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A bocca aperta per lo stupore, Cazaril riuscì soltanto a fissarla con aria stupida. «Come?» riuscì infine ad articolare.

«Teidez ha un suo segretario, che gli tiene in ordine i registri, gli scrive le lettere… È tempo che anche Iselle abbia un tutore, qualcuno che faccia da baluardo tra il mondo delle donne e quello più grande in cui ben presto dovrà vivere. Nessuna di quelle stupide governanti è mai riuscita a gestirla: le serve l’autorità di un uomo, e voi avete il rango necessario, l’esperienza che serve…» La Provincara si abbandonò a un sorriso pieno di entusiasmo. «Che ne pensate, mio signore dy Cazaril?»

«Credo…» Cazaril deglutì a fatica. «Be’, credo che se adesso voi mi prestaste un rasoio per tagliarmi la gola, ciò risparmierebbe molta fatica a tutti. Vi scongiuro, Vostra Grazia!»

«Bene, Cazaril, bene», sbuffò la Provincara. «Mi piace un uomo che non sottovaluta le situazioni.»

Dy Ferrej, che in un primo momento si era mostrato sorpreso e allarmato, cominciò a studiare Cazaril con rinnovato interesse.

«Scommetto che voi riuscirete a farla concentrare sulle declinazioni del darthacano. Dopotutto è un paese in cui siete stato, cosa che non si può dire di nessuna di queste stupide donne», insistette la Provincara, con crescente entusiasmo. «E conoscete anche il roknari, sebbene io spero che Iselle non abbia mai bisogno di parlarlo. Potrete leggerle la poesia brajarana… Vi piaceva, no? E le darete lezioni di portamento, dato che avete prestato servizio alla corte del Roya. Suvvia, Cazaril, non mi guardate come un vitello smarrito: dovrebbe essere un lavoro facile per voi, considerato che siete convalescente… Ah, non negate, solo gli Dei sanno quanto dovete essere stato malato», aggiunse, ignorando il piccolo cenno di diniego dell’uomo. «Dovrete rispondere a un paio di lettere alla settimana, e, dal momento che in passato avete fatto il corriere, quando uscirete a cavallo con le ragazze non dovrò poi sentire le lamentele e le proteste di quelle donne con la pelle tenera come pasta di pane. Quanto infine a tenere i registri relativi al contenuto delle camere… dopo aver gestito una fortezza, per voi dovrebbe essere un gioco da ragazzi. Che ne dite, Cazaril?»

«Non potreste invece affidarmi una fortezza sotto assedio?» replicò il Castillar, affascinato e nel contempo sgomento di fronte alla prospettiva che gli si offriva.

Ogni traccia di allegria svanì dal volto della Provincara, che si protese in avanti e gli batté un colpetto sul ginocchio. «Iselle lo sarà ben presto…» sussurrò. «Mi avete chiesto se potevate fare qualcosa per alleviare il mio fardello. Per la maggior parte dei miei problemi, la risposta è no: non potete ridarmi la giovinezza né far sì che le cose… che molte cose migliorino.» Cazaril si ritrovò a chiedersi quanto quella dama così energica fosse oppressa dallo strano, cagionevole stato di salute della figlia. «Però non potreste concedermi almeno questa piccola cosa?»

Lo stava implorando… La Provincara stava rivolgendo una supplica a lui. Era fondamentalmente sbagliato. «Naturalmente, mia signora, sono ai vostri ordini», rispose Cazaril, suo malgrado. «È solo che… siete sicura di quello che state facendo?»

«Voi non siete… Tu qui non sei uno straniero, Cazaril, e io ho un disperato bisogno di un uomo di cui potermi fidare.»

Sentendo il cuore — o forse il cervello — che gli si scioglieva di fronte a quelle parole così accorate, Cazaril s’inchinò. «Allora sono ai vostri ordini», affermò.

«A quelli di Iselle», ribatté la Provincara.

Puntellando i gomiti sulle ginocchia, Cazaril sollevò lo sguardo, spostandolo dalla Provincara al pensoso, accigliato dy Ferrej, e riportandolo infine sul volto dell’anziana dama. «Io… credo di capire», annuì.

«Ne sono convinta, Cazaril, ed è per questo che voglio avere te al suo fianco.»

