Un umile parallelismo che riguardava l’addestramento dei muli gli stava affiorando nella mente allorché un rumore di passi lo riscosse dai suoi pensieri. Nel sollevare lo sguardo, vide dy Tagille, affannato, in disordine, ma con la spada nel fodero, entrare di corsa nel cortile e precipitarsi verso di loro, per arrestarsi poi di colpo. «Per l’inferno del Bastardo», imprecò, quindi spostò lo sguardo sul suo compagno ibrano e domandò: «Tu stai bene, dy Cembuer?»
«Quei figli di cani mi hanno rotto di nuovo il braccio. È lui, quello nelle condizioni peggiori. Cosa succede là fuori?»
«Dy Baocia ha raccolto i suoi uomini e ha scacciato gli invasori dal palazzo. Per adesso è ancora tutto molto confuso, ma pare che i sopravvissuti stiano attraversando di corsa la città per arrivare al Tempio.»
«Decisi ad attaccarlo?» domandò dy Cembuer, in tono allarmato, lottando per rialzarsi.
«No, per arrendersi a uomini armati che non cerchino di farli a pezzi», spiegò dy Tagille. «Sembra che tutti i cittadini di Taryoon siano scesi in strada per dare loro la caccia, e le donne sono le peggiori. Per l’inferno del Bastardo», ripeté poi, fissando i resti fumanti di dy Jironal. «Alcuni soldati chalionesi stavano urlando e farfugliando di aver visto dy Jironal abbattuto da un lampo scaturito da un cielo limpido, per il sacrilegio di aver scatenato una battaglia nel Giorno della Figlia… e io non ci avevo creduto.»
«L’ho visto anch’io», affermò dy Cembuer. «C’è stato un fragore spaventoso, e lui non ha avuto neppure il tempo di gridare.»
Trascinato il cadavere un po’ più lontano, dy Tagille s’inginocchiò davanti a Cazaril, fissando con timore il suo stomaco trafitto e spostando poi lo sguardo sul suo volto. «Lord Cazaril, dobbiamo estrarre questa spada ed è meglio farlo subito», disse.
«No… aspettate…» ansimò Cazaril, che aveva visto un uomo trafitto da una quadrella di balestra sopravvivere per mezz’ora, finché la quadrella non era stata estratta, provocando un’emorragia che l’aveva ucciso quasi all’istante. «Prima voglio vedere Lady Betriz.»
«Mio signore, non potete restare li seduto con una spada in corpo!»
«Ecco, di certo non mi posso muovere…» obiettò Cazaril.
Lo sforzo di parlare gli provocò un ansito, il che non era un buon segno, e il gelo che lo pervadeva aumentò, strappandogli un brivido. D’altro canto, il dolore che avvertiva non era devastante come lui si era aspettato, forse perché era riuscito a rimanere del tutto immobile. E finché continuava a non muoversi, le fitte non erano peggiori dei crampi causatigli da Dondo.
Nel cortile giunsero altri uomini, accompagnati da un accavallarsi di voci, dalle grida dei feriti e da un ripetersi di storie che venivano riferite in toni sempre più acuti. Ignorando ogni cosa, Cazaril tornò a concentrarsi sul ciottolo, chiedendosi come fosse arrivato fin lì e cosa fosse stato prima di diventare un ciottolo… Una roccia? Una montagna? E dove? Quanti anni aveva impiegato a mutarsi in un ciottolo? Quella contemplazione gli riempiva la mente… E se un semplice ciottolo poteva assorbirlo a tal punto, che effetto avrebbe avuto su di lui una montagna? Gli Dei ospitavano nella loro mente le montagne, e tutto il resto, contemporaneamente, dedicando a ogni cosa la stessa attenzione che lui aveva per una cosa sola. Aveva avuto modo di vederlo, attraverso gli occhi della Signora, e se avesse sopportato quello spettacolo per più di una frazione infinitesimale di secondo, la sua anima sarebbe esplosa. Anche così, la sentiva stranamente estesa, e cominciava a chiedersi se quella fugace occhiata fosse stata un dono o soltanto un caso.
