«La mia governante ha sempre affermato che il mio accento era eccellente», ribatté Iselle, sollevando la testa di scatto e fissandolo con occhi di fuoco. «Anzi, secondo lei, ho un’intonazione molto melodica.»
«Certo, parlate come una pescivendola dell’Ibra meridionale che sta declamando la bontà delle sue merci… Anche loro sono molto melodiche, però qualsiasi nobile darthacano vi riderebbe in faccia, perché da quelle parti sono estremamente suscettibili e arroganti, per quanto concerne il loro orribile linguaggio», ribatté Cazaril, memore di un’occasione in cui si era venuto a trovare in una situazione del genere. «La vostra governante vi ha adulata, Royesse.»
«Devo dedurre che non vi considerate un adulatore, Castillar?» chiese Iselle, accigliandosi.
Nel suo tono e nelle sue parole erano presenti sfumature e sottintesi che Cazaril non si era aspettato. Dal suo posto a sedere, su una cassapanca accostata al lato opposto del tavolino, fece un inchino ironico, ma una delle aderenze che gli tormentavano la schiena lo costrinse bruscamente a interrompere il gesto. «Confido di non essere un vero e proprio zoticone», replicò allora. «Tuttavia se desiderate un uomo che sciorini convenienti bugie in merito ai vostri talenti, stroncando così sul nascere qualsiasi vostra speranza di eccellere, sono certo che non faticherete a trovarne. Non tutte le prigioni sono fatte di sbarre di ferro, Royesse… Alcune hanno la forma di letti di piume.»
Iselle dilatò le narici e serrò le labbra. Troppo tardi, a Cazaril venne in mente che quello forse era l’approccio sbagliato: dopotutto, Iselle era giovane, poco più che una ragazzina. Avrebbe dovuto addolcire i suoi modi? Se Iselle si fosse lamentata di lui con la Provincara, inoltre, lui rischiava di perdere…
«Continuiamo», disse in quel momento Iselle, in tono gelido, voltando la pagina.
Aveva un’espressione assolutamente identica a quella — mista di rabbia e frustrazione — che Cazaril aveva scorto in alcuni giovani che, dopo essere caduti, si erano rialzati, sputando la polvere entrata loro in bocca, ed erano maturati fino a diventare i suoi migliori luogotenenti. Forse quel compito non era difficile come aveva temuto… Represse un sorriso e assunse un’aria grave e accigliata, rivolgendo alla ragazza un imperioso cenno di assenso. «Proseguite pure», replicò.
Un’intera ora trascorse in fretta, dedicata a quell’attività facile e piacevole… Piacevole per lui, almeno. Quando si accorse che la Royesse stava cominciando a massaggiarsi le tempie, e che la sua espressione accigliata non aveva più nulla a che vedere coi suoi sentimenti offesi, Cazaril le tolse il libro di mano.
Lady Betriz aveva accompagnato Iselle nella lettura, muovendo silenziosamente le labbra, e Cazaril le fece ripetere l’esercizio; avendo a disposizione l’esempio della Royesse, Betriz fu più rapida nel leggere il brano, ma lo fece con lo stesso accento dell’Ibra meridionale esibito da Iselle, probabile retaggio della loro precedente istitutrice. Iselle ascoltò con attenzione tutte le correzioni apportate da Cazaril.
Finita la lettura, Cazaril ritenne che si fossero ampiamente guadagnati tutti e tre il pasto di mezzogiorno, ma gli rimaneva ancora da assolvere a uno sgradevole compito, esplicitamente impostogli dalla Provincara. Mentre le ragazze accennavano ad alzarsi, si appoggiò allo schienale della sedia e si schiarì la gola. «Il vostro gesto di ieri, al Tempio, è stato davvero spettacolare, Royesse Iselle», disse.
«Vi ringrazio, Castillar», replicò la Royesse, incurvando l’ampia bocca in un sorriso, che si estese agli occhi dalle palpebre stranamente pesanti.
«Un insulto pubblico, rivolto a un uomo costretto a subirlo senza poter ribattere», proseguì lui, sorridendo a sua volta, però in maniera tirata. «Se non altro, i perdigiorno che hanno assistito alla scena si sono enormemente divertiti, almeno a giudicare dalle loro risate.»
