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«Non si tratta di lavoro», spiegò Cazaril. «Volevo comporre una poesia nello stile di Behar, poi ho notato quegli uccellini… Guarda, eccone uno!» esclamò, soffermandosi per indicare una piccola saetta nera e arancione. «La gente sostiene che gli uccelli sono abilissimi costruttori, ma, a dire il vero, questi due mi sembrano piuttosto goffi, anche se testardi… Forse sono giovani, e questo è il loro primo tentativo. D’altro canto, suppongo che, se cercassi di costruire una capanna servendomi soltanto della bocca, non me la caverei meglio di loro. Forse dovrei scrivere un poema sugli uccelli. Se è miracoloso che la materia si possa alzare e camminare, come fai tu, è decisamente ancor più miracoloso che riesca a volare!»

«Si tratta di poesia, Caz, oppure hai la febbre?» domandò Palli, con un sorriso sconcertato.

«Oh, la poesia è una specie di grande infezione. Gli Dei traggono diletto dalla poesia, sai, perché canti e poesia sono fatti della stessa sostanza dell’anima, possono passare nel loro mondo quasi senza incontrare ostacoli. Gli scultori, invece… Ecco, perfino gli Dei nutrono un’ammirazione reverenziale per gli scultori», dichiarò Cazaril, ricambiando il sorriso, gli occhi socchiusi per difendersi dal sole.

«In ogni caso, non posso fare a meno di pensare che la quartina che hai composto ieri, ispirata al naso di Lady Betriz, sia stato un errore… tattico», mormorò Palli.

«Non mi stavo facendo beffe di lei!» protestò Cazaril, indignato. «Quand’è partita era ancora infuriata con me?»

«No, non era infuriata. Si era convinta che tu avessi la febbre ed era molto preoccupata. Se fossi in te, mi atterrei a questa versione.»

«Non riesco ancora a scrivere un poema su tutta la sua persona. Ci ho provato, ma è un’impresa troppo vasta.»

«Ecco, se proprio devi scrivere un inno a una parte del suo corpo, scegli le labbra. Sono più romantiche del naso.»

«Perché?» domandò Cazaril. «Ogni parte del suo corpo non è forse stupefacente?»

«Certo, ma si baciano le labbra, non i nasi… almeno di norma. Gli uomini scrivono poemi sull’oggetto dei loro desideri in modo da attirarlo a sé.»

«Davvero pratico, ma in tal caso ci sarebbe da aspettarsi che si componessero poemi sulle parti intime delle dame.»

«Le dame ci prenderebbero a schiaffi. Le labbra sono un compromesso sicuro, una soglia a misteri più grandi.»

«Ah! In ogni caso, io la desidero tutta… naso, labbra, piedi e tutto quello che c’è nel mezzo, come pure la sua anima, senza la quale il suo corpo sarebbe immoto e freddo come l’argilla e comincerebbe a marcire, cessando di essere oggetto di desiderio.»

«Ah!» gemette Palli, passandosi una mano tra i capelli. «Amico mio, tu non capisci il romanticismo.»

«Ti garantisco che non capisco più nulla. Sono gloriosamente sconcertato da tutto», dichiarò Cazaril, abbandonandosi contro i cuscini con una sommessa risata.

Sbuffando, Palli si protese in avanti per prendere il primo foglio del mucchio, l’unico su cui era stato scritto qualcosa e, nell’abbassare lo sguardo su di esso, inarcò di scatto le sopracciglia. «Cos’è questo? Non parla di nasi femminili», osservò, facendosi d’un tratto serio. «A dire il vero, non capisco neppure di cosa parli, anche se mi fa venire la pelle d’oca…»

«Oh, quello. Temo che non sia nulla di valido. Stavo cercando… Ma non è… quello che ho visto», spiegò Cazaril, agitando le mani. «Ho creduto che, in poesia, le parole potessero avere un peso diverso, esistere su entrambi i lati della barriera che separa i mondi, come accade alle persone, ma finora ho soltanto sporcato un po’ di carta, diventata buona solo per accendere il fuoco.»

«Hmm…» Palli ripiegò il foglio e lo ripose nella propria sopravveste.

«Proverò ancora e forse un giorno riuscirò a trovare la formula giusta», sospirò Cazaril. «Devo scrivere anche alcuni inni alla materia, agli uccelli e alle pietre. Credo che farebbe piacere alla Signora.»

«Per attirarla a te?» domandò Palli, interdetto.

«È possibile.»

«Questo genere di poesia è pericolosa. Quanto a me, credo che mi limiterò all’azione.»

