E adesso mettiamoci all’opera, sussurrò la Signora. Apriti a me, dolce Cazaril.
Posso guardare? domandò lui, con voce tremula.
È permesso, almeno finché riuscirai a tollerarlo.
Cazaril si abbandonò, pervaso da una sorta di languore, mentre la Dea fluiva attraverso lui e nel mondo, poi le labbra gli s’incurvarono in un sorriso, o almeno cercarono di farlo, perché il suo corpo fisico era ancora rallentato nei movimenti al pari di quello degli altri uomini nel cortile. A tutti sembrò che soltanto in quell’istante lui si stesse accasciando sulle ginocchia. Davanti a lui, il cadavere di dy Jironal non era ancora crollato a terra, anche se, negli spasimi della morte, la sua mano aveva abbandonato la presa sulla spada. Poco lontano, dy Cembuer si stava sollevando sul braccio sano, la bocca aperta in un urlo che prima o poi sarebbe scaturito dalle sue labbra, suonando come «Cazaril!» e tutt’intorno gli uomini si stavano prostrando al suolo o si davano alla fuga.
Sotto i suoi occhi, la Dea trasse a sé la maledizione di Chalion, come se si fosse trattato di uno spesso filo di lana nera che Lei raggomitolò nelle mani, rimuovendola da Iselle e da Bergon, che si trovavano da qualche parte nelle strade di Taryoon, da Ista a Valenda e da Sara a Cardegoss, estraendola dalla terra di Chalion, da montagna a montagna, da fiume a pianura, senza però che Cazaril riuscisse a scorgere anche Orico in mezzo a quella nebbia scura. La Signora fece poi scorrere attraverso Cazaril quella sorta di lana nera, lo usò come un portale per fluire nell’altro regno, dove la sua oscurità scomparve ed essa diventò qualcosa di diverso… Cazaril non avrebbe saputo dire se un filo o un flusso di scintillante acqua limpida, di vino o di qualcosa di ancor più meraviglioso.
Un’altra Presenza, solenne e grigia, era in attesa e raccolse quel flusso, assorbendolo con un sospiro che esprimeva sollievo, completamento, equilibrio. Quello era il sangue di un Dio, versato, contaminato, assorbito, ripulito e finalmente restituito…
Non capisco. Ista si è sbagliata? Oppure ho sbagliato io a calcolare le mie morti? chiese Cazaril.
Pensaci bene… rise la Dea.
Poi quella vasta Presenza si riversò fuori del mondo, attraversandolo come un fiume che finisse in una cascata, accompagnata da una musica trionfante la cui bellezza, lui comprese con un senso di rammarico, non avrebbe potuto ricordare appieno finché non fosse giunto di nuovo nel suo regno. Infine, la grande lacerazione si chiuse, risanata e sigillata.
Bruscamente, tutto svanì.
Il tonfo delle pietre contro le sue ginocchia accompagnò il ritorno delle sensazioni fisiche, e lui lottò disperatamente per rimanere diritto, appoggiandosi all’indietro sui talloni, in modo da non spingere ulteriormente la spada attraverso il proprio corpo. Davanti a sé, vedeva l’elsa e una spanna di lama; il resto gli attraversava il torace con un’angolazione verso l’alto a partire dallo stomaco, appena sotto e a sinistra rispetto all’ombelico. Quanto alla punta, sembrava trovarsi da qualche parte, più in alto e sulla destra rispetto alla spina dorsale. E adesso stava sopraggiungendo il dolore.
Quando tentò di trarre un primo, tremante respiro, l’arma oscillò leggermente, e un odore di carne cauterizzata gli assalì le narici, insieme con un profumo celestiale, come di fiori primaverili. Sebbene cercasse di rimanere immobile, Cazaril prese a tremare, sconvolto, attraversato da un senso di gelo.
D’un tratto, si trovò a lottare contro l’assurdo bisogno di ridere, cosa che gli avrebbe fatto ancora più male. L’odore di carne bruciata non giungeva esclusivamente dal suo corpo. Il cadavere di dy Jironal era disteso davanti a lui, coi capelli e gli abiti che fumavano. Pur avendo già visto cadaveri carbonizzati, quella era la prima volta che Cazaril ne vedeva uno bruciato dall’interno.
