«Che razza di uomo!» esclamò Lady Betriz, a denti stretti. «Si comporta come…»
«Come uno dei gatti del castello, quando arriva un gatto nuovo», concluse per lei Iselle. «Cosa gli avete fatto, Cazaril, per indurlo a soffiarvi contro in quel modo?»
«Vi garantisco che non ho marcato il territorio urinando davanti alla sua finestra», rispose Cazaril serissimo, inducendo Betriz a soffocare una risatina e a guardarsi intorno con aria colpevole, per accertarsi che la dama di compagnia fosse troppo lontana per sentire la loro conversazione.
Subito dopo, tuttavia, Cazaril si chiese se non fosse stato troppo rozzo. Ancora non sapeva bene come comportarsi con quelle due giovani donne, anche se che nessuna delle due si era ancora lamentata di lui, nonostante le lezioni di darthacano.
«Suppongo presuma che mi piacerebbe avere il suo incarico», aggiunse, dopo un momento. «È evidente che non ci ha riflettuto.» O forse, gli venne in mente d’un tratto, dy Sanda ci aveva pensato anche troppo. Quanto Teidez era nato, il fatto che potesse essere l’Erede del suo fratellastro Orico, sposatosi da poco, non era sembrato tanto evidente. Tuttavia, a mano a mano che gli anni si erano susseguiti senza che la Royina di Orico riuscisse a concepire un figlio, l’interesse — forse addirittura malsano — della corte di Chalion nei confronti di Teidez probabilmente era aumentato. Forse era quello il motivo per cui Ista aveva lasciato la capitale: voleva allontanare i figli da un’atmosfera inquieta e portarli in una tranquilla e pulita città di campagna. Una mossa saggia.
«Oh, no, Cazaril, restate con noi, è molto meglio!» esclamò Iselle.
«Lo è senza dubbio», garantì lui.
«Non è giusto. Voi siete due volte più intelligente di dy Sanda e avete viaggiato dieci volte più di lui, quindi perché lo sopportate con tale… tranquillità?» protestò Betriz, faticando a trovare la giusta definizione e pronunciando l’ultima parola con un lieve timore, quasi avesse paura che Cazaril potesse ritenerla un sostituto per un termine meno lusinghiero.
«Credete che lui sarebbe più felice, se mi offrissi come bersaglio per la sua stupidità?» domandò Cazaril, sorridendo alla sua inattesa sostenitrice.
«Certo, è chiaro che lo sarebbe!»
«In tal caso, la vostra domanda contiene già la risposta.»
Betriz aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse senza emettere suono, mentre accanto a lei Iselle scoppiava in una risata.
La compassione di Cazaril nei confronti di dy Sanda aumentò una mattina, quando il segretario si presentò pallidissimo, al punto di essere quasi verdastro in volto, portando l’allarmante notizia che il suo reale pupillo era scomparso e non si trovava in casa o nelle cucine, nei canili o nelle stalle. Affibbiatosi la spada al fianco, Cazaril si preparò in tutta fretta a uscire a cavallo con gli altri per cercare il giovane Royse, cominciando già a esaminare mentalmente le campagne e la città e valutando le possibili ipotesi: una ferita, un’aggressione dei banditi, una caduta nel fiume… o una visita alle taverne. Possibile che Teidez fosse già abbastanza grande da cercare una casa di piacere? Be’, quello sarebbe stato un motivo sufficiente per scrollarsi di dosso il seguito di sorveglianti.
Prima però che Cazaril potesse elencare le diverse possibilità a dy Sanda, il quale era assolutamente convinto che il Royse fosse stato vittima di un’aggressione, il giovane entrò a cavallo nel cortile, bagnato e infangato, con l’arco appeso alla spalla e un giovane stalliere che lo seguiva, portando di traverso sulla sella la carcassa di una volpe. Nel vedere il gruppetto di uomini, pronti a partire, Teidez si arrestò, fissando tutti con aria inorridita e cupa.
Abbandonando il tentativo d’issarsi in sella senza sottoporre la schiena a trazioni dolorose, Cazaril si sedette sui gradini per montare, tenendo le redini del castrato baio, e rimase a guardare con affascinato interesse quattro adulti che rimproveravano un ragazzo, ponendogli domande tanto ovvie da essere addirittura retoriche. Dove sei stato? Perché lo hai fatto? erano cose che non c’era neppure bisogno di chiedere. E Perché non lo hai detto a nessuno? era un interrogativo la cui risposta stava diventando ormai evidente.