«A Chalion ci sono molti mali cui non posso porre rimedio», obiettò Iselle, mostrando un certo disagio. «Ciò che ho fatto è stato ben poco.»
«Se si è trattato di un atto a fin di bene, vi siete comportata nel modo giusto», ammise Cazaril, con un cenno ingannevolmente cordiale. «Ditemi, Royesse, quali passi avete mosso, prima di agire, per accertarvi della colpevolezza di quell’uomo?»
Iselle, che stava sollevando il mento con aria di sfida, si bloccò a metà del gesto. «Ser dy Ferrej ha detto che era colpevole, e so che lui è una persona onesta.»
«Rammento con precisione ciò che Ser dy Ferrej ha affermato, dato che è estremamente attento nella scelta delle parole… E lui ha sostenuto di aver sentito dire che il giudice si era lasciato corrompere dallo spadaccino, e non di avere conoscenza diretta della cosa. Avete forse parlato con lui dopo cena per capire come fosse giunto a formulare quella convinzione?»
«No… Se avessi rivelato ciò che avevo intenzione di fare, me lo avrebbero proibito.»
«Però lo avete confidato a Lady Betriz», obiettò Cazaril, indicando la donna bruna.
«È stato per questo che le ho suggerito di chiedere alla Dea di elargirle la fiamma al primo tentativo», intervenne Betriz, sentendosi chiamata in causa.
«La fiamma al primo tentativo…» ripeté Cazaril, scrollando le spalle. «Lady Iselle, la vostra mano è forte, giovane e salda. Siete certa che accendere subito il fuoco non sia stato soltanto merito vostro?»
«I cittadini hanno applaudito…» mormorò Iselle, accigliandosi.
«Certamente», la interruppe Cazaril. «In media, la metà di quanti si presentano davanti a un giudice se ne va inevitabilmente delusa e furente. Questo però non significa per forza che abbia subito un torto.»
Quella particolare affermazione parve infine colpire nel segno, almeno a giudicare dall’improvviso cambiamento dell’espressione di Iselle, che da arrogante si fece sconvolta, cosa tutt’altro che piacevole a vedersi.
«Ma… ma…» balbettò la giovane.
«Non sto dicendo che abbiate avuto torto, Royesse», sospirò Cazaril. «Intendo soltanto farvi notare che vi siete mossa alla cieca… Se non siete andata a sbattere contro un albero, è stato solo per misericordia degli Dei e non per attenzione da parte vostra.»
«Oh.»
«È possibile che voi abbiate calunniato un uomo onesto, oppure che il vostro sia stato un atto di giustizia… Io non lo so, ma il punto è che non lo sapete neppure voi.»
Dalle labbra di Iselle uscì un altro «Oh», stavolta tanto soffocato da essere a stento udibile.
Cazaril non riuscì a trattenersi e, dando voce a quel tipo di ragionamento pratico e spietato che lo aveva aiutato a sopravvivere in tante situazioni difficili, aggiunse: «Indipendentemente dal fatto che la vostra azione sia stata giusta o sbagliata, rimane il fatto che vi siete creata un nemico, lasciandovelo poi alle spalle, vivo. Un atto di grande carità, ma un errore dal punto di vista tattico…» No, non era proprio il genere di commento da fare davanti a una giovane dama, si rese conto subito dopo. Si trattenne dal premersi le mani sulla bocca, un gesto che non sarebbe servito a consolidare la sua figura di tutore severo e lucido.
Lady Iselle e Lady Betriz inarcarono di scatto le sopracciglia, mantenendo per qualche momento un’espressione sorpresa.
«Vi ringrazio per i vostri buoni consigli, Castillar», disse Iselle dopo un lungo, pensoso silenzio.
La risposta di Cazaril fu un soddisfatto cenno di approvazione: se era riuscito a farle capire quella difficile lezione, allora era partito col piede giusto. E adesso, agli Dei piacendo, avrebbe potuto approfittare della generosa tavola imbandita dalla Provincara…
Iselle, però, si rimise a sedere e incrociò le mani in grembo. «Voi dovrete essere anche il mio segretario, oltre che il mio tutore, giusto?» domandò.