«Sta’ attento, mio caro Lord Devoto», ammonì Cazaril, con un sorriso. «Anche l’azione può essere una forma di preghiera.» Alcuni sussurri e risatine soffocate che provenivano dall’estremità della galleria lo indussero a sollevare lo sguardo: un gruppetto di serve e qualche ragazzo stavano accoccolati dietro la ringhiera intagliata e sbirciavano nella sua direzione. Quando anche Palli si girò a guardare, una delle ragazze si alzò baldanzosamente, facendo un cenno di saluto. Dopo il cordiale cenno di risposta di Cazaril, però, quel gruppetto si allontanò di corsa, ridacchiando. «È tutta la mattina che arriva gente a vedere il punto in cui il povero dy Jironal è stato abbattuto dal fulmine», spiegò lui. «Se non starà attento, Lord dy Baocia dovrà trasformare questo accogliente cortile in un santuario.»

«A dire il vero, Caz, quella gente viene per vedere te», precisò Palli, schiarendosi la voce. «Un paio di servitori di dy Baocia si fanno pagare per lasciar entrare e uscire i curiosi dal palazzo. Non sapevo se porre fine alla cosa, ma se t’infastidisce…» aggiunse, cambiando posizione, come se intendesse alzarsi.

«Oh, no, non li disturbare. A causa mia, i servitori di questo palazzo hanno dovuto lavorare molto di più… È giusto che ne ricavino un po’ di profitto.»

Palli scrollò le spalle in segno di assenso, poi chiese: «Sei proprio certo di non avere la febbre?»

«All’inizio non ne ero sicuro, ma alla fine anche il medico si è convinto che stavo bene e mi ha permesso di mangiare, per quanto non ancora abbastanza. Penso di essere in via di guarigione.»

«Il che costituisce già di per sé un miracolo.»

«Infatti. Devo però ammettere di non sapere con certezza se rimettermi in questo mondo sia stato un dono di commiato da parte della Signora oppure se si sia trattato di soddisfare una sua esigenza, cioè avere qualcuno da questa parte che le tenesse aperta la porta. Gli Dei sono parsimoniosi, come dice Ordol… Ebbene, comunque sia, non ha importanza, perché in ogni caso un giorno senza dubbio ci rivedremo», disse Cazaril, appoggiandosi all’indietro per fissare il cielo, tinto dell’intenso colore azzurro sacro alla Signora, con un sorriso sulle labbra.

«Sai, Caz, tu eri la persona più sobria e compassata che avessi mai conosciuto, invece adesso sorridi di continuo. Sei certo che la Dea abbia rimesso a posto la tua anima nel modo giusto?»

«Forse no!» replicò Cazaril, scoppiando in una risata. «Hai presente quello che succede quando si parte per un viaggio? Si ripongono tutte le proprie cose nelle sacche della sella e, alla fine del viaggio, sembra che siano raddoppiate di volume e pendono fuori da ogni parte, anche se si è certi di non aver aggiunto nulla…» Si batté un colpetto sulla coscia. «Be’, forse non sono stato riposto in questa vecchia custodia in modo… ordinato.»

«E così adesso trasudi poesia, eh?» commentò Palli, perplesso, scuotendo il capo.

Altri dieci giorni di convalescenza non furono sufficienti a rendere Cazaril inquieto per quel riposo forzato. L’unica cosa sgradevole era l’assenza delle persone che lui desiderava avere accanto. Alla fine, però, la nostalgia ebbe la meglio sul terribile pensiero di montare di nuovo a cavallo. Incaricò dunque Palli di organizzare il viaggio, rintuzzando con facilità le sue deboli proteste relative al fatto che, nelle sue condizioni, sarebbe stato meglio aspettare ancora un po’, prima di muoversi. In realtà, Palli, come lui, era ansioso di vedere come stessero procedendo le cose a Cardegoss.

Cazaril e la sua scorta, che comprendeva i fedelissimi Ferda e Foix, si misero in viaggio. Il clima mite e il passo rilassato rendevano quel viaggio l’esatto opposto della strenua, frenetica cavalcata che avevano dovuto compiere nel corso dell’inverno appena trascorso. Ogni sera, mentre lo aiutavano a scendere di sella, Cazaril giurava a se stesso che il giorno successivo avrebbero mantenuto un’andatura più pacata, ma ogni mattina si scopriva sempre più impaziente di stringere i tempi. Finalmente, lo Zangre apparve di nuovo davanti ai suoi occhi, sullo sfondo di lanuginose nuvole bianche, del cielo azzurro e dei campi verdeggianti.