Teidez sopportò quella tempesta a labbra serrate, ma quando infine dy Sanda s’interruppe per riprendere fiato, protese la preda rossiccia verso Beetim, il capo cacciatore. «Scuoiala per me», ordinò. «Voglio la pelliccia.»
«La pelliccia non vale nulla in questa stagione, giovane signore, perché il pelo è troppo rado e si stacca», replicò il cacciatore, in tono severo, poi indicò le mammelle della volpe, gonfie di latte, e proseguì: «Inoltre porta sfortuna abbattere una madre durante la stagione della Figlia della Primavera. Adesso dovrò bruciare i baffi di questa povera bestia, altrimenti il suo spirito agiterà i miei cani per tutta la notte. E dove sono i cuccioli? Avreste dovuto uccidere anche loro, già che c’eravate, perché è crudele lasciarli morire di fame…» Appuntò uno sguardo di fuoco sullo stalliere terrorizzato e aggiunse: «O forse voi due li avete nascosti da qualche parte, eh?»
«Abbiamo cercato la tana, ma non siamo riusciti a trovarla», ringhiò Teidez, gettando con violenza l’arco sull’acciottolato.
«Quanto a te, sai che saresti dovuto venire da me…» intervenne di nuovo dy Sanda, rivolto allo sfortunato stalliere, inveendo contro di lui con termini più duri di quelli che aveva usato col Royse, per poi concludere, in tono imperioso: «Beetim, provvedi a infliggere una punizione corporale a questo ragazzo per la sua stupidità e insolenza!»
«Con piacere, mio signore», assentì Beetim, cupo in volto. Quindi si allontanò verso le stalle con la volpe in una mano e l’altra che trascinava con decisione il ragazzo.
Due stallieri anziani provvidero a scortare i cavalli nei loro stallaggi. Nel consegnare loro la cavalcatura, Cazaril si concesse di pensare con gioia alla colazione, che non sembrava più rimandata a tempo indefinito. Intanto osservava dy Sanda, il cui terrore era stato sostituito dall’ira: confiscò l’arco di Teidez e scortò in casa il giovane tetro in volto. Poco prima che la porta si richiudesse con violenza alle spalle dei due, la voce di Teidez fluttuò fino a loro in un’ultima obiezione, pronunciata in tono lamentoso. «Ma mi annoio tanto!»
Cazaril scoppiò a ridere, consapevole che quella, per un ragazzo, era un’età orribile, traboccante di slanci e di energia, tormentata da adulti incomprensibili e arbitrari, pieni d’idee stupide che escludevano la possibilità di sottrarsi alle preghiere del mattino per andare a caccia in una splendida alba di primavera… Nel sollevare lo sguardo verso il cielo, che cominciava a tingersi di un azzurro più intenso col dissiparsi delle nebbie mattutine, il Castillar rifletté che la tranquillità propria della casa della Provincara, che per lui era un vero balsamo per l’anima, doveva bruciare come acido lo spirito del povero, controllatissimo Teidez.
Considerati i loro rapporti, dy Sanda non avrebbe accolto di buon grado un consiglio da parte sua, eppure Cazaril aveva l’impressione che, se dy Sanda stava cercando di salvaguardare la propria influenza sul Royse — così da esercitarla quando il giovane fosse diventato adulto, con tutti i privilegi di un nobile di alto rango di Chalion, se non addirittura di un Roya -, allora stava procedendo nel modo più sbagliato possibile. Se avesse continuato così, Teidez si sarebbe liberato di lui alla prima opportunità.
D’altro canto, Cazaril fu costretto ad ammettere che dy Sanda era un uomo coscienzioso. Un individuo meno onesto e con maggiori ambizioni avrebbe potuto benissimo incoraggiare le tendenze di Teidez e i suoi capricci, invece di controllarli, in modo da conquistarsi il suo favore non grazie alla propria fedeltà, ma a una sorta di dipendenza. A Cazaril era capitato d’incontrare qualche rampollo di nobile famiglia rovinato in quel modo… ma era una cosa che non aveva mai visto accadere nella famiglia dy Baocia e, finché la sua educazione fosse dipesa dalla Provincara, era improbabile che Teidez corresse il rischio d’imbattersi in quel genere di parassiti. Sulla scia di quella confortante riflessione, Cazaril si costrinse infine ad abbandonare il suo sedile e ad alzarsi.