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Iniziò così la parte più importante della cerimonia, cioè la raccolta delle elargizioni trimestrali al Tempio, cosicché esso potesse avere di che mantenersi per i tre mesi successivi. Il capo di ciascuna famiglia si fece avanti per deporre una piccola sacca di monete o altre offerte nelle mani della Signora, perché il dono fosse benedetto e il suo ammontare venisse registrato dal segretario del Tempio, seduto a un tavolo alla destra di Iselle; subito dopo, chi aveva fatto l’offerta riceveva una candela accesa col nuovo fuoco, da portare nella propria casa. Naturalmente, la famiglia della Provincara fu la prima a presentare la propria offerta: il siniscalco depose nelle mani di Iselle una pesante borsa piena d’oro. Fu poi la volta di altri uomini di rango, e ogni volta Iselle accettò e benedisse l’offerta con un sorriso, il Divino anziano sorrise a sua volta e trasferì l’offerta nel mucchio con una parola di ringraziamento. Pure il segretario sorrise, annotandone l’ammontare.

D’un tratto Betriz, che era accanto a Cazaril, s’irrigidì e serrò per un momento il braccio del Castillar. «Il prossimo è quell’immondo Giudice Vrese», gli sibilò all’orecchio. «State a guardare.»

Un uomo di mezz’età dall’aria acida, elegantemente abbigliato in velluto blu scuro, tinta esaltata da una pesante catena d’oro, si presentò davanti al trono della Signora con una borsa di denaro, protendendola con un rigido sorriso. «Il Casato Vrese presenta la propria offerta alla Dea», recitò, con voce nasale. «Dateci la vostra benedizione per la stagione entrante, mia signora.»

Iselle incrociò le mani in grembo e sollevò il mento, fissando Vrese con volto serio e impassibile. «La Figlia della Primavera riceve le offerte fatte con cuore onesto», dichiarò, con voce limpida e sonora. «Non accetta tangenti, Onorevole Vrese. Per voi, l’oro è la cosa più importante che ci sia, quindi lo potete tenere.»

Vrese indietreggiò di mezzo passo e rimase a bocca aperta per lo stupore. Sulla folla scese un silenzio stupefatto, che si trasformò quasi subito in un crescente mormorio, dovuto a coloro che non avevano sentito bene e stavano chiedendo cosa fosse successo. Accanto al trono, il Divino anziano si tinse di un pallore mortale e il segretario sollevò lo sguardo con espressione inorridita.

D’un tratto, un giovane ben vestito, che attendeva in fila subito dopo il giudice, scoppiò in una secca risata. Ma non c’era traccia di divertimento in lui; si trattava piuttosto di un segno di apprezzamento per quell’atto di giustizia. Accanto a Cazaril, la giovane Lady Betriz prese quasi a saltellare per l’entusiasmo. Poi una serie di risate soffocate, accompagnate da sussurri di spiegazione, si diffuse tra la folla.

Spostando il proprio sguardo sul Divino anziano, il giudice abbozzò uno strano gesto contratto con la mano che teneva la borsa, quasi intendesse consegnare a lui l’offerta. Aprendo e serrando convulsamente i pugni lungo i fianchi, il Divino rivolse uno sguardo implorante all’avatar della Dea, assisa sul suo trono.

«Lady Iselle…» sussurrò, con un angolo della bocca, senza però riuscire a mantenere la voce abbastanza bassa. «Voi non potete… Noi non possiamo… È la Dea che vi sta parlando e che vi guida in questo?»

«La Dea parla al mio cuore», replicò Iselle a voce alta. «Non è forse così anche per voi? Inoltre, ho chiesto alla Dea di mostrarmi la sua approvazione, concedendomi di accendere la fiamma al primo tentativo, e così è stato.» Perfettamente composta, ignorando l’annichilito giudice, rivolse un luminoso sorriso al cittadino che era il prossimo nella fila, mormorando un cortese: «Venite avanti, signore…»

Il giudice fu costretto a spostarsi di lato, anche perché l’uomo alle sue spalle non ebbe esitazione a spingerlo per avanzare, con un sogghigno dipinto sul volto.

