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Tom si guardava intorno. Era passato molto tempo da quando era stato in città, in una vera città. Qui le cose parevano vecchie, perfino antiche. Tutti quei piccoli edifici di legno che sembravano uscire da un’era scomparsa, quando la vita aveva avuto certezze e stabilità. San Francisco aveva qualcosa di molto tranquillo, di molto confortevole. Forse erano le dimensioni, ogni cosa così piccola e accostata insieme. O forse era il modo in cui ogni cosa sembrava vecchia. Le città che aveva già visitato non erano niente del genere, quelle nello stato di Washington, nell’Idaho, negli altri posti su al nord dov’era stato. Perfino le città che erano comparse nelle sue visioni non erano così.

Una cosa che particolarmente lo colpiva erano le colline. Qui le colline erano sorprendenti. Tom sollevò lo sguardo e vide i minuscoli edifici bianchi che si arrampicavano su per le colline, ed era difficile credere che costruissero su colline come quelle. Naturalmente aveva visto mondi dove costruivano case su montagne dai fianchi di vetro che salivano dritti fino al cielo, con le case che sporgevano dai fianchi come nidi d’aquila, ma ciò avveniva su altri mondi dove ogni cosa era diversa, l’aria, la gravità. Alcuni non avevano neppure aria. Forse ce n’erano che non avevano neppure la gravità. C’erano mondi di ogni genere. Ma questa era la Terra e per lungo tempo Tom era vissuto in luoghi che erano pianeggianti e adesso si trovava in una città che sembrava tutta picchi e valli.

Raggiunsero guardinghi l’estremità della strada e poi attraversarono. Non c’era molto traffico. Qualche vecchia auto a combustione e qualcuna a effetto-suolo. Il cielo era di un azzurro duro e splendente e l’aria era sorprendentemente limpida, la luce del sole rimbalzava quasi visibilmente dalle abbacinanti facciate bianche. Un vento asciutto, freddo, molto tagliente, soffiava da occidente, là dove le colline nascondevano l’oceano alla vista.

Charley disse, camminando al fianco di Tom: — È stato molto bello, sai, quello che ci hai raccontato sul ponte. Di quelle città. A volte diventi un pochino matto, ma hai lo stesso un cervello meraviglioso, Tom. Le cose che vedi… le cose che ci racconti.

— So quanto sono fortunato — replicò Tom. — Mi è stato conferito il dono da Dio.

— Vorrei vedere un decimo delle cose che vedi tu, sai. Alcune soltanto, anche. — Charley parlava a bassa voce, come faceva talvolta quando non voleva che gli altri grattatori lo sentissero. Ma erano tutti più avanti, verso la metà dell’isolato. — Ho fatto dei sogni quasi ogni notte. Sogni fantastici. Sai, ho visto quel fiammeggiante mondo luminoso, quello di cui mi hai parlato, dove vive il Popolo dell’Occhio. Non volevo dirtelo mentre stavamo viaggiando. Ma l’ho visto proprio come l’hai raccontato tu, la marea di luce che riempiva ogni cosa. E ne ho visto un altro dove c’erano due soli nel cielo, uno bianco e uno giallo, e su ogni cosa le più dannate ombre che si possano immaginare, e il cielo era tutto rosso.

— Il quinto mondo degli zygerone — dichiarò Tom, annuendo. — Sì, pensavo proprio che l’avresti sognato. Arriva a noi con molta forza.

— Tu conosci i loro nomi e ogni altra cosa.

— Li ho visti praticamente durante tutta la mia vita. Fin da quand’ero bambino, quando ero convinto che tutti vedessero cose del genere. Più tardi mi ha fatto paura… quando ho saputo che nessuno li vedeva. Ma adesso ci sono abituato. E adesso anche altri li vedono. E quello che io vedo, diventa di momento in momento sempre più chiaro.

— Pensi che io cominci a vederli perché viaggio vicino a te? Può essere?

— Potrebbe essere — rispose Tom. — Non lo so. Sono io l’origine? Oppure stiamo avendo tutti le visioni allo stesso tempo? Forse adesso gli altri mondi stanno irrompendo su tutta l’umanità e non più soltanto su di me. Non so.

