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Quel Cazaril! Se solo avesse tenuto duro per un altro giorno, per un altro miglio, avrebbe potuto salvare il mondo… Invece si è arreso troppo presto… Ecco, quella sarebbe stata una forma di dannazione tale da far apparire un semplice, anche se bizzarro, divertimento la sorte di uno spettro rifiutato dagli Dei: una vita intera — un’eternità? — trascorsa nel dubbio. D’altro canto, l’unico modo per sapere come sarebbero andate le cose era percorrere la strada sino in fondo, e fino alla sua stessa distruzione. Per i cinque Dei… Devo proprio essere pazzo, perché, sull’onda di questa spaventosa curiosità, potrei percorrere zoppicando tutta la strada fino all’inferno del Bastardo, rifletté.

Sentiva il respiro dei suoi compagni di preghiera e un occasionale frusciare di abiti, sullo sfondo del gorgoglio della fontana, e quei suoni lo confortarono. Si sentiva molto solo, ma, se non altro, era in buona compagnia.

Benvenuto alla santità, Cazaril, pensò, ironico. In virtù della benedizione degli Dei, ora puoi ospitare miracoli! Il problema è che non puoi scegliere quali miracoli accogliere in te… Betriz aveva interpretato le cose esattamente al contrario: non si trattava di assalire i cieli, ma di lasciare che i cieli assalissero te. Un vecchio esperto di assedi poteva imparare ad arrendersi, ad aprire le proprie porte?

Alle vostre mani, o Signori della luce, affido la mia anima. Fate ciò che dovete per risanare il mondo. Io sono al vostro servizio, pregò.

Il cielo si andava rischiarando: il grigiore proprio del Padre dell’Inverno lasciava il posto all’azzurro intenso che era prerogativa della Figlia. Nel cortile ancora in ombra, Cazaril vide le sagome dei suoi compagni che cominciavano a tingersi di colori, dono della luce, e a proiettare tenui ombre, in quell’umida alba pervasa dell’intenso profumo dei fiori d’arancio e di quello più tenue dei capelli di Betriz. Sentendosi freddo e irrigidito, si sollevò infine sulle ginocchia.

In quel momento, in un punto imprecisato del palazzo, il grido rabbioso di un uomo fendette l’aria. Poi una donna urlò.

27

Appoggiandosi su una mano, Cazaril si alzò e spinse indietro la sopravveste per liberare l’elsa della spada, imitato dagli altri. Tutti si guardavano intorno con aria allarmata.

«Dy Tagille, va’ a vedere», ordinò Bergon, rivolgendo un cenno al compagno ibrano che annuì e si allontanò di corsa.

«Sarà meglio sbarrare le porte», suggerì dy Cembuer, che aveva ancora il braccio destro appeso al collo con una fascia. Poi liberò l’elsa della spada e si avviò per seguire l’altro nobile.

Cazaril lasciò correre lo sguardo per il cortile, osservando l’arcata di accesso, il cui cancello in ferro battuto era rimasto spalancato dopo il passaggio di dy Tagille, e chiedendosi se ci fossero altri ingressi.

«Royesse, Royse, Betriz… Non dovete rimanere intrappolati qui», disse, correndo per seguire dy Cembuer, col cuore che già gli martellava nel petto. Se solo fosse riuscito a portarli fuori di lì prima che…

Un paggio arrivò a precipizio proprio nel momento in cui dy Cembuer raggiungeva il cancello. «Signori, aiuto! Uomini armati hanno fatto irruzione nel palazzo!» gridò, guardandosi con terrore alle spalle.

In effetti, due uomini con la spada in pugno stavano sopraggiungendo di corsa sulla scia del paggio e dy Cembuer, che stava cercando di chiudere il cancello con la mano sinistra, impacciata dalla spada, riuscì a stento a schivare il primo colpo. Poi Cazaril si lanciò all’attacco con un fendente troppo affrettato e mal diretto, che il suo avversario parò. L’urto del metallo contro il metallo riecheggiò per tutto il cortile.