4

Fu così che, il mattino successivo, Cazaril venne condotto, dalla Provincara in persona, nello studiolo delle due giovani dame. La stanzetta soleggiata si trovava sul lato orientale della fortezza, all’ultimo piano della struttura, che era occupato dalla Royesse Iselle, da Lady Betriz, dalla loro dama di compagnia e da una cameriera. Anche il Royse Teidez aveva a disposizione alcune camere per il suo piccolo seguito, ma esse si trovavano nel nuovo edificio, dalla parte opposta del cortile, e Cazaril aveva il sospetto che fossero più vaste e dotate di focolari migliori. Lo studiolo di Iselle era arredato con un paio di tavolini, alcune sedie, una libreria mezza vuota e due cassapanche. La compresenza di Cazaril, che si sentiva goffo e troppo alto sotto il basso tetto di travi scoperte, e delle due giovani donne faceva sì che la camera sembrasse davvero piena. Perciò la dama di compagnia, sempre presente, fu costretta a spostarsi col suo lavoro di cucito nella stanza accanto, anche se le porte vennero lasciate aperte per salvaguardare le apparenze.

Cazaril aveva quasi l’impressione di avere davanti a sé un’intera classe, e non una singola allieva: una dama del rango di Iselle, infatti, non veniva quasi mai lasciata da sola, e di certo non in compagnia di un uomo, anche se prematuramente invecchiato, convalescente e al servizio della sua famiglia. Pur non sapendo cosa pensassero le due dame di quella soluzione, Cazaril si sentiva sollevato. Mai, nella sua vita, aveva avuto l’impressione di essere così repellente, goffo, degradato e zotico… Eppure quell’allegra atmosfera femminile era lontanissima da quella che si respirava su una panca per rematori di una galea roknari e, nel rilevare quel contrasto, mentre si abbassava per non battere la testa contro lo stipite nell’entrare nella stanza, Cazaril sentì la gola che gli si contraeva per un’ondata quasi incontrollabile di gioia.

La Provincara spiegò il motivo della sua presenza con poche parole decise, qualificandolo come il segretario-tutore di Iselle. «Adesso ne hai uno anche tu, come tuo fratello», aggiunse.

Dopo essere rimasta interdetta di fronte a quel dono, chiaramente inatteso, Iselle fu pronta ad accettarlo senza la minima rimostranza; anzi, a giudicare dalla sua espressione calcolatrice, la novità di essere istruita da un uomo e l’aumento di prestigio che ciò comportava parvero soddisfarla alquanto. Quanto a Lady Betriz, non si mostrò guardinga né ostile e sembrò accettare la novità con interesse, cosa che fece non poco piacere a Cazaril.

Abbigliato con la veste marrone tolta al mercante, fermata in vita dalla cintura tempestata in argento datagli dal siniscalco, Cazaril era certo di avere l’aspetto dello studioso, almeno quanto bastava per trarre in inganno le due ragazze. Inoltre, prima di presentarsi, si era munito di tutti i libri in darthacano che aveva trovato con una rapida ricerca nella biblioteca del defunto Provincar: una mezza dozzina di volumi in tutto. Lasciò cadere quei libri su uno dei tavolini con un tonfo sonoro e rivolse alle allieve un sorriso volutamente sinistro. Se quell’attività somigliava in qualche misura all’addestramento delle giovani reclute, o dei puledri, allora la chiave del successo consisteva nel prendere l’iniziativa fin dal primo momento e conservarla. Poteva anche essere un ignorante, ma doveva comportarsi in modo autoritario.

Allora la Provincara se ne andò con passo deciso. Per dimostrare di avere un piano, mentre ancora ne stava elaborando uno, Cazaril pensò di verificare la padronanza che la Royesse aveva del darthacano. Le fece leggere una pagina a caso di uno dei volumi, che per pura fortuna risultò trattare un argomento che lui conosceva molto bene: come minare e indebolire le fortificazioni nel corso di un assedio. Con vari aiuti e numerosi incitamenti, Iselle lesse faticosamente tre interi paragrafi. Poi Cazaril le rivolse qualche domanda, chiedendole di spiegare il contenuto di quanto aveva appena letto, ma lei incespicò nelle parole, in palese difficoltà.

«Il vostro accento è orribile», dichiarò infine il Castillar. «Un darthacano lo troverebbe quasi incomprensibile.»