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— Sembra che non scompaia quando mi mondano.

— E tu ricominceresti un’altra volta la tua truffa, giusto?

— Come può mancare di funzionare? Tutti si sono già prenotati, ormai : i sogni sono la miglior pubblicità dei pianeti che posso fornire, capisci. C’è il mondo con i soli rosso e azzurro, c’è il pianeta con il cielo verde, c’è il mondo con i nove soli… capisci, li conosco tutti. Ho i miei sistemi, Allie. Sono sette, sì… sette pianeti da sogno. Tu fai la tua scelta, mi dai i soldi, io mi occupo dei particolari, mi assicuro che tu venga spedita al posto giusto. I sogni, dico io, sono soltanto gli altri pianeti che trasmettono manifesti turistici pubblicitari per dire di sé alla gente quanto sono formidabili. Non può fallire, ragazzina. Te lo dico io : non può fallire.

— Ti prenderanno di nuovo — disse lei. — Ti hanno preso una volta, lo faranno di nuovo. E questa volta non si limiteranno a buttarti nel Centro Nepenthe.

— Non succederà più, che mi prendano.

— No?

— Mai. Per prima cosa uscirò da questa giurisdizione. Andrò su al nord, Oregon, Washington. Poi userò una società di comodo, sai cos’è? E un’altra società di comodo dietro la prima, una serie di gusci, tutti gestiti tramite prestanome. Con una casella postale a Portland, diciamo, o forse a Spokane, e…

— Ed.

— Sì?

— Non me ne importa un fico secco, Ed. Lo sai.

— Be’, e perché mai dovrebbe importarti? A te non importa niente di niente, vero?

— Una cosa.

— Già — commentò lui. — Una cosa. Sia ringraziato Dio. Ma non capisco: a cosa serve l’impulso sessuale in un sintetico? In origine il sesso è stato messo dentro di noi perché potessimo riprodurci, giusto? E tu non ti riproduci, non col sesso comunque, giusto? Giusto.

— Si trova là per una ragione — disse lei.

— E sarebbe?

— Per farci pensare che siamo umani — spiegò Alleluia. — Cosicché non diventiamo infelici e disadattati e cerchiamo di prendere possesso del mondo. Potremmo farlo, sai. Siamo esseri altamente superiori. Qualunque cosa voi possiate fare, noi possiamo farla cinquanta volte meglio. Se non provassimo sensazioni sessuali, potremmo pensare di essere perfino ancora più diversi di quanto siamo in realtà, una specie di razza padrona, sai. Ma ci hanno dato il sesso, ci tiene rappacificati, ci fa rimanere al nostro posto.

— Già — fece lui. — Questo posso capirlo. — Ferguson si sporse di traverso, le baciò la punta di ciascun capezzolo, le baciò con levità le labbra. — È tutto molto sensato — dichiarò. Mai prima di allora aveva passato tanto tempo intorno ad una sintetica, e stava imparando un mucchio di cose da quell’esperienza. Come la maggior parte della gente, aveva avuto la tendenza a mantenere le distanze, considerando i sintetici degli esseri bizzarri, orripilanti. Comunque, non ce n’erano molti in giro, forse mezzo milione, una cifra così. O meno ancora. Ricordava quand’erano stati prodotti, trent’anni prima o giù di lì, poco prima della Guerra della Polvere. Ricordava che erano stati concepiti per usi militari. Esseri perfetti per combattere una guerra perfetta. Un esperimento interrotto dei bei vecchi tempi. Ma a quanto pareva non erano del tutto perfetti. Avevano un mucchio di genuine fisime umane. Umane quel tanto che bastava per farli finire nei centri terapeutici, com’era capitato a questa. Bene, umani quanto bastava perché gli piacesse anche fottere. Si dovevano prendere i più e i meno e sperare per il meglio. Le strinse le mammelle fra le mani. Con voce sommessa disse: — Quando me ne andrò da qui, tu verrai con me, d’accordo? Ti mostrerò tutti i miei piccoli trucchi.

— Ti farò vedere alcuni dei miei — rispose lei.

