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Mentre io canto «Un po’ di cibo, qualcosa da mangiare, da mangiare, da bere o da vestire. Vieni, dama o fanciulla, non aver timore, il povero Tom non farà male a nessuno».
Canto di Tom o’ Bedlam

1

C’era stato un problema inaspettato con Nick Doppio Arcobaleno quella mattina, qualcosa di assai prossimo a un collasso psichico a triplo allarme, sbucato da chissà dove e difficile da risolvere. Ed era questo il motivo per cui Elszabet era arrivata tardi all’incontro mensile dello staff. Tutti gli altri erano già lì, gli psichiatri Bill Waldstein e Dan Robinson; Dante Corelli, che dirigeva la terapia fisica, e Naresh Patel, l’uomo della neurolinguistica. Erano tutti seduti intorno al grande tavolo da conferenze in legno di sequoia, ognuno di loro intento a rilassarsi secondo la propria personale tecnica, quando, poco dopo le undici, lei finalmente entrò nella stanza.

Dante stava fissando i vortici di luce dorata generati da un piccolo Mastromodellatore che stringeva in mano. Bill Waldstein era appoggiato contro lo schienale della sedia, intento a contemplare la fiasca di vino che aveva davanti, Patel sembrava smarrito in qualche meditazione, Dan Robinson stava giocherellando con la sua tastiera tascabile, intasando di musica inaudibile i circuiti del registratore, per riascoltarla più tardi. Si raddrizzarono tutti mentre Elszabet prendeva posto a capotavola.

— Finalmente — esclamò Dante in tono melodrammatico, dando l’impressione che Elszabet fosse arrivata all’incontro con almeno due anni di ritardo.

— Elszabet ci sta giusto facendo vedere quello che sa sull’essere passivi e aggressivi allo stesso tempo — disse Bill Waldstein.

— Vai a farti fottere — ribatté Elszabet in tono quasi distratto. — Tredici interi minuti di ritardo.

— Venti — la corresse Patel, senza dar l’impressione d’interrompere la sua trance profonda.

— Venti. Fucilatemi pure, allora. Mi vuoi passare un po’ di quel vino, per favore, dottor Waldstein?

— Prima di pranzo, dottoressa Lewis?

— Non è stata un splendida mattinata — lei replicò. — Sarò grata a tutti voi se vorrete ricalibrarvi su un quoziente più basso di scempiaggini, d’accordo? Grazie. Vi amo tutti. — Prese il vino da Waldstein, ma ne inghiottì soltanto un piccolo sorso. Il vino aveva un sapore pungente, come di tanti piccoli aghi. La mascella le faceva male. Si chiese se il volto non le si sarebbe gonfiato. — Abbiamo calmato Arcobaleno con cinquanta milligrammi di pax — li inforò, con voce stanca. — Bill, vuoi dargli un’occhiata dopo il pranzo, e poi consultarti con me? Aveva deciso di essere Toro Seduto sul sentiero di guerra. Ha fracassato non so quante centinaia di dollari di macchinari, e ha tirato un pugno a Teddy Lansford che l’ha fatto volare per metà stanza, e credo che avrebbe causato parecchi guai in più se Alleluia non fosse miracolosamente entrata nella capanna, riuscendo ad agguantarlo. Ha una forza sorprendente, sapete. Grazie a Dio non è stata lei a diventare psicopatica.

Waldstein si curvò, piegandosi verso di lei. Era un uomo alto e magro, sulla quarantina, i cui capelli scuri cominciavano giusto ad andarsene. Elszabet sapeva che quando Waldstein incurvava così le spalle, il suo era un gesto di preoccupazione, di protezione a volte perfino eccessiva. Non gl’importava molto, comunque, quando veniva da lui. Calmo, Waldstein disse: — Quel nobile pellerossa ha colpito anche te, non è vero, Elszabet?

Lei scrollò le spalle. — Mi sono ritrovata con un gomito in bocca, più o meno incidentalmente. Niente di rotto, neppure storto. Non ho in mente di sporgere denuncia.

Waldstein disse ancora, corrugando la fronte: — Quel pazzo bastardo. Dev’essere uscito di senno, per aver colpito te. Tirare un pugno a Lansford, posso anche capirlo. Ma colpire tei Quando sei tu quella che sta su per metà notte ad ascoltarlo mentre racconta singhiozzando la storia dei suoi antenati martiri.

— Mi permetto di ricordare — intervenne Dante, — che tutti quelli che si trovano qui sono matti. È per questo che noi siamo qui. Non possiamo aspettarci che si comportino in maniera razionale, giusto? Comunque, Doppio Arcobaleno non può ricordarsi quanto Elszabet è carina con lui. Quella roba gli è stata mondata.

