«Sì, mia signora», assentì Cazaril, accasciandosi a sua volta sulla sedia. «Avete bisogno di assistenza per scrivere una lettera?» aggiunse, trattenendosi a stento dal suggerire di farlo dopo aver mangiato.
«Ho bisogno della vostra assistenza, certo, ma non per una lettera. Ser dy Ferrej ha detto che un tempo siete stato un corriere. È così?»
«In passato, ho cavalcato come corriere per conto del Provincar della Guarida, mia signora, quand’ero più giovane.»
«Un corriere è una spia», continuò Iselle, con un lampo calcolatore nello sguardo.
«Non necessariamente, anche se a volte era difficile… convincere la gente del contrario. Noi eravamo anzitutto fidati messaggeri, anche se ci si aspettava che tenessimo occhi e orecchie aperti per riferire quello che avevamo notato.»
«Benissimo», dichiarò Iselle, sollevando il mento di scatto. «In tal caso, il primo incarico che intendo assegnarvi, come mio segretario, è proprio quello di tenere occhi e orecchie aperti per scoprire se ho commesso un errore oppure no. È evidente che io non posso scendere in città o fare domande in giro, perché sono costretta a rimanere in cima a questa collina, nel mio… letto di piume.» Fece una smorfia. «Però voi potete indagare per mio conto», concluse, fissandolo con occhi pieni di fiducia.
Cazaril ne fu quasi sconvolto. «Immediatamente?» balbettò, avvertendo un nodo allo stomaco che non aveva nulla a che fare con la fame. La sua lezione era stata assimilata fin troppo bene.
«Con discrezione, e in base alle opportunità che si presenteranno», replicò Iselle, un po’ a disagio.
«Vedrò cosa fare per accontentarvi, mia signora», replicò Cazaril, deglutendo a fatica.
Mentre scendeva le scale per raggiungere la propria camera, Cazaril si sentì assalire dai ricordi dell’epoca in cui era stato un paggio. A quel tempo, si considerava uno spadaccino soltanto perché era un po’ più abile della mezza dozzina di altri giovani nobili che condividevano con lui addestramento e doveri nella casa del Provincar. Un giorno, era arrivato al castello un nuovo paggio, un ragazzo tozzo e cupo; nel corso della successiva sessione di addestramento, il maestro d’armi del Provincar aveva invitato Cazaril a misurarsi con lui. Orgoglioso di un paio di mosse che aveva elaborato per conto suo — incluso un complicato passaggio che, se eseguito con una spada vera, avrebbe staccato le orecchie alla maggior parte dei suoi compagni -, Cazaril aveva sperimentato quella particolare manovra sul nuovo compagno. Tuttavia, una volta conclusa la sua mossa, ritrovandosi con la spada di piatto contro la testa del nuovo paggio, aveva scoperto che la spada di quest’ultimo era premuta contro l’mbottitura che gli proteggeva il ventre con tanta forza da essere quasi piegata in due.
Cazaril aveva poi saputo che quel paggio era diventato il maestro d’armi del Roya di Brajar. Lui, invece, era rimasto uno spadaccino mediocre: i suoi interessi erano troppo numerosi e diversificati per permettergli di allenarsi con la dovuta costanza. Però non aveva mai dimenticato quel momento, la sorpresa nata dalla consapevolezza che l’avversario lo aveva «ucciso»… E la prima lezione alla delicata Iselle aveva fatto riaffiorare quel particolare ricordo. Sconcertato, cercò di capirne il motivo: forse era a causa dello stesso lampo apparso in occhi così diversi… E poi, come si chiamava quel paggio?…
Al suo ingresso in camera, Cazaril trovò sul letto un altro paio di tuniche e di calzoni, con ogni probabilità appartenuti al siniscalco al tempo in cui era più giovane e magro. Mentre li riponeva nella cassapanca ai piedi del letto, si ricordò d’un tratto del libretto del mercante defunto, ancora riposto nella sopravveste nera, e lo prese, deciso a portarlo al Tempio quel pomeriggio stesso. Subito dopo, però, tornò a posarlo, pensando che forse, all’interno di quelle pagine cifrate, si annidava parte di quella certezza morale che la Royesse gli aveva chiesto di ricercare per suo conto, qualche prova più chiara a favore o contro il giudice e magari anche una guida ai segreti della situazione di Valenda. Prima di consegnarlo, avrebbe provveduto a esaminarlo personalmente, decise.
Dopo pranzo, Cazaril si concesse uno splendido sonnellino, e si stava appena ridestando con tutta calma e con un meraviglioso senso di benessere, quando dy Ferrej bussò alla sua porta. Doveva consegnargli i registri e i libri contabili relativi alle camere della Royesse. Betriz arrivò di lì a poco, con una cassetta piena di lettere da sistemare. Cazaril trascorse quindi il resto del pomeriggio cercando di mettere ordine in quel materiale e di familiarizzarsi col suo contenuto.
