Fu così che quella stessa notte, all’ora in cui la maggior parte della gente stava ormai andando a letto, Cazaril sovrintese alla partenza di una dozzina di uomini, accompagnati dal March dy Sould, in qualità di testimone e di portavoce di Bergon, e consegnò i documenti ufficiali a un Divino anziano, un nobile che aveva raggiunto un rango elevato in seno all’Ordine del Padre. Dopo che gli ambasciatori ebbero lasciato la Piazza del Tempio, Palli riaccompagnò Cazaril al Palazzo dy Baocia e gli augurò la buonanotte.
Non più impegnato a organizzare la delegazione, Cazaril, salendo i gradini verso la galleria, sentì il proprio passo farsi pesante. La sua maledizione era un fardello segreto che faceva affondare anche le speranze più luminose. Senza dubbio, una dozzina di anni prima, Orico aveva dato inizio al proprio regno con lo stesso entusiasmo e lo stesso impegno di Iselle, convinto che, con la dedizione e la buona volontà, avrebbe sopraffatto il nero miasma della maledizione. Però tutto era andato per il verso sbagliato…
Cazaril rifletté che poteva succedergli di peggio che diventare «il dy Lutez di Iselle»; poteva diventare «il suo dy Jironal». Prima d’impazzire, quanto avvilimento e quanta corruzione poteva tollerare l’animo di un uomo fedele, contemplando il lento dissolversi della speranza e della giovinezza che cedevano il posto alla vecchiaia e alla disperazione? Eppure,
quali che fossero stati i suoi cedimenti e i suoi vizi, Orico aveva resistito abbastanza a lungo da dare una possibilità alla generazione successiva. Aveva puntellato una diga di sventura, annegando allorché essa era crollata, ma dando agli altri il tempo di salvarsi dall’onda di piena.
Rientrato nella sua camera, Cazaril si preparò per andare a letto e si dispose a far fronte al consueto attacco notturno. Quella sera, però, Dondo sembrava stranamente passivo. Era forse esausto? O stava raccogliendo le forze, in attesa di chissà cosa? Nonostante quella presenza malevola e le nefaste promesse che racchiudeva, Cazaril non tardò ad addormentarsi.
Un servitore venne a svegliarlo un’ora prima dell’alba e, a lume di candela, lo precedette nel cortile, dove il seguito personale della coppia reale avrebbe tenuto la sua santa veglia. L’aria era gelida e nebbiosa, ma alcune stelle che brillavano debolmente nel cielo promettevano un’alba serena. Alcune stuoie di preghiera in stile ibrano erano state disposte intorno alla fontana centrale, e ciascuno dei presenti si sistemò su una di esse, in ginocchio o prono, a seconda del suo stato d’animo. Iselle e Bergon presero posto l’una accanto all’altro e Lady Betriz si sistemò tra la Royesse e Cazaril. Dy Tagille e dy Cembuer sopraggiunsero sbadigliando e si sistemarono nella cerchia esterna di stuoie, insieme con una mezza dozzina di persone di rango inferiore. Quando furono tutti presenti, un Divino del Tempio li guidò in una breve preghiera comune, poi li invitò a meditare sulle benedizioni racchiuse in quel cambio di stagione, mentre in tutta Taryoon si provvedeva a estinguere i fuochi invernali. A quel punto, vennero spente le candele e sul gruppo scesero il silenzio e una profonda oscurità.
Prostratosi sulla sua stuoia, con le braccia davanti a sé, Cazaril recitò mentalmente le due preghiere primaverili che conosceva, ripetendole tre volte ciascuna, poi lasciò i propri pensieri liberi di fluire, pensando che così, nella sua mente, sarebbe sceso il silenzio e allora forse avrebbe potuto sentire… che cosa?
Betriz lo aveva accusato di cambiare argomento quando gli risultava troppo difficile dare una risposta, e quella era una cosa che aveva cercato di fare anche con gli Dei. Ma non li aveva ingannati, proprio come non era riuscito a ingannare Betriz. A Ista era stata data la possibilità di annullare la maledizione, però aveva fallito, e sembrava che quel fallimento si fosse esteso a tutta la sua generazione. Ciò significava che se lui avesse fallito, non gli sarebbe stata data la possibilità di fare un secondo tentativo, che Iselle o Bergon, o forse entrambi, sarebbero diventati il nuovo Orico e avrebbero dovuto tenere a bada la marea sino ad affondare, creando in tal modo un’opportunità per la generazione seguente?
La loro immensa sfortuna sarà costituita dai figli.
