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Lui si sarebbe spinto fuori della loro portata, di sicuro. Un paio di giorni a Ukiah, per predisporre le cose, poi via in Idaho (non c’era bisogno del visto per andare in Idaho, giusto?) e da lì, press’a poco dopo sei settimane di residenza per rendere ufficiale la cosa, avrebbe fatto domanda per entrare nell’Oregon. Adesso nell’Oregon avevano una specie di repubblica, l’Oregon e circa una metà di quello che un tempo era lo stato di Washington, e una volta che lui avesse attraversato il confine, non ci sarebbe stato nessun modo per riportarlo in California. Era una questione di sovranità e d’indipendenza, e da quello che gli oregoniani provavano nei confronti dei californiani, si poteva star sicuro che non avrebbero mai estradato nessuno. Così, con l’Oregon come sua base operativa, avrebbe potuto cominciare a rendere redditizi i sogni spaziali. Non era ancora sicuro di come l’avrebbe fatto, probabilmente una variazione della truffa di Betelgeuse Cinque, garantendo la trasmissione sui nuovi mondi in via di sviluppo, i sette pianeti che venivano così ampiamente esibiti durante i vostri sogni notturni… Gli sarebbe stato di un certo aiuto se avesse potuto vedere anche lui quei sogni, ma questo non era essenziale fintanto che aveva Alleluia al suo fianco. E Alleluia accanto a lui anche durante la notte, quel formidabile corpo di pantera ogni notte…

— Ehi, cos’è tutta questa fretta? — le gridò. D’un tratto Alleluia si era messa a camminare a grandi e spedite falcate, lasciandolo molto indietro.

Lei si voltò e gli rivolse un sorriso malizioso. — Hai difficoltà a stare al passo, Ed?

— Vai a farti fottere — ribatté Ferguson, in tono amabile. — Sappiamo tutti che sei una forma di vita superiore. Non devi anche dimostrarlo, maledizione. Adesso rallenta un po’ e camminiamo insieme, d’accordo?

— In questo momento ho voglia di camminare in fretta — lei ribatté. — Faccio pompare un po’ il mio cuore.

— Se sparisci dalla mia vista, ti perderai del tutto. Potrai anche essere perfetta, ma non sai dove stai andando, vero? Continua pure. Corri pure in mezzo ai boschi. Forse ti rivedrò, forse no.

Gli ritornò la sua risata modulata. Sentendo crescere in sé la rabbia, Ferguson cominciò a camminare in fretta, tenendo gli occhi fissi su di lei. Cagna, pensò. Sfidarlo in quel modo. Una vera cagna. Ma bisognava ammettere che era una magnifica cagna…

Non aveva mai conosciuto una donna come lei, e di donne ne aveva conosciute un mucchio. Così alta e agile, praticamente alta come lui. E bella: tutti quei capelli neri come il giaietto, quel seno, quelle gambe. E forte: i lunghi muscoli affusolati che s’increspavano sotto la pelle satinata, quell’aura d’incredibile energia appena appena contenuta. E, cosa strana: non si poteva mai predire cosa avrebbe fatto. A volte, da come funzionava la sua mente, pareva una marziana. Una donna di Betelgeuse Cinque. Ferguson si chiese che razza di problema mai poteva averla fatta finire sotto il mondatore. La prima cosa che ti dicevano al Centro Nepenthe era che non si doveva discutere del proprio passato con gli altri pazienti; era nel passato che si celavano le ferite, dicevano, e si sarebbe dovuto lasciare che queste si squamassero sotto l’effetto del mondatore. Dicevano che quando ci si reintegrava nella fase finale del trattamento, la parte utile del proprio passato sarebbe riemersa, le ferite sarebbero scomparse per sempre; così, non era utile incidere più in profondità i solchi della memoria parlando del luogo da cui si proveniva. Ferguson aveva violato quella regola, naturalmente. Violava tutte le regole, soltanto per una questione di abitudine. Ma Alleluia non gli aveva detto niente del tutto sulle turbe mentali che l’avevano condotta al Centro Nepenthe. Forse aveva avuto degli attacchi di folle depressione, quella roba di Gelbard, e forse aveva perfino ammazzato della gente a mani nude per tirarsi un po’ su di morale, per quanto lui ne sapeva. Qualunque cosa fosse, lo teneva per sé. Forse neppure lo sapeva. Forse tutti i suoi ricordi si erano già squamati sotto il mondatore, pensò. Una strana donna. Ma favolosa, sì, favolosa.

Che fosse dannato se le avrebbe consentito di sopravanzarlo così tanto. Era quasi sparita alla sua vista, lì in fondo. Cambiò andatura, mettendosi quasi a correre, respirando affannosamente, cominciando leggermente a sudare, inciampando qua e là sul terreno molle, impastato e cedevole della foresta. Ferguson rimase sorpreso nel constatare quanto poco tempo gli ci volesse per restare senza fiato. Poi cominciò a sentire l’inizio d’un dolore dietro lo sterno, niente di troppo angoscioso, soltanto una piccola, acuta pressione. Niente di strano. Ma faceva lo stesso un po’ di paura.

Diavolo, pensò, soffiando e sbuffando, dovresti essere in grado di correre più forte di una ragazza, giusto?

Sbagliato, si disse. Non fare il somaro. Quella non è una ragazza, quello è un essere artificiale sovrumano, e ha cento metri di vantaggio su di te. E inoltre tu hai cinquant’anni. Non proprio un ragazzo, ormai. È da svitati mettersi a darle la caccia in quel modo attraverso il bosco.

Ma continuò lo stesso. Aveva la camicia zuppa e il cuore gli martellava nel petto e c’erano piccole e acute pressioni su tutto il suo torace, ma non poteva permettere che qualcuno lo battesse in quel modo. — Dannazione a te! — urlò. — Allie, aspettami! — E si mise a correre con energia ancora maggiore. Adesso non riusciva più neppure a vederla: una macchia fittissima di enormi sequoie si levò come una parete davanti a lui. Che andasse a farsi fottere. La lascerò scappare e che si perda pure, pensò. Tutte le provviste le ho io, giusto? Ma ugualmente non rallentò. E poi il suo piede s’impigliò in una buca nascosta del terreno e ruzzolò pesantemente a terra, mentre la caviglia si torceva sotto di lui mentre cadeva.

Una vampata di dolore gli afferrò tutta la gamba. Si rizzò a sedere toccandosi un po’ qua e un po’ là. La caviglia gli pulsava. Cercò di alzarsi facendo molta attenzione, ma scoprì che non poteva farlo; la gamba gli si piegava non appena vi gravava sopra anche con il minimo peso. Adesso, come avrebbe fatto ad arrivare a Ukiah? Fece conca con le mani, se le portò alla bocca e la chiamò: — Allie! Allie! Torna indietro, mi sono fatto male!

Cinque minuti, non il minimo segno di lei. Ferguson si massaggiò la caviglia, sperando che riacquistasse la giusta posizione da sola. Ma quando tentò un’altra volta di alzarsi, si sentì peggio di prima. Il suo piede cominciava a gonfiarsi.

— Alleluia, dannazione a te! Dove sei?

— Calma. Calma. Sono qui.

Sollevò lo sguardo e la vide arrivare verso di lui a grandi, splendidi, altissimi balzi, correndo come una gazzella. Quando gli si fermò accanto, non ansava neppure minimamente: il suo respiro era calmo come se avesse fatto soltanto quattro passi.