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Lui annuì. Il volto di lei salì verso il suo, gli occhi luminosi e annebbiati, le labbra dischiuse, la punta della lingua visibile. Povera grassona. Probabilmente desiderava di potersi lasciare quel corpo alle spalle e balzare l’indomani su quell’altro mondo e vivere come una medusa con addosso quei grappoli penzolanti. Felice e contenta per sempre.

— Oh, Ed… Ed…

Dannazione, lui pensò. Non c’è modo di negarlo. Sì, fanno davvero tutti questi sogni. Tutti, tranne me, fanno gli stessi sogni, Cristo soltanto sa come. I bastardi. I bastardi. Tutti tranne me. Si chiese come avrebbe potuto utilizzare tutta quella faccenda. Doveva esserci un uso possibile. Durante tutta la sua vita aveva volto a proprio uso il fatto che gli venissero a mancare un sacco di cose che gli altri provavano. Va bene. Anche questo. Forse hanno un uso speciale per qualcuno che è immune ai sogni, ed io potrei scambiare questo per metter fine alla maledetta mondata giornaliera, o qualcosa del genere, forse.

April schiacciò ancora di più il proprio corpo contro il suo.

— Già — disse lui, con voce sommessa. Un patto era un patto. Lei gli aveva detto quello che voleva sapere; adesso lui doveva fare la sua parte con lei… Infilò di nuovo la mano sotto il suo maglione.

5

Elszabet disse: — Lista dei sogni in output. — E la parete dei dati nel suo ufficio si accese, come il tabellone della Borsa.

1) Mondo Verde Sei rapporti.

Singolo sole verde, atmosfera verde e densa.

Abitanti cristallini umanoidi.

2) Nove soli Tre rapporti.

Nove soli di vari colori simultaneamente nel cielo; grande figura extraterrestre visibile di frequente.

3) Stella doppia Uno Sette rapporti.

Grande sole rosso, più uno azzurro variabile; essere extraterrestre cornuto, associato con blocco di pietra bianca.

4) Stella doppia Due Due rapporti.

Una stella gialla, una bianca, entrambe molto più grandi del nostro sole. La materia sgorga da entrambe le stelle, formando un velo intorno all’intero sistema che emette un’intensa aura nel cielo del pianeta.

5) Sfera di luce Sei rapporti.

Pianeta situato all’interno di un ammasso stellare globulare così popoloso che una costante, vivida luminosità lo racchiude da ogni lato. Abitato da colonie di creature complesse, simili a meduse, che vivono nell’atmosfera.

6) Gigante azzurra Due rapporti.

Enorme stella azzurra che emette con violenza una grande quantità d’energia.

Paesaggio planetario fuso, ribollente. Abitanti eterei non chiaramente visualizzati.

— Immissione dati — disse Elszabet.

Cominciò a impostare il carico mattutino di rapporti sui sogni.

April Cranshaw. Gigante Azzurra.

Tomás Menendez. Mondo Verde.

Padre Christie. Stella Doppia.

Povero Padre Christie: aveva preso i sogni peggio di chiunque altro, interpretando sempre ciascuno di essi come un messaggio personale di Dio per lui. Odiava ancora l’idea di rinunciarvi. Ogni mattina doveva fare la stessa lotta con lui, costretta quasi sempre a mondarlo due volte per ripulirlo a dovere. Forse, se non l’avesse mondato — pensò — i sogni avrebbero perduto parte del loro potere trascendentale, e sarebbe stato più facile trattare con lui. D’altro canto, se non fosse stato mondato, avrebbe dovuto cimentarsi con il concetto che Dio gli si era manifestato in una mezza dozzina di guise diverse durante le ultime settimane. Ed era molto probabile che a quest’ora si sarebbe trovato in un profondo stato schizofrènico, al di là di ogni possibilità di recupero, se avesse avuto accesso a più d’un sogno per volta. Meglio che fosse sempre convinto che ogni sogno era il primo.

Elszabet continuò l’immissione giornaliera dei dati:

Philippa Bruce. Sfera di Luce.

Alleluia CX1133. Nove Soli.