Improvvisa, nitida e inconfutabile, quella consapevolezza affiorò nella mente di Cazaril. Tutto il piano di pace e di ordine che Iselle e Bergon stavano elaborando si basava sulla speranza di avere un Erede intelligente e forte che succedesse a entrambi, ma loro avrebbero finito per consumarsi nella disperazione di fronte ad aborti, figli morti, impazziti, esiliati, traditi…
Assalirei il cielo per te, se sapessi dove si trova.
Lui sapeva dove trovarli, sapeva che erano l’altra faccia di ogni persona, di ogni creatura vivente, vicini quanto potevano esserlo le due facce di una moneta o i due lati di una porta. Ogni anima vivente poteva essere un canale d’accesso per gli Dei. Mi chiedo cosa succederebbe se tutti aprissimo il nostro animo contemporaneamente, pensò. Il mondo verrebbe forse inondato dai miracoli, prosciugando i cieli? Cazaril immaginò che i santi fossero una specie di sistema d’irrigazione degli Dei, simile a quello che circondava Zagosur. Una razionale, attenta regolazione delle chiuse permetteva a ciascuna fattoria dell’anima di ricevere la sua giusta porzione di benefici. A lui, però, quell’immagine ricordava soprattutto un’onda di piena, tenuta a bada da una diga che si stava crepando.
Gli spettri erano esuli relegati sul lato sbagliato del confine, anime rivoltate come guanti… Ma perché la cosa non poteva funzionare anche nel senso opposto, perché non ci poteva essere un anti-spettro, in carne e ossa, libero nel mondo dello spirito? Una persona del genere sarebbe risultata invisibile alla maggior parte degli spiriti nonché impotente ad agire nello stesso modo in cui gli spettri erano invisibili agli occhi della maggior parte degli uomini? Se posso vedere gli spettri che sono stati disgiunti dal corpo, perché non riesco a vedere gli spiriti che risiedono ancora nel loro involucro fisico? si chiese. Poi si rese conto che non ci aveva mai provato.
Chiuse gli occhi e cercò di osservare con la vista interiore le persone che in quel momento stavano intorno a lui, ma i suoi sensi erano confusi dalla materia. Su una delle stuoie esterne, qualcuno cominciò a russare e venne svegliato da una gomitata inflitta da un compagno sogghignante. Rinunciando al tentativo, Cazaril si disse che, se avesse funzionato, sarebbe stato come affacciarsi a una finestra e contemplare il paradiso.
Se gli Dei vedevano l’anima delle persone, ma non il loro corpo, proprio come gli esseri umani potevano vedere l’involucro fisico e non lo spirito in esso racchiuso, si capiva perché fossero tanto indifferenti alle apparenze o alle funzioni fisiologiche e magari anche al dolore. Possibile che il dolore fosse soltanto un’illusione, dal loro punto di vista? Forse, il paradiso non era un luogo, ma soltanto un modo di vedere dotato di una prospettiva e di un’angolazione diverse. E, nel momento della morte, noi scivoliamo dall’altra parte, perdiamo l’ancoraggio alla materia per ottenere… che cosa? La morte creava una lacerazione tra i mondi. Una singola morte creava un piccolo squarcio, subito risanato… Di cosa c’era bisogno per aprirne uno più grande? Non un pertugio, ma un passaggio attraverso cui si potessero riversare i sacri eserciti? Se morisse un Dio, che sorta di squarcio si aprirebbe fra terra e cielo? E, a tal proposito, qual era la vera natura della benedizione-maledizione del Generale Dorato? Che sorta di portale aveva aperto per se stesso quel genio roknari, che sorta di canale era stato…
Il ventre rigonfio di Cazaril fu assalito da un crampo, e lui si girò leggermente di lato per alleviare il dolore, pensando che lui, da qualche tempo, era davvero un locus particolare, giacché due esuli del mondo dello spirito erano intrappolati nella sua carne: il demone, che non apparteneva al mondo terreno, e Dondo, che avrebbe dovuto abbandonarlo, ma vi era ancorato dai suoi peccati, per i quali non cercava remissione. No, Dondo non desiderava raggiungere gli Dei, era un agglomerato di volontà egocentrica, una sorta di piombo che lo appesantiva e che stava scavando nel suo corpo con artigli simili a ramponi. Se non fosse stato per Dondo, sarebbe fuggito da quella situazione. Potrei farlo? si chiese, e provò a supporre che quella letale àncora venisse rimossa all’improvviso… miracolosamente. Allora lui sarebbe stato libero di fuggire, ma, in tal caso, non avrebbe mai saputo come si era conclusa quella vicenda.