— Non è una giustificazione — ribatté Waldstein. — Noi abbiamo tutti degli antenati martiri. Che vada a farsi fottere lui e i suoi antenati martiri. Non credo neppure che sia il sioux che sostiene di essere. — Elszabet fissò Waldstein sconcertata. A lui, piaceva immaginare se stesso come una persona amabile e cordiale, perfino scherzosa; ma aveva una stupefacente capacità di indignarsi per questioni irrilevanti. E una volta che si era scaldato, poteva andare avanti per un bel po’. — Credo sia un simulatore — continuò Waldstein. — Un imbroglione come quello zuccheroso di Eddie Ferguson. Nick Doppio Arcobaleno! Scommetto che il suo vero nome è Joe Smith. Forse non è neppure pazzo. Questa è una bella casa di riposo, non è vero, qui in mezzo alle sequoie? Potrebbe soltanto…

— Bill — disse Elszabet.

— Ti ha colpito, non è vero?

— Va bene. Va bene. Stiamo facendo tardi, Bill. — Avrebbe voluto sfregarsi la mascella che le pulsava, ma temeva di suscitare un’altra raffica d’indignazione da parte di Waldstein. Sarebbe stato più semplice, pensò, se non avesse respinto Waldstein quando le aveva fatto quella proposta, non del tutto imprevedibile ma improvvisa, uno o due anni prima. Non gli aveva permesso di arrivare a nessun risultato. Se l’avesse fatto, per lo meno adesso non avrebbe dovuto sopportare la sua invadente cavalleria. Ma d’altronde, pensò ancora, no, non sarebbe affatto servito a semplificare le cose se l’avesse fatto. Allora o mai.

Accendendo il piccolo registratore davanti a sé, Elszabet disse: — Gente, cominciamo: d’accordo? Riunione mensile dello staff, giovedì 27 luglio 2103, presiede Elszabet Lewis, partecipano i dottori Waldstein, Robinson, Patel e Corelli, ore 11 e 21. Va bene? Invece di cominciare con i soliti rapporti di aggiornamento, vorrei aprire con una discussione sull’insolito problema che è insorto durante questi ultimi sei giorni. Mi riferisco ai sogni ricorrenti di… ehm… natura fantastica che i nostri pazienti sembrano avere, e che si sovrappongono gli uni agli altri. Ho chiesto al dottor Robinson di prepararci una relazione generale sull’argomento. Dan?

Robinson esibì uno smagliante sorriso, si sporse all’indietro, incrociò le gambe. Era lo psichiatra anziano del Centro, un uomo snello, dalle lunghe gambe, con una carnagione color caffelatte chiaro, molto in gamba, sempre magnificamente rilassato, davvero l’uomo amabile che Bill Waldstein immaginava di essere. Probabilmente era anche l’elemento più degno di fiducia dello staff di Elszabet.

Appoggiò la mano sulla capsula mnemonica davanti a sé, batté il bottoncino attivatore rosso e lustro, e aspettò un attimo per ricevere la raffica di dati. Poi spinse da parte il piccolo congegno, e disse: — D’accordo. Abbiamo cominciato a chiamarli «sogni spaziali». Ciò che scopriamo, quando ci riferiscono direttamente i pazienti, o quando esaminiamo i dati raccolti giornalmente dal mondatore per vedere cos’è che rastrelliamo dalla loro mente, è un modello di vividi sogni visionari, roba davvero spaziale. I primi li abbiamo avuti dalla donna sintetica Alleluia CX1133, la quale la notte del diciassette luglio ha intravisto un pianeta… identificato come tale nella sua consultazione del mattino dopo con me… con un cielo d’un verde denso, una spessa atmosfera verde, e abitanti di forma aliena, dalla pelle vetrosa e una struttura corporea estremamente allungata. Poi, la notte del diciannove luglio, Padre James Christie ha avuto una visione cosmologica diversa e assai più elaborata, di un gruppo di soli di vari colori visibili simultaneamente nel cielo, e una figura imponente, di apparente natura extraterrestre, visibile in primo piano. A causa delle sue basi conoscitive e ideologiche clericali, Padre Christie ha interpretato il sogno come la visione d’una divinità, riconoscendo in quell’alieno Dio, e a quanto ho capito ha subito come risultato un considerevole sconforto spirituale. La mattina successiva ha riferito questa sua esperienza alla dottoressa Lewis… con una certa riluttanza, se ho ben inteso. Ho definito il sogno di Padre Christie come il Sogno dei Nove Soli, e quello di Alleluia il Sogno del Mondo Verde.