Poi la sua attenzione fu attratta da un ciottolo accanto al suo ginocchio. Un oggetto così denso e costante… Gli Dei non potevano sollevare neppure una piuma ma lui, un semplice umano, poteva raccogliere quel ciottolo antico e immutabile e metterlo ovunque avesse voluto, perfino nella propria tasca. Si chiese come mai non avesse mai apprezzato prima la cocciuta tenacia della materia e, in quell’istante, scorse una foglia secca, la cui complessità era ancora più sconvolgente. La materia inventava forme, e continuava a generare bellezza al di là di se stessa. Era una fonte di stupore per gli Dei, ricordava se stessa con chiarezza assoluta. Com’era possibile che non se ne fosse mai accorto? Perfino la sua mano tremante era un miracolo, come lo erano la spada conficcata nel suo ventre, gli alberi di arancio nei vasi — uno dei quali si era rovesciato ed era meravigliosamente rotto, un misto di terra e cocci — e i vasi stessi, il canto degli uccelli al mattino e l’acqua… L’acqua! Per i cinque Dei, l’acqua della fontana, e la luce del mattino che filtrava dal cielo…
«Lord Cazaril?» chiamò una voce debole, che proveniva da un punto accanto al suo gomito.
Lanciando un’occhiata in quella direzione, Cazaril vide che dy Cembuer era riuscito a strisciare fino a lui.
«Cos’è successo?» domandò il nobile ibrano, prossimo alle lacrime.
«Abbiamo assistito ad alcuni miracoli», rispose Cazaril. Troppi miracoli in un posto solo e in un solo momento, tanti che ne era sopraffatto. Riempivano il suo sguardo ovunque lo volgesse.
Parlare fu un errore, perché le vibrazioni così prodotte ridestarono il dolore al ventre. Il fatto stesso che potesse parlare, tuttavia, indicava che la spada non gli aveva trapassato un polmone… Comunque non gli andava d’immaginarsi quanto gli avrebbe fatto male tossire e sputare sangue, in quello stato.
Allora è una ferita al ventre, pensò. Morirò entro tre giorni.
Già poteva avvertire un vago sentore di feci che si mescolava all’odore della carne bruciata e al profumo che la Dea si era lasciata alle spalle, e sentiva singhiozzi…
Eppure… quel lezzo di feci non proveniva dal suo corpo. Il capitano baociano, raggomitolato su un fianco a poca distanza da lui, le braccia strette intorno alla testa, stava piangendo, benché non sembrasse ferito. D’altro canto, era stato il testimone vivente più vicino, e la Dea, al suo passaggio, doveva averlo sfiorato.
Dopo un istante, Cazaril si azzardò a trarre un altro respiro. «Che cosa avete visto?» chiese a dy Cembuer.
«Quell’uomo… era dy Jironal?»
Con un movimento del capo appena percettìbile, Cazaril annuì.
«Quando vi ha trafitto, c’è stato un crepitio infernale, poi lui è esploso in lingue di fuoco azzurro. È… sono stati gli Dei ad abbatterlo?»
«Non proprio. È… una cosa più complicata…»
Notando che sul cortile era sceso uno strano silenzio, Cazaril si azzardò a girare la testa, scoprendo che una mezza dozzina dei bravacci di dy Jironal e alcuni servitori di Iselle erano distesi al suolo, alcuni intenti a borbottare, altri in pianto, come il capitano baociano. Gli altri erano scomparsi.
Cazaril cominciava a capire perché un uomo dovesse rinunciare per tre volte alla propria vita per compiere quel miracolo… e pensare che aveva giudicato arbitrario e cavilloso il comportamento degli Dei, ritenendo che stessero infliggendo agli uomini qualche arcana punizione! No, le prime due morti gli erano servite per esercitarsi! Nella prima, la fustigazione subita sulla galea, aveva imparato ad accettare la morte del corpo… No, non aveva sbagliato i calcoli: quando si era verificata quella morte, essa non si poteva considerare a beneficio della Casa di Chalion, però era diventata utile proprio a Chalion nel momento in cui il matrimonio tra Iselle e Bergon era stato consumato. La loro unione, che aveva ripartito in modo così orribile la presenza della maledizione, aveva ripartito anche i sacrifici. Era stata quella la dote segreta portata da Bergon, e Cazaril sperava soltanto di vivere abbastanza a lungo da riuscire a riferirglielo, perché era certo che gli avrebbe fatto piacere. La seconda accettazione, quella della morte dell’anima, era avvenuta in solitudine, con l’unica compagnia dei corvi della Torre di Fonsa. Così, quand’era giunta la morte definitiva, lui aveva potuto offrire alla Dea un collaboratore saldo e affidabile…