«Cazaril?»
Una voce tremula, quella che stava aspettando di sentire. Cazaril sollevò lo sguardo e scoprì che, se il ciottolo era affascinante, il volto di Betriz era stupefacente. Sarebbe rimasto ore intere ad ammirare la struttura del suo naso… Si disinteressò all’istante del ciottolo, concentrandosi su quella cosa splendida. Poi però notò le gocce trasparenti che colmavano gli occhi castani della dama e il pallore del volto. La cosa peggiore, tuttavia, era che le sue fossette sembravano scomparse. «Eccoti qui», mormorò, con voce roca ma felice. «Baciami subito.»
Deglutendo a fatica, Betriz s’inginocchiò, avanzò verso di lui sulle ginocchia e protese il collo. Il profumo delle sue labbra non aveva nulla a che vedere con quello della Dea, ma era molto gradevole. Quelle labbra erano poi così calde che lui vi premette contro le proprie, gelate, per attingere al calore e alla giovinezza che emanavano. Aveva nuotato nei miracoli ogni giorno della sua vita e non se n’era neppure reso conto. «D’accordo», disse, ritraendo la testa. Non aggiunse: «Così è sufficiente», perché non lo era affatto. «Ora potete estrarre la spada», ordinò.
Alcuni uomini gli si accalcarono intorno, per lo più sconosciuti dall’aria preoccupata. Asciugandosi gli occhi, Betriz cercò di assestargli la tunica, poi si alzò e gli rimase accanto, mentre qualcuno afferrava le spalle di Cazaril, un paggio teneva pronto un tampone di stoffa da premere sulla ferita, e qualcun altro si preparava a porgere delle bende per fasciargli il torso.
D’un tratto, lui si guardò intorno con aria incerta. Se Betriz era lì, voleva dire che c’era anche Iselle, però… «Iselle? Bergon?» domandò.
«Sono qui, Lord Caz», rispose la voce di Iselle, che proveniva da un punto al suo fianco. Lei si spostò in modo da mettersi di fronte a lui e rimase a guardarlo con sgomento. Nel corso della fuga si era liberata della pesante sopravveste e sembrava ancora un po’ affannata, però, oltre alla sopravveste, aveva perso anche il nero mantello della maledizione… oppure no? La sua seconda vista cominciava a oscurarsi, però, alla fine, Cazaril fu certo che esso non c’era più.
«Bergon è con mio zio», continuò Iselle, con voce salda, nonostante le lacrime che le rigavano il volto. «Lo sta aiutando a spazzare via gli uomini di dy Jironal.»
«L’ombra nera è stata rimossa… da voi, da Bergon, da tutti», disse Cazaril.
«Come?»
«Se sopravvivrò, ne parleremo.»
«Cazaril!»
La familiare, esasperata cadenza con cui era stato pronunciato il suo nome gli strappò un sorriso.
«In tal caso, dovrete vivere!» esclamò Iselle, con un tremito nella voce. «Io… ve lo ordino.»
Dy Tagille s’inginocchiò davanti a Cazaril, che gli rivolse un secco cenno del capo. «Estraila», sussurrò.
«Tiratela senza inclinarla e senza dare strattoni, Lord dy Tagille, in modo da non aggravare la ferita», lo ammonì Iselle.
«Sì, mia signora», rispose dy Tagille, umettandosi le labbra per la tensione, e afferrò l’impugnatura dell’arma.
«Con cautela, certo, ma fate in fretta, per favore…» mormorò Cazaril.
La lama gli uscì dal corpo, accompagnata da un fiotto di liquido caldo. Cazaril si era augurato di svenire, ma barcollò soltanto, mentre i tamponi venivano applicati con decisione sulle due ferite, al ventre e alla schiena. Quando abbassò lo sguardo, aspettandosi di vedere il proprio grembo rosso di sangue, scorse invece un liquido limpido appena sfumato di rosa. Evidentemente la spada aveva trapassato il tumore… il quale non conteneva affatto una sorta di grottesco feto demoniaco. Che il Bastardo si portasse via Rojeras per avergli messo in mente un’idea tanto spaventosa!