Sentì che qualcosa di simile al fantasma di un mal di testa cominciava a invaderla, un lieve pizzicore pulsante intorno alle tempie. Strano. Non aveva mai mal di testa. Praticamente mai. Il periodo mensile, forse? No, pensò. I postumi del pugno che aveva ricevuto da Nick Doppio Arcobaleno? Ma era passata più di una settimana. Tensione generalizzata e stress, allora? Tutto l’interrogarsi su quei sogni bizzarri? Qualunque cosa fosse, la sensazione stava peggiorando. La pressione dietro gli occhi era insolita e assai sgradevole. Toccò il nodulo neutralizzatore sul suo orologio e si diede una buona irrorata di suono alfa. Era la prima volta che lo faceva dopo moltissimo tempo. La pressione si alleviò un poco.

Proseguì. Teddy Lansford. Nove Soli.

Qualcuno bussò alla porta. Elszabet corrugò la fronte e gettò un’occhiata allo schermo. Fuori della porta vide Dan Robinson appoggiato amabilmente contro lo stipite.

— Hai un minuto? — le chiese lui. — Ho qualcosa di nuovo per te.

Lo lasciò entrare. Robinson dovette chinarsi per attraversare la soglia. Era un uomo d’alta statura: aveva un fisico da giocatore di pallacanestro, tutto braccia e gambe. In pratica, riempì la stanzetta. L’ufficio di Elszabet non era altro che un piccolo e spoglio cubicolo funzionale, un pavimento di ruvide tavole grigie, una minuscola finestra, la luce arancione diffusa che scendeva dall’alto. Neppure un tavolo o il terminale di un computer, soltanto un paio di sedie davanti a una dati-parete che andava dal pavimento al soffitto. A lei piaceva così.

Robinson sbirciò la dati-parete. L’immissione relativa a Teddy Lansford era ancora visibile. La fissò, annuendo.

— È il suo quarto, vero?

— Terzo — precisò Elszabet.

— Terzo… ma anche così, come mai lui fa i sogni, e il resto di noi no? Non quadra, che un membro del personale faccia i sogni.

— Forse Teddy è l’unico disposto ad ammetterlo — replicò lei. Non scese nei particolari. Il solitario sogno del Mondo Verde fatto da Naresh Patel era ancora una faccenda confidenziale con lei, e sarebbe rimasto tale fino a quando lo stesso Patel avrebbe voluto che tale rimanesse.

— Sospetti che altri membri del personale li stiano nascondendo? — chiese Robinson. D’un tratto i suoi occhi divennero molto grandi, molto bianchi sul suo volto dalla tonalità cioccolato. — Pensi forse che anch’io lo faccia?

— Lo fai?

— Parli sul serio?

— Allora, lo fai? — insisté lei, un po’ troppo seccamente. Si chiese come mai fosse così secca con Robinson. Era ovvio che anche lui se lo stava chiedendo.

— Ehi, smettila, Elszabet.

Il mal di testa era tornato. Sentì di nuovo la pressione, più forte di prima, un pesante pulsare delle tempie. Scosse la testa cercando di schiarirsela.

— Mi spiace — disse. — Non volevo sottintendere…

— Tu sai che muoio dalla voglia di fare uno di quei sogni. Ma finora pare che Lansford sia il solo fortunato.

— Finora, sì.

Salvo Naresh Patel, lei pensò. E nel suo caso era successo una sola volta.

— Perché pensi che sia così? — chiese Robinson.

— Non ne ho la più pallida idea. — Elszabet esitò, e disse ancora, una pugnalata nel buio: — È possibile che la capacità di sognare, o la sua assenza, sia una funzione dell’elasticità emotiva. I pazienti sono estremamente incerti nell’area della psiche, altrimenti non si troverebbero qui, dopotutto. Ciò deve esporli ad ogni tipo di turbe alle quali i membri dello staff non dovrebbero essere vulnerabili. Questi sogni, per esempio…

— E Teddy Lansford è incerto nell’area della psiche?

— Be’, è omosessuale.

— E allora?

Elszabet si sfregò leggermente la fronte. Qualcosa le martellava là dentro. L’imbarazzava premere l’orologio per una irrorazione alfa davanti a Dan Robinson,