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Seguì una colazione a base di cibi freddi, preparata su tavoli disposti nel cortile. Per quanto fredde, le vivande erano più che abbondanti, tanto che Cazaril dovette ricordare a se stesso di non dover per forza rimediare in un solo giorno a tre anni di privazioni, anche in considerazione del fatto che presto avrebbe dovuto camminare a lungo, in salita e in discesa. Quando infine il mulo bianco della Royesse venne guidato nel cortile, lui si sentiva comunque piacevolmente sazio.

Anche il mulo era stato decorato con nastri azzurri e coi primi fiori primaverili, intrecciati nella criniera, e la gualdrappa era sfarzosamente ricamata con tutti i simboli della Signora della Primavera. Abbigliata nelle vesti del Tempio, coi capelli color ambra che le ricadevano in una splendida cascata lungo le spalle, da sotto la coroncina di fiori e di foglie che le cingeva la fronte, Iselle venne sistemata in sella con ogni cautela e le vesti le furono drappeggiate intorno con cura. Per l’occasione, la ragazza acconsentì a ricorrere ai gradini e all’assistenza di un paio di giovani e agili paggi. Poi il Divino prese la cavezza di seta azzurra del mulo e lo condusse fuori, seguito dalla Provincara, in sella a una tranquilla giumenta saura dai garretti bianchi, decorata a sua volta con nastri e fiori e condotta per le briglie dal siniscalco. Soffocando un rutto, Cazaril rispose a un cenno di dy Ferrej e si affrettò a prendere posto dietro le cavalcature delle due dame, offrendo cortesemente il braccio a Lady dy Hueltar, mentre il resto della processione s’incolonnava alle loro spalle.

Il gruppo festante si avviò lungo le strade cittadine, fino alla vecchia porta orientale, da dov’era previsto che la processione avesse formalmente inizio. In attesa c’erano circa duecento persone, inclusa una cinquantina di cavalieri appartenenti alle associazioni delle guardie votate alla Figlia, provenienti da tutte le terre circostanti Valenda. Fu così che Cazaril si trovò a passare proprio sotto il naso del massiccio soldato che, il giorno precedente, gli aveva gettato per errore la moneta d’oro. Ma il soldato si limitò a guardarlo e a rivolgergli un cortese cenno del capo, prendendo nota dell’abbigliamento di seta, della spada e probabilmente anche dei capelli e della barba ben tagliati. È strano come ci lasciamo abbagliare dall’apparenza delle cose, rifletté Cazaril, pensando altresì che gli Dei probabilmente vedevano al di là dell’aspetto esteriore… Si chiese allora se essi trovassero la cosa complicata proprio come succedeva a lui, da qualche tempo.

Il formarsi della processione lo costrinse ad accantonare quelle meditazioni. Il Divino consegnò la briglia del mulo di Iselle all’anziano gentiluomo scelto per il ruolo di Padre dell’Inverno. Nel corso della processione invernale, il Padre sarebbe stato un giovane abbigliato con abiti scuri, lindi e austeri come quelli di un giudice, in sella a un elegante cavallo nero, che l’uscente, lacero Figlio dell’Autunno avrebbe condotto per la briglia. Quel giorno, invece, l’anziano Padre uscente era avvolto in un assortimento di stracci grigi tale da far sembrare al confronto eleganti perfino gli abiti da mendicante che Cazaril aveva avuto indosso fino al giorno precedente; in più aveva la barba, i capelli e i polpacci nudi cosparsi di cenere. Sorridendo, l’anziano Padre rivolse qualche parola scherzosa a Iselle, che scoppiò a ridere, poi le guardie presero posto alle spalle dei due e l’intera parata iniziò il giro delle vecchie mura cittadine, per quanto fosse possibile dai nuovi edifici. Alcuni Accoliti del Tempio, schierati fra le guardie e il resto dei partecipanti, erano impegnati a guidare i canti e a incoraggiare tutti a usare le parole giuste e non versioni più volgari di quegli stessi inni.

I cittadini che non prendevano parte alla processione fungevano da pubblico, gettando fiori ed erbe. Cazaril vide le giovani donne ancora nubili correre in avanti per toccare l’abito della Figlia, giacché era di buon augurio per trovare un marito in quella stagione. Poi le ragazze si ritraevano altrettanto in fretta con una risatina imbarazzata.

Dopo una lunga camminata, che per fortuna si svolse con un clima piacevolmente mite — contrariamente a una certa primavera in cui la processione si era tenuta sotto una tempesta di grandine -, l’intera colonna aggirò di nuovo la porta orientale ed entrò nel Tempio, che sorgeva su un lato della piazza cittadina, circondato da un po’ di verde e da un basso muretto di pietra. Com’era tradizione, il Tempio si estendeva su quattro aree semicircolari che, come un quadrifoglio, si allargavano intorno al cortile centrale. Le sue mura erano della pietra dorata propria di quei luoghi e tanto cara al cuore di Cazaril, mentre sui tetti c’erano le tegole rosse locali. Ciascuna delle quattro aree circolari ospitava l’altare del Dio di una stagione; quello del Bastardo si trovava nella torre rotonda, separata dal resto, alle spalle delle porte riservate alla Madre.

Lady dy Hueltar trascinò Cazaril in prima fila per assistere al momento in cui la Royesse veniva aiutata a scendere dal mulo e guidata sotto il portico. Poi, piegando il collo, lui continuò a seguire Iselle con lo sguardo; da dove si trovava, si rese conto di poter avvertire il fresco profumo dei fiori e delle foglie intrecciati intorno alla testa di Iselle che, mescolandosi con quello dei suoi capelli, generava un sentore che pareva quello stesso della primavera.

La folla che incalzava alle loro spalle li spinse oltre le porte spalancate e all’interno del Tempio dove, con le ombre del primo mattino che ancora oscuravano il cortile principale, il Padre dell’Inverno procedette a rimuovere le ultime ceneri dal focolare sopraelevato che ospitava il fuoco sacro, spargendole sulla propria persona. Gli Accoliti si affrettarono allora a portare nuova esca e altra legna, cui il Divino impartì la consueta benedizione. Il vecchio Padre venne quindi scacciato dal Tempio con grida, fischi, bastoncini adorni di piccole campanelle e palle di morbida lana, che raffigurava la neve. Se la folla si trovava nella possibilità di usare vere palle di neve, l’anno veniva in genere considerato sfortunato, almeno dall’avatar del Dio che ne era bersagliato.

A quel punto, la Signora della Primavera, impersonata da Iselle, venne fatta avanzare perché accendesse il nuovo fuoco con l’acciarino. Inginocchiatasi su un cuscino, Iselle si morse un labbro con aria concentrata, ammucchiando i pezzetti di esca e le erbe sacre. Tutti trattennero il fiato: erano molteplici le superstizioni legate alla quantità di tentativi che, a ogni stagione, l’avatar del Dio entrante doveva fare per accendere il fuoco.

Tre rapidi colpi, una pioggia di scintille e un vigoroso soffio dei giovani polmoni di Iselle furono sufficienti a far attecchire la fiamma. Il Divino si affrettò a chinarsi per accendere una nuova candela prima che essa potesse estinguersi e la piccola fiamma continuò ad ardere, vigorosa. Quando essa venne infine trasferita nel focolare sacro, dalla folla si levò un. mormorio di sollievo e di approvazione. Iselle, che appariva compiaciuta e, in certa misura, sollevata, venne aiutata a rialzarsi, gli occhi grigi che ardevano con la stessa allegra intensità della nuova fiamma, e accompagnata fino al trono del Dio regnante.