Pungolato da uno sguardo di fuoco del suo superiore, un Accolita si affrettò a farsi avanti per invitare il giudice ad appartarsi con lui da qualche parte, in modo da discutere di quel contrattempo, ma il suo accenno a protendere la mano per accettare l’offerta venne stroncato sul nascere da una gelida occhiata della Royesse. Ritraendo le mani dietro la schiena, l’Accolita invitò con un inchino il giudice a seguirlo. Dalla parte opposta del cortile, la Provincara, seduta in disparte, si serrò l’arco del naso tra pollice e indice, passandosi poi una mano sulla bocca e fissando la nipote con aria esasperata. Iselle, dal canto suo, si limitò ad alzare il mento e continuò a elargire la benedizione della Dea in cambio delle offerte che giungevano dai cittadini i quali, d’un tratto, non apparivano più minimamente annoiati. Le elargizioni in natura come polli, uova e un giovane toro vennero raccolte all’esterno del Tempio, mentre chi aveva fatto l’offerta si presentava per ricevere la benedizione e il nuovo fuoco.

Dopo qualche tempo, Lady dy Hueltar e Betriz andarono a raggiungere la Provincara sulla panca messa a sua disposizione, e Cazaril prese posto alle sue spalle insieme col siniscalco, che persisteva nel fissare la figlia con aria accigliata e insospettita Progressivamente, la folla prese ad assottigliarsi, ma la Royesse continuò a svolgere con entusiasmo il proprio sacro dovere fino agli ultimi, più umili postulanti: un raccoglitore di legna da ardere, un carbonaio e un mendicante, il cui unico dono fu cantare un inno. Eppure la giovane benedisse tutti con lo stesso tono pacato che aveva usato per gli uomini più importanti di Valenda.

La tempesta che, a giudicare dall’espressione della Provincara, era imminente non scoppiò se non quando l’intera famiglia fu tornata al castello per i festeggiamenti pomeridiani. Lungo il tragitto, Cazaril si trovò a condurre per la briglia il cavallo della dama, perché il siniscalco stava provvedendo a reggere con mano salda e attenta la cavezza del mulo di Iselle. Anche per quello, una volta al castello, vide morire sul nascere il suo piano di ritirarsi in silenzio, senza dare nell’occhio.

«Castillar, offritemi il braccio», ordinò infatti seccamente la Provincara, non appena i servi l’ebbero aiutata a scendere dalla giumenta, serrandogli il polso con dita tese e tremanti. Poi, a labbra strette, aggiunse: «Iselle, Betriz, dy Ferrej, qui dentro». E, con un cenno secco del capo, indicò le porte di legno della sala degli antenati, che si affacciava sul cortile.

Una volta ultimata la cerimonia, Iselle aveva lasciato al Tempio le vesti della Signora della Primavera, tornando a essere soltanto una giovane donna elegantemente vestita in azzurro e bianco… No, meglio, si disse Cazaril, notando il modo in cui lei aveva alzato di nuovo il mento, era tornata a essere soltanto una Royesse che, sotto un’apparente ansia, rivelava una determinazione spaventosa. Nel tenere aperta la porta per permettere a tutti di entrare, inclusa Lady dy Hueltar, Cazaril rimpianse l’epoca in cui era stato un paggio: allora, la consapevolezza di un pericolo incombente da parte delle alte sfere lo avrebbe indotto ad andarsene il più in fretta possibile; in quel momento, invece, non gli sarebbe stato permesso allontanarsi… E infatti dy Ferrej si arrestò per aspettarlo, obbligandolo in pratica a seguirlo.

La sala era silenziosa e vuota, benché intensamente illuminata dalle candele sull’altare, candele che, quel giorno, sarebbero rimaste accese fino a consumarsi, e sotto il cui chiarore i banchi di legno, consumati da innumerevoli occupanti, apparivano ancora più lucidi del solito.

Avanzando fino al centro della stanza, la Provincara si girò di scatto verso le due ragazze, che, sotto l’esame del suo sguardo severo, si fecero più vicine l’una all’altra. «Allora: chi di voi due ha avuto quell’idea?» chiese.

Iselle fece un passo e abbozzò un accenno di riverenza. «Sono stata io, nonna», rispose, quasi con lo stesso tono secco e limpido che aveva avuto nel Tempio, e aggiunse: «Anche se Betriz ha pensato di chiedere come conferma che riuscissi ad accendere subito la fiamma».