5

La strada formava un cappio come un grande serpente grigio attraverso l’acqua, qui levandosi alta, là livellandosi, passando in un punto attraverso una galleria, balzando poi su per diventare, più avanti, un paio d’immensi ponti sospesi. All’estremità opposta di essi c’era, bianca e vivida alla luce del pomeriggio, San Francisco, tutta rannicchiata sul suo pezzettino di pianeta. Un’aria fresca, freschissima, cominciò ad entrare a fiotti attraverso i finestrini aperti del furgone.

— Questo ponte — disse Charley, — risale a moltissimo tempo fa. Lo hanno costruito negli evi medi e guardatelo come regge ancora. Con tutti i terremoti che ci sono stati e chissà quante altre cose, e regge ancora.

— Il Golden Gate Bridge — disse Buffalo. — Incredibile!

— No, non il Golden Gate — lo corresse Charley. — Il Golden Gate è quello laggiù su quel lato, che prosegue verso nord. Questo è il Bay Bridge. Giusto, Tom?

— Non lo so — rispose Tom. — Non sono mai stato prima d’ora a San Francisco.

Stidge rise. — Sei stato nell’Undicesima Galassia degli Zorch, ma non sei mai stato a Frisco. Bella davvero.

— Io non sono mai stato in nessuna delle due — ribatté Buffalo. — E allora?

— Bene, bene, siamo arrivati — intervenne Charley. — Bella città. — La più bella e graziosissima città che ci sia. Quand’ero ragazzino ci sono vissuto sei anni. Scommetto che non è cambiata di molto. Per qualche motivo, questo posto non cambia mai.

— Neppure quando ci sono i terremoti? — chiese Buffalo.

— I terremoti non contano niente — gli rispose Charley. — Fanno un po’ di casino e poi la città viene rimessa in piedi com’era prima. Avevo dieci anni, quand’è stata pestata. Dopo sei mesi non vedevi più la differenza.

— Eri qui con quello Grosso? — chiese Mujer.

— No — disse Charley. — Quello Grosso è stato cent’anni fa. L’hanno avuto nel 2006. Grosso Secondo l’hanno chiamato, due giorni prima dell’anniversario. Il Primo Grosso era stato nel 1906, con il fuoco e tutto il resto, che ha bruciato tutto il dannato posto. Cent’anni dopo si stavano preparando a celebrare l’anniversario, sai, parate e discorsi… Quel figlio di puttana del Grosso Secondo, due giorni prima dell’anniversario, ha buttato giù tutto di nuovo. Ecco che razza di città è questa.

— Non ti trovavi qua, allora — osservò Mujer.

— È stato novantasette anni fa — disse Charley. — Credo proprio di essermelo perso. Poi hanno avuto il Piccolo Grosso, trent’anni più tardi, quaranta, non so. Anche quello è stato prima della mia epoca. Il terremoto durante il quale mi trovavo qui, quello non ha avuto nessun nome. Non era così grosso, ma grosso abbastanza. Ha fatto cascare tutto dagli scaffali, ha rotto i vetri, mi ha spaventato a morte. Avevo dieci anni. La casa dall’altra parte della strada è uscita dritta dritta dalle fondamenta. Se ne stava lì, con un muro completamente crollato, che pareva una casa delle bambole, con tutte le stanze visibili. Dissero che quello era stato qualcosa di più del solito terremoto, ma non grosso come il Grosso. Il Grosso non viene più di una volta ogni cento anni, o giù di lì.

— Allora è quasi il momento — osservò Tamale dal fondo del furgone.

— Già — aggiunse Choke. — Domani pomeriggio, a quanto mi dicono. Alle tre e mezza.

— Merda rovente! — esclamò Buffalo. — È proprio quello che mi ci vuole, il mio primo giorno a San Francisco. Che cominci con un vero bang!

— Ecco quello che faremo — disse Mujer. — Saliremo sul furgone un momento prima che cominci. Accenderemo il motore. Poi ce ne staremo là a galleggiare sul cuscino d’aria finché il terreno non avrà smesso di muoversi, uh. D’accordo? E poi, quando tutto sarà finito, usciremo e andremo a dare un’occhiata alle case crollate e riempiremo il furgone con tutto quello che ci piace e ce ne andremo da qualche parte a nord.

— Sicuro — disse Charley. — Ma tu, sai cosa fanno qui agli sciacalli, quando c’è il terremoto? Li appendono per le palle. Qui è la regola, lo è sempre stata e lo sarà sempre.