I libri contabili erano abbastanza semplici da gestire: vi era segnato l’acquisto di un oggetto o di un gioiello di scarso valore, i regali ricevuti ed elargiti, i gioielli di effettivo pregio, ereditati o avuti in dono, i capi di vestiario. Nei libri erano annotati anche il cavallo da sella di Iselle, il suo mulo, Fiocco di Neve, e un assortimento di altri oggetti. Certe voci, come per esempio la biancheria o il mobilio, non vi figuravano, probabilmente perché inclusi nei registri della Provincara. In futuro, però, lui si sarebbe dovuto occupare anche di quelli. Una dama del rango di Iselle, infatti, aveva di solito una dote che comprendeva interi carri — se non addirittura chiatte — di oggetti di pregio; senza dubbio Iselle avrebbe ben presto cominciato ad accumulare la sua dote, in previsione del futuro viaggio fino alla dimora del marito che le sarebbe stato assegnato. Cazaril si chiese se avrebbe dovuto includere anche se stesso nell’elenco, come prima voce di quell’inventario di nozze, e s’immaginò nell’atto di scrivere: Segretario-tutore, un pezzo, dono della nonna. Età: trentacinque anni. Gravemente danneggiato durante la spedizione. Valore…?
Di norma, la processione nuziale era un viaggio di sola andata. Invece la madre di Iselle, la Royina Vedova, era tornata alla dimora d’origine… distrutta. Cazaril cercò di scacciare quell’immagine. Il pensiero di Lady Ista continuava a turbarlo. Si diceva che la follia scorresse nel sangue di alcune famiglie nobili… anche se non in quella di Cazaril, colpita piuttosto dalla sfortuna nelle alleanze politiche e da una generale imprudenza finanziaria. Era vero che entrambe le cose alla lunga si erano rivelate altrettanto devastanti. Era possibile che Iselle corresse il rischio… Si augurò che così non fosse.
La corrispondenza della Royesse era scarsa, tuttavia non priva d’interesse. C’erano alcune lettere brevi ma gentili, scritte dalla nonna e risalenti a prima che la Royina Vedova lasciasse la corte per tornare a vivere coi figli nella casa paterna. Erano missive piene di consigli generici: Sii buona, obbedisci a tua madre, recita le preghiere, occupati del tuo fratellino… Seguivano alcuni messaggi di zii o di zie, gli altri figli della Provincara. Iselle non aveva altri parenti dal lato del padre, il defunto Roya, perché Ias era l’unico figlio superstite dello sventurato genitore. C’era poi una serie di lettere di buon compleanno e di auguri in occasione delle ricorrenze sacre, inviati dal fratellastro, l’attuale Roya, Orico.
Compiaciuto, Cazaril notò che quelle lettere erano state scritte dal Roya in persona; era infatti improbabile che Orico avesse alle sue dipendenze uno scrivano con una calligrafia così irregolare e stentata. Si trattava prevalentemente di lettere molto brevi, che rivelavano il tentativo di un adulto di essere gentile nei confronti di una bambina. Quando descrivevano il serraglio, però, diventavano fluide e spontanee per almeno un paio di paragrafi, forse perché Orico adorava quel luogo o forse perché era convinto che esso fosse un argomento interessante tanto per lui quanto per Iselle.
Quel piacevole lavoro venne interrotto nel tardo pomeriggio allorché un paggio si presentò a Cazaril, richiedendo la sua presenza per un’uscita a cavallo con la Royesse e con Lady Betriz. Affibbiatasi rapidamente al fianco la spada avuta in prestito, Cazaril scese nel cortile, dove trovò i cavalli già sellati e in attesa. Il paggio lo guardò con aria sorpresa e crìtica quando lui, non essendo più salito in sella per oltre tre anni, chiese l’ausilio dei gradini per sistemarsi con cautela in groppa alla sua cavalcatura. Gli avevano dato un animale tranquillo e docile, lo stesso castrato baio che lui aveva visto cavalcare alla dama di compagnia della Royesse, il pomeriggio del suo arrivo al castello; mentre si preparavano a partire, la dama in questione si affacciò a una finestra, salutandoli con un fazzolettino di lino, palesemente soddisfatta di rimanere a casa. La cavalcata si rivelò più tranquilla di quanto Cazaril avesse anticipato: una semplice passeggiata sino al fiume e ritorno. Inoltre, giacché lui aveva precisato che la conversazione si sarebbe svolta esclusivamente in darthacano, il silenzio fu quasi assoluto, cosa che la rese ancor più rilassante.