— Ma dove le peschi, ’ste canzoni? — gli chiese Mujer. — Mai sentito canzoni del genere.
— Una volta ho trovato un libro — disse Tom. — Ho imparato un mucchio di poesie a forza di leggerlo. Poi, io ho inventato la musica.
— Non c’è da stupirsi se non ho mai sentito una sola di queste canzoni, allora — dichiarò Mujer. — No, non c’è proprio da stupirsi.
— Canta quella della spiaggia — intervenne Charley. Stava seduto alla destra di Tom. Mujer era alla guida, e Tom si trovava stretto fra i due sul sedile anteriore. — Mi è molto piaciuta. Quella triste, con la spiaggia al chiaro di luna. — Adesso si stavano avvicinando a San Francisco, forse ci sarebbero volute altre quattro o cinque ore, aveva detto Charley. C’erano un sacco di cittadine, là fuori, e la maggior parte erano abitate, anche se una su tre, all’incirca, erano state abbandonate molto tempo prima. Il suolo era ancora secco e caldo, la mano pesante dell’estate premeva ancora. L’ultima volta che erano scesi dal furgone, quella mattina verso le undici, Tom aveva sperato di sentire la prima fresca brezza soffiare da occidente, e di vedere sfilacciature di nebbia aleggiare nella loro direzione. L’aria di San Francisco, pulita e fresca. No, aveva detto Charley: tu non senti l’aria di San Francisco finché non sei arrivato là, e poi cambia tutt’a un tratto, un momento prima puoi magari arrostire, poi sbuchi fuori dalla galleria delle colline e fa fresco. È un tipo d’aria completamente diverso.
Tom vi si stava preparando, cominciava ad essere stanco del calore della valle. Le sue visioni si manifestavano meglio e più nitide quando l’aria era fresca… per qualche buon motivo.
Suonò un ritornello al dita-piano e cantò:
— Bellissima — commentò Charley.
— No, neanche questa dannata canzone mi piace — ribatté Mujer.
— E allora non ascoltare — lo rimbeccò Charley. — Tieni la bocca chiusa e basta.
— No, non ne cavo fuori nessun maledetto senso — disse Mujer.
— Che ne dici del finale? — insisté Charley. — È là che è davvero bello. Se hai un minimo d’anima dentro di te. Salta alla fine, Tom. Ehi, qual è quella cittadina? Modesto, credo. Stiamo arrivando a Modesto. Salta alla fine della canzone, per favore, Tom.
Saltare alla fine andava benissimo a Tom. Poteva cantare le sue canzoni in qualunque ordine. Cantò:
— Bellissima — commentò Charley. — Ascoltatela. Questa è vera poesia. Dice tutto… Prendi la circonvallazione. Non vogliamo mica entrare a Modesto, non ti pare?
— Anche il resto — lo sollecitò Charley, quando Tom smise di cantare.
— È tutto — disse Tom. — È qui che finisce. Dove eserciti ignoranti si scontrano di notte. - Chiuse gli occhi. Vide l’Eternità levarsi verso di lui, quell’anello di luce avvampante che si stendeva da un’estremità all’altra dell’universo, e si chiese se non stesse per manifestarglisi una visione, ma no, no, si spense con la stessa rapidità con cui era sorta. Peccato, pensò. Ma sapeva che sarebbe tornata fra non molto; poteva ancora sentirla che si librava ai margini della sua consapevolezza, che si preparava a fare irruzione. Un giorno, si disse, arriverà una visione di grande splendore, mi avvolgerà completamente e mi trascinerà via verso il cielo, come Elia che venne sollevato in alto dal turbine, come Enoch, che camminò con Dio, e Dio lo…
— Guarda là — disse Charley. — Per San Francisco devi girare da quella parte.
Il furgone svoltò in direzione nord. Fluttuando, fluttuando… fluttuando verso il mare su un cuscino d’aria. Il mio carro, pensò Tom. Vengo condotto, immerso nello splendore, fin dentro la città bianca accanto alla baia. Un carro d’aria, non come quello che venne a prendere Elia… un carro di fuoco con cavalli di fuoco. Ed Elia salì in cielo in mezzo a un turbine… — C’è una specie di carro sul Quinto Mondo degli zygerone — disse Tom, — che è fatto d’acqua… voglio dire, l’acqua di quel mondo, la quale non è come l’acqua che abbiamo qui. Gli zygerone del Quinto Mondo viaggiano su quei carri come dèi.
— Ascoltatelo! — sbuffò Stidge, dal fondo del furgone, — ’sto lunatico fottuto. Per che cosa lo tieni a fare, Charley?
— Chiudi il becco, Stidge — lo rimbeccò Charley.
Tom fissò il cielo, e questo divenne il cielo bianco del Quinto Mondo degli zygerone, uno scudo risplendente d’una fulgida radiosità, quasi come il cielo del mondo del popolo dell’Occhio, salvo che non era un fulgore così totale, così compatto. I due soli giganteschi si stagliavano in alto nella volta del firmamento, quello giallo e il bianco, con un manto increspato che scorreva rosso fra essi e intorno ad essi. E gli zygerone del Quinto Mondo galleggiavano avanti e indietro fra i loro palazzi e i loro templi, poiché quella era la vacanza nota come il Giorno della Disconoscenza, quando tutti i dolori dell’anno trascorso venivano lanciati in mare.
— Riuscite a vederli? — mormorò Tom. — Sono come gocce di pioggia, quei carri, grandi abbastanza da contenere un’intera famiglia, i consanguinei e i conacquinei insieme. Tutto il popolo degli zygerone del Quinto Mondo fluttua nel cielo, come un’immensa torma di principi e padroni.
La sua mente pullulava di mondi. Distingueva ogni cosa chiaramente, fino alle singole parole sulle pagine dei loro libri; e riusciva a capire quelle parole perfino quando i libri non erano libri, e le parole non erano parole. Era sempre stato così per lui; ma le visioni diventavano di anno in anno più nitide, più ricche di particolari, più profonde.