Charley annuì: — Credo che anche alcuni degli altri facciano i sogni, ma non vogliano ammetterlo. Choke, credo; e forse Nicholas. Forse li fanno tutti. Ma hanno tutti paura di parlarne. Ci sono delle mattine in cui hanno un’aria strana, ma nessuno dice niente. Pensano che si sentirebbero dare dei pazzi, se dicessero di vedere le cose che vedi tu. Pensano che verrebbero presi in giro. Ed è la cosa che odiano di più, questi ragazzi. Peggio ancora che venir chiamati pazzi.

— A me non importa. Ci sono abituato. Sia all’uno che all’altro: ad esser preso in giro; e ad essere chiamato pazzo. Povero Tom. Povero pazzo Tom. Talvolta essere pazzi è una salvezza: nessuno vuole fare del male a un pazzo. Ma le cose che il povero pazzo Tom vede, sono vere. Io lo so, Charley. E un giorno anche tutto il mondo lo saprà. Quando verremo chiamati alla Traversata, voglio dire. Quando i cieli si apriranno e partiremo per i mondi del Sacro Impero.

Charley sorrise e scosse la testa. — Ora è proprio a questo punto che comincio a sentirti strano, quando parli così. Quando attacchi a parlare in quel certo modo e non la smetti più… — Si fermò di botto. — Senti niente là dietro, Tom?

— Cosa?

— No, tu non sentiresti proprio. — Charley si girò guardando verso il punto in cui avevano lasciato il furgone. Mujer, che si trovava in fondo alla strada, davanti a loro, era tornato indietro di corsa, e si fermò ansante al fianco di Charley.

— Era Nicholas — disse Mujer. — Chiamava aiuto.

— Già. Dannazione.

Charley si girò di scatto, insieme a Mujer e agli altri, tornando indietro di corsa in direzione del furgone. Stidge avanzava a balzi, gli occhi spiritati, la lancia in pugno. Tom sentì accapponarglisi la pelle. Guai in vista, non c’erano dubbi. Si mise ad inseguirli con passo veloce, anche lui verso il punto in cui era parcheggiato il furgone. Adesso Nicholas stava urlando, ripetutamente. Tom guardò davanti a sé e vide due strani individui, con addosso dei jeans logori e ampie camicie bianche, sul lato opposto del furgone. Stavano scappando, e mentre scappavano lanciavano lampi di calore rossastro. Il corpo voluminoso di Rupe giaceva lungo disteso sul selciato, bocconi. Nicholas era rannicchiato dietro il furgone, intento a sparare. Quando Tom ebbe raggiunto il furgone, era tutto finito, quegli strani uomini scomparsi alla vista, le armi rinfoderate. Charley aveva la fronte corrugata e picchiava i pugni l’uno contro l’altro, inferocito.

— Li hai visti bene? — chiese rivolto a Nicholas.

— Non ci sono dubbi. I due ragazzi della fattoria, quelli che ci sono scappati quando Stidge ha ammazzato il padre e la madre.

— Merda — disse Charley. — La nostra tranquilla vita a San Francisco. Merda. Merda. Rupe è morto?

— Morto, già — annuì Mujer. — Bruciato in pieno attraverso lo stomaco.

— Merda — ripeté Charley. — E va bene. Dobbiamo dargli la caccia. Stidge, tu ci hai cacciato in questo pasticcio, tocca a te braccarli, dovunque siano. Se noi non li troviamo, ci perseguiteranno e ci faranno fuori ad uno ad uno, nella maniera più facile. Muovi il culo, uomo. Devi liquidarli. — Charley scosse la testa. — Vai, vai. — Guardò verso Tom. — Vedi cosa voglio dire quando parlo di uccidere? Una volta che hai cominciato, devi finire. — Toccò il braccialetto laser che gli cingeva il polso destro. — Tu rimani qui con il furgone — gli disse. — Dentro il furgone, e non aprirlo a nessuno. Cerca di tenere la testa sulle spalle, mi hai sentito, Tom? Torneremo subito. Dannazione — aggiunse Charley. — E tutto andava così bene.

QUATTRO

Quando mi sarò tagliato corto il mio muso da scrofa e avrò tracannato il mio gorgogliante barile, in una locanda di quercia impegnerò la mia pelle come un vestito dorato. La luna è la mia costante padrona e l’umile gufo la mia quintessenza; l’anatra fiammeggiante e il corvo della notte rallegrano con la musica il mio dolore.