«Andate via!» urlò, da sopra la spalla. «Passate per i tetti, se necessario!» Fugacemente si chiese se Iselle sarebbe riuscita ad arrampicarsi, con indosso gli abiti di gala, ma non poté neppure girarsi per vedere se il suo ordine era stato seguito, perché il suo avversario si era ripreso e lo stava incalzando. Quei bravacci — o soldati o qualsiasi cosa fossero — indossavano abiti da comuni cittadini, senza colori o stemmi che li identificassero, probabilmente per infiltrarsi in città in piccoli gruppi, mescolandosi alla folla di quel giorno di festa.

Dy Cembuer attaccò un avversario, ma un violento colpo di risposta lo raggiunse al braccio rotto, con un impatto che lo fece impallidire e ricadere all’indietro con un grido soffocato. In quel momento, un soldato svoltò l’angolo e prese a correre verso l’arcata. Nel notare che portava i colori baociani, verde e nero, per un momento Cazaril provò un impeto di speranza… Ma poi riconobbe in lui il corrotto capitano delle guardie di Teidez. A quanto pareva, stava diventando sempre più esperto nell’arte del tradimento.

Nel vedere Cazaril, il capitano baociano ritrasse le labbra in un ringhio e serrò la spada con maggior determinazione, andando ad affiancarsi al compagno contro cui il Castillar già stava combattendo. Cazaril avrebbe voluto chiudere il cancello, ma non aveva né il tempo né le mani libere per farlo. Per di più, l’avversario di dy Cembuer era caduto attraverso la soglia, bloccandola. Cazaril, però, non osava neppure indietreggiare, perché quella strettoia costringeva gli avversari ad affrontarlo uno per volta, ed era il punto migliore per una difesa a oltranza. La mano gli si stava già intorpidendo per le vibrazioni che ogni impatto sulla lama trasmetteva all’impugnatura, e il ventre era contratto dai crampi, ma ogni suo respiro affannoso garantiva un altro passo alla fuga di Bergon, Iselle e Betriz. Un passo, due passi, cinque… Dov’era dy Tagille? Nove passi, undici… Quanti altri aggressori sarebbero giunti oltre a quelli? La sua lama staccò un pezzo di mascella al primo avversario, che barcollò all’indietro con un grido di dolore. Ma ciò permise al capitano di attaccare da un’angolazione migliore. Cazaril notò che aveva ancora al dito l’anello con lo smeraldo donatogli da Dondo, che scintillava a ogni movimento della spada. Quaranta passi, cinquanta…

Cazaril stava lottando in preda a un’esaltazione che nasceva dal terrore, così pressato dalla necessità di difendersi da non avere il tempo di riflettere sui pericoli sovrannaturali connessi, per esempio, a un affondo, in seguito al quale il demone della morte avrebbe potuto strappargli l’anima dal corpo e portarla via insieme con quella della sua vittima morente. Il suo mondo si era ristretto in modo sorprendente e lui non desiderava uscire vittorioso da quella giornata o da quello scontro, e neppure salvarsi la vita. Per lui contavano soltanto i passi dei suoi protetti in fuga, e ognuno di essi era una piccola vittoria. Sessanta passi… Accorgendosi che stava perdendo il conto, ricominciò da capo. Uno. Due. Tre…

Adesso probabilmente morirò, si disse. Morire due volte però non sarebbe servito ad annullare la maledizione, e ciò fece divampare nel suo animo una rabbia folle. Non posso morire abbastanza! Il suo braccio, ormai stanco, tremava: per difendere quel cancello ci sarebbe voluto uno spadaccino, non un segretario, ma la veglia privata della Royesse aveva coinvolto soltanto una manciata di nobili. Possibile che nessuno stesse arrivando alle sue spalle per dargli aiuto? Anche i servitori più anziani avrebbero potuto afferrare qualche oggetto e scagliarlo contro i nemici… Ventidue…