipendesse dalla differenza tra uomini e donne… Insomma, credevo che la maledizione seguisse in qualche modo la linea di discendenza maschile degli eredi di Fonsa, accompagnandosi al titolo.»

«Ma anch’io sono un’Erede di Fonsa, e carne e sangue non sono semplici nomi», osservò Iselle, scandendo le parole. «Quando due persone si sposano, ciò non significa che una scompaia e che l’altra rimanga… Si tratta di un’unione, non della consumazione dell’una da parte dell’altra. Oh, non c’è nulla che possiamo fare? Ci dev’essere una soluzione!»

«Ista mi ha detto…» cominciò Cazaril, poi s’interruppe, perché non era certo di voler riferire la storia di Ista a quei due giovani tanto determinati. A Iselle poteva venire qualche idea… L’ignoranza non è stupidità, ma può benissimo diventarlo, così aveva protestato Iselle, e adesso era troppo tardi per tenerla al riparo dalla realtà. Sulla scorta dell’ira degli Dei, sarebbe diventata la prossima Royina di Chalion e, al diritto di governare, si accompagnava il dovere di proteggere, per cui il privilegio di ricevere protezione doveva essere abbandonato, come i giocattoli dell’infanzia. E ciò valeva soprattutto per la protezione da amare verità. «Ista mi ha detto che esiste un altro modo», confessò infine. Poi, rialzatosi, si lasciò cadere pesantemente sulla sedia e, con voce rotta, in termini tanto scarni da apparire quasi brutali, riferì la storia narrata da Ista riguardo a Lord dy Lutez, al Roya Ias e alla visione che lei stessa aveva ricevuto dalla Dea. Parlò di quelle due notti infernali nelle segrete dello Zangre, dell’uomo prima legato e poi calato nella vasca di acqua gelida. Entrambi i giovani lo fissavano con sgomento, pallidi in volto. «Dalla notte in cui ho cercato di barattare la mia vita con la morte di Dondo, ho pensato… ho temuto… di essere io la persona giusta», continuò Cazaril. «E l’idea di essere il prescelto mi ha terrorizzato. Ista mi ha definito ’il dy Lutez di Iselle’… Se fossi convinto dell’utilità di un simile gesto, vi giuro, al cospetto degli Dei, che vi chiederei di portarmi fuori adesso e di annegarmi nella fontana del cortile, due volte. Ormai però non posso più essere la vittima sacrificale: la mia seconda morte sarà anche l’ultima, perché il demone della morte volerà via con la mia anima e con quella di Dondo. Non vedo proprio come potrei rientrare nel mio corpo…» E si sfregò col dorso della mano il volto bagnato di lacrime.

Bergon fissò la moglie con tanta intensità da dare l’impressione di volerla consumare con lo sguardo. «E se ci provassi io?» chiese infine, con voce roca.

«Come?» esclamò Iselle.

«Sono venuto qui per salvarti da questa cosa… L’unica differenza sta nel modo, che, lo ammetto, sarà un po’ più sgradevole del previsto… Comunque non ho paura dell’acqua. Che ne dite di provare ad annegare me?»

Le proteste di Cazaril e di Iselle si sovrapposero per qualche istante, poi Cazaril, con un cenno della mano, invitò la Royesse a parlare.

«È già stato tentato una volta», ribadì lei. «E non ha funzionato. Non intendo annegare nessuno di voi due! E neppure impiccarvi o fare qualsiasi altra orribile cosa che vi possa venire in mente. No!»

«Inoltre la Dea ha detto che un uomo avrebbe dovuto dare tre volte la vita per la Casa di Chalion, e non che si dovesse trattare di un uomo della Casa di Chalion», rammentò loro Cazaril. Almeno così aveva detto Ista… Però lei aveva ripetuto il messaggio della sua visione usando le stesse parole della Dea, oppure nella sua versione si annidava qualche fatale errore? Quale che fosse la verità, comunque non aveva importanza, se il contenuto di quelle parole poteva trattenere Bergon dal mettere in atto il suo orribile piano. «Non credo che si possa infrangere la maledizione dall’interno, altrimenti sarebbe stato Ias, e non dy Lutez, a calarsi in quella botte…» proseguì Cazaril. «E adesso tu sei dentro la maledizione, Bergon. Possano i cinque Dei perdonarmi per questo.»

«E in ogni caso quella soluzione ha qualcosa di sbagliato», aggiunse Iselle, socchiudendo gli occhi. «Sembra una specie d’imbroglio. Qual era il consiglio che avete ricevuto dal santo Umegat, quando gli avete chiesto cosa fare? Mi riferisco a quella faccenda dei doveri quotidiani…»

«Ha detto che avrei dovuto svolgere i miei doveri quotidiani, come si fossero presentati.»

«Benissimo. In tal caso, gli Dei non hanno ancora finito di occuparsi di noi», rifletté Iselle, tamburellando con le dita sulla superficie del tavolo. «Stavo pensando… Mia madre ha generato due figli per la Casa di Chalion, però non ha mai avuto la possibilità di tentare una terza gravidanza, e quello è senza dubbio un dovere imposto dagli Dei.»

Cazaril si soffermò a considerare lo scempio che la maledizione avrebbe potuto causare, unendosi ai rischi connessi a una gravidanza e a un parto, proprio come si era unita alle fortune militari di Ias e di Orico, e fu percorso da un brivido. Alla luce di quella situazione, la sterilità di Sara era il minore fra tutti i possibili disastri. «Per i cinque Dei, Iselle, credo che fareste meglio a ficcare me in quella botte!» esclamò.